Processo Mubarak. Caos in aula e disordini fuori dal tribunale
di Michele Giorgio
Caos in aula, tafferugli con feriti all’esterno. La seconda udienza del processo a carico dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak non ha registrato colpi di scena ma ha confermato che la tensione fuori e dentro il tribunale resterà alta per tutta la durata del procedimento se i giudici continueranno lo stesso atteggiamento di basso profilo avuto sino ad oggi. Mubarak, primo leader arabo a finire alla sbarra dall’inizio delle rivolte in Medio Oriente, ieri è arrivato in aula di nuovo in barella, per rispondere dell’accusa di aver ordinato di sparare sui dimostranti durante la rivoluzione di gennaio, causando la morte di 850 egiziani. I figli Gamal e Alaa, anch’essi sotto processo, hanno provato ad impedire alle telecamere della televisione di stato di riprendere l’ex presidente nella gabbia degli imputati. In ogni caso alla prossima udienza, fissata per il 5 settembre, non ci saranno le immagini in tv. Il presidente delle corte ha vietato le telecamere in aula per motivi poco chiari.
Mubarak nega ogni accusa ma se verrà trovato colpevole potrebbe rischiare l’impiccagione. Non gli mancano però i sostenitori. Centinaia di persone ieri erano fuori dal tribunale ad inneggiare il suo nome, di fronte ai parenti delle vittime di gennaio che invece ne invocavano la condanna a morte. Qualche mezzo d’informazione peraltro comincia ad avere una linea più comprensiva verso l’ex rais, forse frutto di pressioni dei militari al potere, timorosi che Mubarak possa rivelare il profondo coivolgimento dei vertici delle Forze Armate con il passato regime. «Il rischio che il processo a Mubarak si trasformi in un processo ai suoi trent’anni potere preoccupa non poco i militari – dice Houssam Hamalawi, uno storico blogger egiziano – il collegio di difesa è agguerrito e preparato e non esiterà a giocare tutte le carte a disposizione. I generali del Csfa non vogliono che Sansone muoia trascinandosi dietro tutti i Filistei». Trent’anni di potere gestiti con il pugno di ferro delle leggi d’emergenza non possono essere responsabilità esclusiva di Mubarak e non è insignificante il fatto che l’ex presidente venga processato solo per le decisioni che ha preso nei 18 giorni della «rivoluzione del 25 gennaio» e non per i crimini precedenti denunciati per anni dai centri per i diritti umani.
Non sorprende perciò che qualche sera fa la televisione privata ONTV abbia mandato in onda un’intervista esclusiva con Hossam Badrawy, l’ultimo segretario dell’ex partito al potere Pnd, suscitando non poche polemiche. Badrawy ha raccontato i suoi ultimi giorni accanto a Mubarak dipingendo un ritratto dell’ex presidente come di un leader tenuto all’oscuro della situazione reale sul terreno dal suo entourage, di un uomo che non avrebbe compiuto le scelte giuste nei momenti più critici della rivolta popolare a causa di «consigli errati». Badrawi ha concluso sostenendo che Mubarak avrebbe scelto di non abbandonare il potere per trent’anni per non lasciare campo libero agli islamisti più radicali, un argomento tornato di attualità proprio in queste ultime settimane dopo la manifestazione oceanica tenuta il 29 luglio in piazza Tahrir al Cairo e in altre città del paese dai Fratelli Musulmani, salafiti ed ex jihadisti della Gamaa Islamiyyah che a gran voce hanno chiesto di trasformare l’Egitto in uno «Stato islamico». L’intervista giusta al momento più opportuno, hanno commentato tanti egiziani, incluso il famoso scrittore Alaa al Aswani che ha lamentato l’assenza del contradditorio durante la trasmissione televisiva e il «monologo» pro-Mubarak dell’intervistato. «Badrawi è un uomo del passato regime e ha rappresentato (Mubarak) come un eroe ingannato dal suo entourage». Aswani in questi ultimi giorni ha ripetutamente espresso dubbi sulle reali intenzioni dei militari che, a suo dire, «ritengono il processo a Mubarak non il primo ma l’ultimo atto della rivoluzione».
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