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Regimi in transizione VS contro-potere in divenire

In attesa del nuovo venerdì della collera proponiamo un punto di vista per leggere le “transizioni” in atto nei paesi nord africani ormai attraversati da potenti movimenti rivoluzionari e d’opposizione.   

 

Libia. Tutti parlano di guerra civile (e sembra che la maggioranza del coro se la auguri) tranne le forze delle città insorgenti contro il regime del Colonnello Gheddafi. Da quelle parti della Libia, quasi la totalità del paese, si parla di rivoluzione e ci si augura che domani sia la volta buona. Da alcuni fonti apprendiamo che è stata confermata la giornata della collera per venerdì nella città di Tripoli, ultima grande rocca del rais libico già attraversata nelle scorse settimane da manifestazioni contro il regime represse ferocemente.

Sembra che la città sia completamente ferma, in attesa. Il centro e le zone dove risiede il quartier generale del rais sono militarizzate e il resto dei quartieri abbandonati (almeno per ora) dalla polizia e da quel poco dell’esercito rimasto fedele al colonnello. E’ un tempo dell’attesa solo apparente, quello che scorre in questi momenti in Libia ma non solo, perché mentre Tripoli è quasi deserta, altrove l’attivismo è ai massimi livelli: nelle città e regioni liberate iniziano ad essere organizzate istituzioni di autogoverno e a Bengasi mentre ci si concentra sulla possibilità del prossimo, definitivo attacco al rais, i portavoce del consiglio degli insorgenti per ora smentiscono ripetutamente che siano stati contattati dalla diplomazia venezuelana propostasi come mediatrice.

La frenesia legata alla Libia è ormai proiettata da giorni anche nel contesto internazionale dove tutti gli organismi sono stati attivati: il tribunale dell’Aia, la lega araba, la nato, l’Unione africana, l’Unione europea, l’Onu, e le potenze una volta amiche o storicamente avversarie del regime libico, tentano di far sentire il proprio peso, spostando navi da guerra, stracciando trattati, e firmando risoluzioni.

Dal punto di vista di chi si sta battendo in Libia per la libertà e la giustizia sociale tutto questo attivismo che si carbura, fonda e impone legittimità pubblica tramite la retorica della guerra civile, non è per niente ben venuto. Sono migliaia ormai i messaggi scritti da utenti di twitter libici nei confronti della Clinton che formano un flusso in piena di “non abbiamo bisogno di voi e dei vostri militari, ci liberiamo da soli!”.

In effetti il discorso pubblico della “guerra civile” (che unisce Gheddafi ad Obama, Berlusconi a Chavez) potrebbe configurarsi come uno strumento utile alla “transizione” dall’alto in stile libico, uno strategia politica che garantirebbe alle forze occidentali una presenza sul campo (come anche la missione di aiuti annunciata da Frattini), e offrirebbe decisamente più possibilità di fuga (politica) di Gheddafi, creando dei seri problemi alle forze insorgenti libiche. Ciò che sembra preoccupare all’establishment internazionale, oltre al petrolio e i milioni di euro investiti in Libia, è che i movimenti nord africani a lavoro contro i regimi e contro la crisi producano delle rotture radicali nella forma politica e che si crei il pericoloso (per loro) precedente storico che un popolo arabo decida di organizzarsi da sé, magari seguendo i principi di libertà ed giustizia sociale che la generazione degli insorti sembra voler rivendicare fino infondo.

Non stupirebbe quindi che la retorica della “guerra civile” possa essere una premessa ad una sua realizzazione, utile alle potenze occidentali, per giustificare una transizione “ordinata” tramite le bandiere a stelle e strisce o tricolori poco importa, da imporre con la forza alla bandiera rivoluzionaria libica. 

 

Egitto. Prima è apparsa la nota su facebook, poi la dichiarazione del portavoce del Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane per cui:”Il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha deciso di accettare le dimissioni del primo ministro Ahmed Shafiq e nominato Essam Sharaf per formare il nuovo governo”. Shafiq è stato uomo fedele a Mubarak fino alla fine mentre Sharaf era in piazza a protestare contro il rais.

L’esercito sta correggendo la linea della fermezza contro il movimento e la piazza? Per domani infatti era stata annunciata una nuova, grande manifestazione di protesta contro il governo post-Mubarak e tutto ciò (molto, troppo, come denuncia il movimento) che ancora rimane dell’apparato e dell’establishment del vecchio regime. Durante il fine settimana era stato represso violentemente una sit-in pacifico di attivisti davanti all’edificio del Consiglio dei Ministri che protestavano contro il governo e richiedevano le dimissioni di Shafiq.

La polizia è intervenuta caricando il presidio anche con manganelli elettrici e arrestando alcuni attivisti, poi processati per direttissima da un tribunale militare che ha emesso condanne da 5 anni.  La collera e la pressione del movimento, aumentata dopo l’accaduto, contro il Consiglio supremo ha consigliato a quest’ultimi di spingere il primo ministro alle dimissioni, sostituendolo, con una figura, che potrebbe essere più tollerata dalla piazza egiziana in movimento continuo contro il regime e la crisi economica. L’appuntamento di domani è stato in ogni modo confermato e segnala esplicitamente che “la transizione ordinata” indicata dalla Casa Bianca e tentata dal Consiglio Supremo dell’esercito ha a che fare con quella variabile, che già ha fatto tremare le istituzioni del regime egiziano provocando la caduta di Mubarak: il movimento.

 

Tunisia. Dopo altre giornate di scontri e di morti che il movimento rivoluzionario della Tunisia ha dovuto contare nei giorni passati, erano arrivate le dimissioni dell’impresentabile primo ministro Ghannouchi, a sostituirlo l’anziano ministro dell’epoca Bourguiba, l’ottantacinquenne  Béji Caid Essebsi. Ma durante le dimissioni di un altro ministro iniziano a circolare voci che oggi sono divenute sempre più frequenti e dettagliate. In serata sembra che il presidente ad interim della Tunisia post-Ben Ali, Foued Mebazaa annuncerà l’elezione a luglio dell’assemblea costituente, incaricata di elaborare una nuova costituzione.

Il Consiglio di Protezione della Rivoluzione, istituto autonomo formato da organizzazioni della società civile, il sindacato e una parte del sistema dei partiti tunisini (compresi quelli clandestini durante l’era Ben Ali, come il PCOT, partito comunista dei lavoratori tunisini) dovrebbe essere integrato alla Commissione nazionale delle riforme politiche. Questa commissione (nodo centrale dei rapporti, e scontri di potere, interni alle istituzioni tunisine dal 14 gennaio ad oggi) dovrebbe avere il ruolo di redigere un nuovo codice elettorale per allestire le elezioni dell’Assemblea Costituente.

All’interno del Consiglio di Protezione della Rivoluzione interagiscono diverse forze sociali e politiche dell’opposizione al regime che sono stati, in parte, anche i protagonisti delle giornate di insurrezione di metà gennaio, come l’intero ordine degli avvocati tunisini, giornalisti e attivisti per i diritti dell’uomo come Sihem Ben Sédrine, e le forze politiche raccolte nel Fronte del 14 gennaio, in cui, tra socialisti, nazionalisti e bahatisti, spicca il partito comunista dei lavoratori tunisini. In molti sono d’accordo sul riconoscere al portavoce di quest’ultima organizzazione partitica, storicamente nemica di Ben Ali e dell’RCD, Hamma Hammami un ruolo importante nei lavori del Consiglio.

La coerenza e la generosità di Hammami e dei suoi compagni (una vita tra carcere, torture e militanza rivoluzionaria) ne stanno facendo una figura autorevole, amata e rispettata nella piazza come nel Consiglio rivoluzionario. Se nelle prossime ore il primo ministro Essebsi dovesse confermare queste indiscrezioni il movimento tunisino potrebbe aver compiuto l’ennesimo grande passo avanti. D’altronde è dalla giornata della fuga di Ben Ali, che la piazza rivendica l’immediato allestimento di una costituente che azzeri completamente il vecchio regime. Intanto alla Casbah di Tunisi il presidio va avanti, mettendo in crisi anche nel piccolo stato magrebino la “transizione ordinata” che la Clinton e i suoi emissari si erano precipitati a “suggerire” all’ormai pensionato ex-primo ministro Ghannouchi.

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