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Perù: Per Lucha Indígena “Lo stato è il problema”

Condividiamo l’ultima edizione di dicembre della rivista mensile virtuale “Lucha Indígena” diretta dallo storico dirigente Hugo Blanco Galdós.

“La mobilitazione sociale in Perù è contro il potere economico che ha occupato lo stato. Per questo chiediamo la chiusura del congresso e l’inizio di un Governo Provvisorio delle organizzazioni popolari oggi in lotta di resistenza contro il neofascismo”.

Così indica l’editoriale della rivista mensile “Lucha Indígena” apparso pochi giorni fa e che prende posizione di fronte alla crisi scatenata in Perù.

“L’attuale costituzione non ci garantisce il rispetto di nessun diritto fondamentale, il codice civile non concede la titolarità sui nostri territori e il codice penale ci condanna, sempre solo il popolo, mai i potenti”.

“Di fronte a qualsiasi conflitto i popoli indigeni ricorrono alla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. La legge nazionale non ci protegge, lo stato è un problema in più, in realtà, è il problema” prosegue l’editoriale.

“Indigeno significa quello che è di qui, quello che ha la sua origine qui, in questo luogo. Allora essere indigeno ha a che vedere soprattutto con un impegno con lo spazio e la convivenza condivisa. Si è indigeno nella misura in cui partecipiamo alla realtà materiale e sociale in cui abitiamo”.

“In questo senso Lucha Indígena fa appello a partecipare territorialmente, ad organizzarsi con coloro che condividono l’acqua, il cibo, l’aria, la convivenza. Non importa se questo territorio è un quartiere, una comunità, una valle, una fabbrica”.

“Non cerchiamo il successivo capo, il successivo rimpiazzo. Che questa degna rabbia che cresce e occupa le strade, ci muova a stabilire assemblee permanenti in ogni territorio, dove discutere una soluzione che ci coinvolga e ci appartenga, dove non regni il lamento e la petizione ma l’esaltazione della nostra forza, la certezza che sia possibile governarci da noi stessi, decidere delle nostre vite. Lì stanno i nostri bambini e bambine, ai quali appartiene la terra e a loro consegneremo, sì o sì, il mondo che possiamo costruire oggi. Editoriale di Lucha Indígena.

La rivista mensile virtuale “Lucha Indígena” è diretta dallo storico dirigente delle lotte contadine in Perù Hugo Blanco Galdós.

La pubblicazione concede una speciale importanza alla crisi politica in Perù, senza trascurare il trattamento di altri temi di interesse internazionale.

“Lucha Indígena” è pubblicata e progettata da Carlos Bernales (Cabe). Si può accedere o scaricare la pubblicazione (in spagnolo) attraverso i seguenti link:

https://issuu.com/cabevi/docs/lucha_indigena_dic_2022a1

https://bit.ly/3Gf75rX (scaricare in formato PDF)

Di seguito condividiamo l’editoriale dell’ultima edizione:

Editoriale

Con spari alla testa, più di 20 morti! L’ultimo governo nazionale di questo sistema comprovatamente crudele e ladrone, vuole silenziare le diverse azioni di protesta che sono cominciate il 7 dicembre.

A centinaia stanno detenendo, colpendo e criminalizzando con denunce que durano anni. Hanno attaccato centri di riunione e case di famiglia; hanno rovesciato pentole comuni e infiltrato poliziotti per creare caos e giustificare gli assassinii. Tutte strategie istituzionalizzate dalla dittatura Fujimontesinista e che oggi nel paese continuano ad essere al servizio del potere economico.

Il fatto è che sulla grande diversità di azioni autoconvocate in ogni paese o città c’è una unità molto chiara: la mobilitazione sociale in Perù è contro il potere economico che ha occupato lo stato. Per questo chiediamo la chiusura del congresso e l’inizio di un Governo provvisorio delle organizzazioni popolari oggi in lotta di resistenza contro il neofascismo, un governo che in Perù inizi un cambiamento profondo e reale.

In Perù, lo stato peruviano non esiste per l’ambulante perseguitato nel viale, né per il pescatore artigianale che non può pescare, né per il maestro obbligato ad insegnare un curriculum alienato e fuori contesto. Lo stato peruviano è un prosciugatore per il commerciante. Per una bambina incinta, per una donna picchiata è sempre un incubo crudele.

All’operaio, al professionista il governo come datore di lavoro non garantisce nulla, piuttosto lo sfrutta e lo sottomette affinché sia sovra sfruttato dalle compagnie capitaliste. A meno che, chiaramente, dopo molte umiliazioni sia posto di ruolo, stia zitto e obbedisca. Lo stato dei capitalisti, ne ha allevati migliaia nell’inefficienza grazie al nepotismo, sport nazionale. Con la stessa parola d’ordine di “stipendio sicuro”, da parte della polizia, l’istituzione creata per sottomettere il popolo, lo umilia fino a renderlo obbediente e se resiste, agli uomini in uniforme armati, addestrati ad assassinare, si ordina di dissanguarlo.

Il Perù non esiste nemmeno per l’allevatore che lamenta in aymara la morte delle sue pecore in ogni periodo di gelate, né per il contadino che supplica in quechua sostegno insieme per la piantagione di granturco, per il campo di patate rinsecchito.

Per i kukama nel Cuninico, per gli achuar e i wampis, per la gente nell’Espinar o nella valle di Tambo, lo stato peruviano è un truffatore con valigetta che quando si arrabbia tira fuori la pistola per uccidere. L’impresa petrolifera, del legname, la mineraria sono il mafioso con gli occhiali che non si sporca le mani poiché ogni governo si insedia per compiere il proprio ruolo di Sciacallo.

Ricordiamo che questi assassinii a sangue freddo, gli stati d’emergenza, la perdita di diritti, gli infiltrati, le perquisizioni avvengono da decenni senza pause nei territori occupati dalle imprese minerarie, petrolifere, agroindustriali, del legname, ecc.

Ma gli avvenimenti stanno svegliando il popolo. C’è un “finalmente, cazzo”, pieno di speranza che deve stare coprendo l’aria tra le montagne e le giungle e riempiendo i polmoni di coloro che lottano per vincere. Per trovare giustizia bisogna ricorrere alle corti internazionali, per difendere il bosco bisogna andare dagli organismi internazionali, per trattare con l’impresa bisogna parlare con la sede in Europa o in Canada, per operarsi bisogna aspettare l’ONG di medici stranieri, per educarsi nella diversità bisogna aspettare il progetto da fuori. L’attuale costituzione non ci garantisce il rispetto di nessun diritto fondamentale, il codice civile non concede la titolarità sui nostri territori e il codice penale ci condanna, sempre solo il popolo, mai i potenti.

Di fronte a qualsiasi conflitto i popoli indigeni ricorrono alla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. La legge nazionale non ci protegge, lo stato è un problema in più, in realtà, è il problema.

Ora che è stata gettata al suolo la speranza che ci ha portato questo “governo del popolo” -un’altra volta, amica, renditi conto- che procuratori, congressisti e grande stampa, non c’è dubbio, sono dei mercenari e sicari al servizio del potere economico. Ci tocca domandarci dove devono portarci le manifestazioni, dove la rabbia che non si sopporta più. Dove il dolore per i morti.

Abbiamo un esempio: il Cile. L’indignazione accumulata in decenni si è trasformata in una protesta di più di 3 mesi che è finita con un’assemblea costituente e una costituzione appena progressista, ma sempre più piena delle stesse cose, specialmente contro i Mapuche, che alla fine è stata rifiutata nelle urne. I media e il potere economico si sono dati da fare per dimostrare l’influenza della stampa e delle reti sociali. Hanno spaventato la gente, hanno tirato fuori il suo lato più conservatore e ha vinto il no. Bisognerebbe aggiungere, che il governo del popolo in Cile non ha mai smesso di inviare militari nei territori indigeni, sono continuati gli arresti e i massacri.

Indigeno significa quello che è di qui, quello che ha la sua origine qui, in questo luogo. Allora essere indigeno ha a che vedere soprattutto con un impegno con lo spazio e la convivenza condivisa. Si è indigeno nella misura in cui partecipiamo alla realtà materiale e sociale in cui abitiamo.

In questo senso Lucha Indígena fa appello a partecipare territorialmente, ad organizzarsi con coloro che condividono l’acqua, il cibo, l’aria, la convivenza. Non importa se questo territorio è un quartiere, una comunità, una valle, una fabbrica.

Non cerchiamo il successivo capo, il successivo rimpiazzo. Che questa degna rabbia che cresce e occupa le strade, ci muova a stabilire assemblee permanenti in ogni territorio, dove discutere una soluzione che ci coinvolga e ci appartenga, dove non regni il lamento e la petizione ma l’esaltazione della nostra forza, la certezza che sia possibile governarci da noi stessi, decidere delle nostre vite. Lì stanno i nostri bambini e bambine, ai quali appartiene la terra e a loro consegneremo, sì o sì, il mondo che possiamo costruire oggi

Governo Provvisorio Popolare! Autonomia Territoriale! Il tempo ci appartiene.

Fonte dell’immagine: Lucha Indígena.

23 dicembre 2022

Servindi

da Comitato Carlos Fonseca

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