Quale significato dietro la condanna di Rios Montt in Guatemala?
Che Rìos Montt fosse un genocida e che il massacro degli Ixil fosse una parte di quell’operazione “terra bruciata” volta a tagliare l’appoggio della guerriglia presso le popolazioni contadine era cosa già evidente. Un piano fatto di omicidi e violenze indiscriminate: interi villaggi rasi al suolo, massacri, deportazioni, violenze sessuali e mutilazioni all’ordine del giorno a chiunque capitasse sotto il tiro dei militari e delle Patrullas de Autodefensa Civil (un corpo paramilitare creato arruolando e costringendo ad arruolarsi parte della popolazione contadina per avere più internità e legittimità in aree assai ostili) hanno caratterizzato una delle esperienze più drammatiche della reazione ai movimenti di guerriglia dell’America Latina che nel solo territorio Ixil ha portato alla morte di oltre 1700 persone.
Ma che cosa significa la condanna di Rìos Montt da parte dello stesso Stato che ha guidato verso la vittoria del nemico interno? Che cosa ha portato a questa sentenza e quali forze l’hanno determinata?
La diffusa soddisfazione palpabile tra le strade di Guatemala Ciudad nelle ore immediatamente successive alla condanna non deve tradire la realtà di un Paese in cui dalla sigla degli accordi di pace del 1996, quasi vent’anni di propaganda per l’equità delle responsabilità tra i due fronti hanno fatto breccia nella società guatemalteca. L’attuale capo di Stato Otto Perez Molina, generale dell’esercito proprio negli stessi anni in cui Montt era Presidente, continua a sostenere che in quegli anni non ci fu genocidio e resta impunito insieme a tutti i vertici militari (lo stesso Sanchez, capo dell’intelligence e altro imputato del processo, è stato giudicato innocente) proseguendo la sua carriera politica all’insegna del neoliberismo, dello sfruttamento dei territori e della repressione. L’impressione è quella dunque di essere di fronte a uno Stato che vuole dimostrare a sé stesso e alla “comunità internazionale” di essere in grado di rispettare e far rispettare i diritti umani, mentre continua a coprire gli omicidi e i desaparecidos che colpiscono le lotte sociali vive in diverse zone del Paese.
Lì dove i processi di antagonismo ai piani dei capitali trans-nazionali e del governo sono vivi e danno fastidio, i termini della politica istituzionale sembrano infatti riprendere, rinnovandoli, i discorsi razzisti e le pratiche repressive di trent’anni fa. Così i contadini e le comunità in lotta contro le miniere e le imprese idroeletttriche (in cui un ruolo non indifferente lo gioca l’Enel) responsabili della distruzione e dell’avvelenamento di immensi territori, continuano a confrontarsi contro un brutale potere poliziesco-militare e con centinaia di casi l’anno di desapariciones spesso conclusi con il ritrovamento dei corpi senza vita, ma ancor più spesso non conclusi.
In quei luoghi intere comunità e migliaia di persone sono in lotta contro progetti di rapina capitalista in grado di accaparrarsi tutte le risorse idriche della zona lasciando a secco i campi e le persone e responsabili di avvelenare pesantemente immense aree con il cianuro, residuo dell’estrazione dell’oro. Chi si ribella e cerca un futuro diverso dall’emigrazione di massa che gli viene prospettata viene descritto con una criminalizzazione che se ha lasciato il campo del discorso apertamente razzista degli anni ottanta, continua a dipingere i soggetti in lotta come retrogradi ignoranti contro il progresso e contro l’interesse nazionale. A ciò fanno seguito consulte popolari inascoltate, cariche e spari durante le manifestazioni, rapimenti di lider e esponenti di movimento, omicidi e criminalizzazione mediatica. Insomma un razzismo e una repressione più moderni che fanno i conti anche con forme di mobilitazione e un contesto internazionale differente.
C’è certamente da gioire, dunque, per la condanna di un criminale genocida che ha insanguinato le campagne del Guatemala sterminando migliaia di persone in nome della lotta contro il comunismo. La gioia non deve però oscurare la realtà di una condanna diretta tutta dall’interno di quelle stesse istituzioni che continuano a soffocare le istanze e le lotte dei movimenti guatemaltechi e utile anche a limpiar la cara di uno Stato guidato da un generale dell’esercito degli anni del genocidio.
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