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Sudore, dolore, rabbia. Un viaggio nella fabbrica globale

 

Da sfondo alle descrizioni minuziose delle modalità e dei sistemi di sfruttamento organizzati delle “vite al lavoro” di cui si parla nel titolo, c’è infatti uno sguardo globale complessivo, che incardina la situazione specifica alle dinamiche della globalizzazione neoliberista. E’ innegabile che la Cina intesa come “fabbrica del mondo”, come luogo centrale del sistema della produzione votata all’export e ai bassi salari, sia uno dei temi centrali di studio della nostra epoca di economisti, sociologi, scienziati politici di ogni orientamento volti a emettere previsioni su quello che sarà il nuovo ordine mondiale del XXI secolo che si sostituirà al caos attuale dovuto al crollo verticale del momento unipolare americano.

 

A nostro avviso, uno sguardo capace di leggere correttamente questo fenomeno non può che allargarsi ad una delle questione più centrali della Cina contemporanea, ovvero il processo di urbanizzazione in corso e la struttura delle migrazioni interne. Nel 2030 le città cinesi ospiteranno un miliardo di persone, circa una su otto nel pianeta come argomenta ad esempio Tom Miller nel libro “China’s Urban billion”. Negli ultimi 30 anni la popolazione urbana cinese è aumentata di circa 500 milioni di unità, sulla spinta delle riforme economiche inaugurate con il cosiddetto periodo dell’Apertura trainato dalla presa del potere di Deng Xiaoping, riforme che hanno avuto il risultato principale di scatenare una delle fasi migratorie numericamente più enormi e sconvolgenti della storia dell’umanità.

 

Un tale stravolgimento in prima battuta ha portato alla creazione di un enorme esercito di forza-lavoro a basso costo che ha sostenuto il modello di sviluppo basato sull’export, ovvero il sottofondo su cui si muove la ricerca degli autori. Ma se in passato tutte le analisi si sono concentrate sullo sviluppo delle aree costiere e in particolare del Guangdong, la regione meridionale vero polmone della Cina “fabbrica del mondo”, il pregio del testo è quello di alzare l’attenzione, attraverso l’analisi dei nuovi stabilimenti nelle metropoli della Cina occidentale (a Chengdu nel Sichuan, o nella municipalità di Chongqing) e dei processi di trasformazione e sviluppo delle aree un tempo definite come arretrate del paese. Aree che ora rivestono un ruolo fondamentale nelle possibilità di sostenere, con la loro modernizzazione, la stabilità dei ritmi di crescita economica cinese.

 

Per Saskia Sassen, come esposto in “Città globali”, le metropoli assumono sempre più un ruolo strategico all’interno dei processi di globalizzazione. I grandi poli urbani diventano sempre più centri direzionali su scala globale, vedendo concentrarsi intorno a sé l’apparato dei servizi ad alta qualificazione (finanza, pubblicità, marketing, comunicazione). Allo stesso tempo però necessitano di una forte presenza di lavoratori manuali che assicurino da un lato la manutenzione delle strutture direzionali, dall’altro i servizi alle persone richiesti dagli strati sociali ad alto reddito. Città come Chongqing, una delle cinque municipalità autonome della RPC, si sono sviluppate enormemente negli ultimi anni, diventando un vero e proprio hub strategico della Cina centro-occidentale e avviando rapidamente il suo processo di transizione a città globale e centro direzionale della stessa area geopolitica. Non è un caso che sulla gestione spaziale e politica di quei territori (pensiamo, allargando lo sguardo, allo Xinjiang e ai conflitti che lo attraversano) si stia giocando una delle partite decisive della presidenza Xi Jinping.

 

Altre dimensioni analizzate nel testo meritano di essere sottolineate. La particolarità della Foxconn è l’intreccio mortifero, nel regime di relazioni industriali che agisce, tra gli ambiti della produzione e della riproduzione. Il regime dei dormitori, brillantemente descritto nel libro come già era stato sviluppato nel precedente testo di Pun Ngai, “La società armoniosa” (JacaBook, edizione italiana del 2012), monopolizza il tempo libero dal turno in fabbrica creando le condizioni di una totale identificazione della vita degli operai con la Foxconn. Questo sistema di produzione descritto nella sua durezza sulle figure reali che lo subiscono quotidianamente traccia le coordinate di un’esistenza all’interno della quale l’alternanza tempo di lavoro/tempo di vita sostanzialmente si dissolve, fondendo le dimensioni della produzione e della riproduzione in un unico contesto urbano.

 

Un sistema che non è segno di arretratezza o di una presenza di un modello di sviluppo simile a quello inglese ottocentesco, perchè la sua declinazione nel contesto presente si inserisce all’interno della globalizzazione economica e della sua crisi globale: basti pensare alle condizioni di lavoro applicate dalla Foxconn ad esempio nei suoi stabilimenti in Repubblica Ceca e in Polonia (descritte nei preziosi capitoli che arricchiscono la parte finale del testo). Ma in questo contesto non mancano le resistenze operaie: dall’utilizzo del suicidio come arma politica -una pratica che affonda le sue radici nella storia della società cinese, su questo utile leggersi il capitolo di Sing Lee e Arthur Kleimann in “Chinese Society: Change, conflict and resistance” (Routledge 2010) – alla ribellione verso gli insegnanti che diventano nient’altro che caporali nei confronti dei tirocinanti impiegati in fabbrica; dagli scioperi bianchi ai tentativi di rompere per quanto possibile la segmentazione sociale operata da un sistema come quello della Foxconn, che tende a costruire linee alla catena di montaggio dove ogni operaio non riesca a comunicare per ragioni linguistiche e di provenienza geografica con gli altri.

 

Se qui da noi il ministro Poletti parla della necessità di ridurre le ferie degli studenti per sottoporli a prestazioni lavorative (“3 mesi di vacanza sono troppi”), in uno dei capitoli più interessanti e innovativi del testo, quello che riguarda appunto l’utilizzo della forza-lavoro dei tirocinanti, si descrive come il paradigma della produzione fordista applicato acriticamente nel descrivere il modello industriale cinese si rivela decisamente inadeguato. Oltre a gettare un’importante dubbio nei confronti di chi descrive come una causa di crollo imminente della sostenibilità cinese la riduzione progressiva della forza-lavoro migrante disponibile per le aziende, la ricerca descrive una realtà peculiare che è quella di una sempre maggiore capacità della Foxconn (ma non solo) di adeguarsi al ritmo di produzione toyotista, del just-in-time, mixandolo con una disciplina lavorativa invece pienamente taylorizzata.

 

Un mix che delinea così la particolarità di un’azienda come la Foxconn nell’estrarre valore da diverse figure sociali (non solo più l’operaio-contadino migrante, il cosiddetto nonmingong, ma anche dagli studenti). Chi vorrebbe descrivere lo sviluppo cinese nei termini di un sistema di organizzazione della produzione e di relazioni industriali unico, dovrebbe piuttosto volgere lo sguardo verso un paradigma fatto di compresenza di diversi modelli di relazioni industriali all’interno di un paese che viaggia a seconda dei contesti geografici e socio-economici a decine di velocità diverse.

 

Un mix sostenuto dalle politiche dei governi locali e di quello nazionale, che sono l’altra parte necessaria del sistema Foxconn e che ne assicurano la tenuta. La possibilità di poter mettere in campo in tutta libertà violazioni riguardo l’orario massimo di straordinario e il loro pagamenti, riguardo l’impiego e il trattamento dei tirocinanti, riguardo elementi come la gestione degli infortuni sul lavoro ed altro ancora è ovviamente da ricondurre all‘appoggio incondizionato dello Stato che non ha ancora rinunciato alla strategia di creare il più possibile capitali stranieri sebbene questi si stiano iniziando a dirigere verso altri quadranti geopolitici (Sud-Est asiatico in primis) dotati di migliori opportunità rispetto ad un paese in cui i salari, seppur minimi, iniziano a crescere sullo sfondo dei conflitti operai.

 

In sostanza, un libro preziosissimo in primis per lo stile e il metodo con cui è stato realizzato, che vede come idea di partenza l’idea di trascrivere su carta il sudore e il dolore degli operai oggetto e soggetto di un’inchiesta pluriennale e contemporaneamente riuscire ad inquadrarla nella descrizione del contesto globale in cui matura quella sofferenza.

 

 

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