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Tornado negli USA : tra cambiamento climatico e interessi economici mondiali.

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Qualche giorno dopo l’abbattimento di diversi tornadi in alcune zone del nord America, in particolare in Kentucky, Illinois, Arkansas e Missouri abbiamo intervistato Alessandro Belfanti, professore all’Università di Toronto, provando ad analizzare insieme quanto accaduto tenendo conto della variabile climatica, di come il sistema economico mondiale influisca su di essa e quali scelte politiche ne conseguono. 

Secondo gli esperti sono almeno 1200 all’anno i tornado che colpiscono queste aree in maniera specifica, più di quattro volte rispetto agli altri paesi in cui si verificano questi fenomeni climatici. Inoltre, la violenza di questo tornado è stata particolarmente forte ed è stato insolito il fatto che si abbattesse in questo periodo dell’anno, dato che in inverno dovrebbero essere molto più rari. Questo è sicuramente frutto delle conseguenze del cambiamento climatico e dell’aumento generale delle temperature. Il servizio meteorologico nazionale in quei giorni aveva emesso 146 avvisi, il maggior numero registrato dal mese di dicembre, nonostante questo alcune fabbriche, tra le quali una fabbrica di candele a Mayfield in Kentucky in funzione ventiquattro ore su ventiquattro per garantire la produzione di candele in vista del natale e un magazzino Amazon a Edwardsville in Illinois, hanno obbligato i lavoratori a rimanere sul posto di lavoro, impedendo loro di utilizzare il cellulare per ottenere informazioni sull’andamento del tornado. Questa decisione ha causato la morte di diverse decine di persone. I ricercatori meteorologici dicono che i tornado si stanno verificando in gruppi sempre più grandi e che gli elementi climatici verificatisi in concomitanza con questo tornado sono tipici della primavera e non di questo periodo dell’anno. Secondo un articolo[1] apparso su una rivista scientifica che misura la distribuzione spaziale di fenomeni di questo tipo, viene sottolineato come gli effetti del cambiamento climatico abbiano portato negli ultimi 30 anni a delle differenze nell’andamento del fenomeno. Si è verificata infatti una diversa distribuzione geografica dei tornadi tra periodi che vanno dagli anni 50 ad oggi con una parallela diminuzione nell’area considerata “Tornado Alley” rispetto ad altre zone che stanno diventando i nuovi epicentri.

La vicenda rappresenta magistralmente il problema della sicurezza sul lavoro vista la decisione di far entrare in turno lavoratori e lavoratrici nonostante i numerosissimi rapporti usciti nelle ore precedenti all’abbattimento del tornado sulla fabbrica di candele e sul magazzino Amazon. Il ceo, Andy Jassy, si dichiara “col cuore spezzato”. Oltre il danno – incommensurabile – pure la beffa. La gente che è morta scriveva alla famiglia che non poteva uscire dalla fabbrica. È possibile in America invertire la tendenza tale per cui il ricatto sul lavoro in ambiti come la logistica per le multinazionali arriva a costarti la vita?

Da un certo punto di vista questi fatti non sono una novità nella storia del capitalismo, infatti è stato dimostrato più volte che il capitale è disposto a rischiare le vite dei lavoratori pur di guadagnare. Questo accade dall’inizio della storia del capitalismo industriale in modi differenti ma pur sempre drammatici. Ciò che possiamo sottolineare è il fatto che il cambiamento climatico ha un ruolo fondamentale nella minaccia alla salute e alla sicurezza delle persone in generale ma anche alla salute e alla sicurezza sui posti di lavoro. I tornado non sono una novità in nord America ma penso che sia possibile identificare un collegamento diretto tra la violenza di questi tornadi e i cambiamenti climatici che si stanno verificando negli ultimi decenni. Una cosa che va sottolineata è che alcune delle aziende coinvolte sono aziende che contribuiscono ad accelerare il cambiamento climatico non solo per il modello di business ma anche per altri fattori. Amazon ad esempio è una di queste, non solo perche ha una flotta di aerei per spedire le merci in giro per il mondo, non solo perchè il suo obiettivo è aumentare i consumi quindi aumentare il contributo della società dei consumi al cambiamento climatico ma anche per delle sue specificità. Per esempio il fatto che Jeff Besoz investa in ricerche che hanno come obiettivo rendere accessibile i viaggi nello spazio come forma di turismo indica il suo coinvolgimento in un’ulteriore accelerazione nel rilascio di anidride carbonica. Ci sono dei calcoli che dicono che il volo della durata di dieci minuti fatto da Besoz quest’estate, con un razzo a forma fallica nella stratosfera, ha contribuito al cambiamento climatico tanto quanto cento viaggi transatlantici per ogni passeggero. C’è un vortice di fattori che si collegano, come il fatto che i magazzini Amazon siano insicuri, come il fatto che ci siano tantissimi incidenti sul lavoro, come il fatto che i magazzini Amazon siano molto più pericolosi della media di altri magazzini e che vi siano impiegate persone altamente ricattabili. In questo quadro non solo aumenta il rischio sul posto di lavoro ma aumenta il rischio generale del cambiamento climatico, in questo caso si sono incrociate entrambe le variabili: sia il rischio sul lavoro sia il rischio che tutti noi affrontiamo per il cambiamento climatico. Amazon è l’azienda simbolo di quanto il capitale si disinteressi nel sottoporre non solo i suoi lavoratori ma in generale la popolazione globale a questi rischi.

È sempre più frequente il green washing delle aziende, dalla promozione di progetti per la tutela ambientale, dal piantare alberi, dal riciclo delle materie utilizzate. Quanto questa retorica sta inficiando la ricerca e la possibilità di lottare per effettivi miglioramenti delle proprie condizioni di lavoro?

Quanto funziona per lavare le coscienze dei consumatori a discapito invece di comportamenti eticamente corretti, seppur di efficacia parziale perché non risolutivi della questione generale, come il boicottaggio individuale di certe piattaforme?

Chi si occupa materialmente di costruire quest’immagine green, da dove vengono i saperi sfruttati in questo senso, chi sono i responsabili delle manovre di green washing all’interno delle grandi multinazionali? (chi fa i siti, chi ci mette le expertise ricercatori? aziende?) 

Le grandi aziende multinazionali stanno investendo tantissimo sul green washing. Ne è stata un esempio la conferenza sul clima di Glasgow di due mesi fa, pesantemente sponsorizzata dalle grandi multinazionali comprese quelle della tecnologia, da Google alla British Petrolium. Le aziende in questo caso hanno avuto la possibilità di tenere un piede dentro alla discussione internazionale sul cambiamento climatico e fondamentalmente quest’operazione ha avuto il ruolo di rallentare o fermare possibili soluzioni. Il problema della crisi climatica si riassume nel conflitto diretto tra la possibilità di affrontarla e la possibilità di continuare a vivere in un sistema capitalistico basato sulla crescita. Gli scienziati ci stanno dicendo che per aver una vaga speranza non basta comprare una macchina ibrida o cambiare i consumi individuali, si tratta del fatto che un modello di produzione e di consumo tipo Amazon non dovrebbe esitere nella forma corrente. È chiaro però che le aziende non hanno alcuna intenzione di andare in questa direzione, dobbiamo invece immaginarci una prospettiva in cui sarà imposta una drastica riduzione dei consumi, in cui verranno varate delle leggi in modo da rendere illegali i viaggi in aereo per motivi turistici o atte a impedire l’utilizzo dell’auto privata, questo è il livello delle soluzioni che in futuro ci troveremo ad affrontare. Quindi il green washing ha di sicuro un ruolo da promoter importante, ad oggi le aziende hanno dipartimenti interi che hanno questo ruolo, fondamentalmente cercano di mantenere le cose come stanno oppure hanno un approccio ideologico che sviluppa soluzioni tecnologiche al cambiamento climatico. Ad esempio la linea tenuta da Bill Gates lo ha fatto diventare protagonista della questione climatica spingendo su soluzioni tecnologiche non a breve termine, purtroppo però la crisi invece è già qua ed è gia da 30 anni che la questione si sta aggravando.

Rispetto alla questione delle lotte dei lavoratori in Italia abbiamo un esempio storico dei lavoratori del petrolchimico di Marghera che negli anni 60 – 70 fecero lotte molto difficili contro i rischi per la salute sul posto di lavoro a causa della manipolazione di prodotti chimici ma anche sugli effetti del petrolchimico sul territorio intorno a Marghera. Quindi la loro lotta era attenta non solo alle condizioni all’interno delle fabbriche ma anche alle conseguenze sulla comunità riuscendo a porre dei cambiamenti sul modo in cui si produce in quel settore. Lo stesso tipo di questione se la devono porre i lavoratori che si trovano in queste industrie oggi, ossia come riconvertire la produzione perchè sia sicura non solo per chi ci lavora ma anche per il territorio intorno, per evitare che contribuisca al disastro in corso a livello globale. Un esempio in questo senso è quello di alcuni impiegati in un’ industria Amazon, nello specifico ingenieri e addetti al marketing, che a Seattle da qualche anno stanno facendo pressione sull’azienda per la giustizia climatica. La risposta per ora è stata quella di licenziarli con scuse non attendibili e per questo ora sono in tribunale. Il posto di lavoro è uno dei campi di battaglia in cui la lotta alla crisi climatica si darà in futuro.

Una ricerca uscita su Sciencedirect si chiede se esperienze drammatiche come questa possano effettivamente influenzare l’opinione pubblica in un modo che vada oltre l’impatto umano ed emotivo ma che costruisca un ragionamento articolato in relazione al cambiamento climatico e quindi alle cause di questo. Per l’articolo pare che non ci sia questa evidenza.

Secondo te quali sono i modi per andare a sollecitare un posizionamento condiviso che vada oltre l’idea di “catastrofe”, anche relativamente a tutti quei fenomeni che si verificano nel post-evento e le conseguenze che questo tipo di situazioni spesso hanno (sciacallaggio, crisi economica, corruzione, speculazione edilizia ecc) che tipo di intervento si può invece immaginare, come si dovrebbe agire? 

Tantissimi sondaggi di opinione dicono che la popolazione è già molto preoccupata per il cambiamento climatico ed è disposta a cambiare come vive e consuma. Il problema non è l’opinione di fronte al disastro, i disastri sono ormai diffusi in mezzo mondo, il Canada ad esempio in questi ultimi mesi ha avuto una serie di disastri di proporzioni apocalittiche dove quest’estate ondate di calore hanno causato diversi morti e cancellato una cittadina intera. La popolazione è abbastanza cosciente del legame che c’è tra questi fenomeni e gli effetti legati ai cambiamenti climatici, nei sondaggi in tanti dicono anche di essere pronti a cambiare il proprio modo di vivere, il problema è la politica e il ruolo che il capitalismo ha nel controllare la politica impedendo che si facciano dei cambiamenti. Un fenomeno simile si ha avuto con i danni legati al fumo di tabacco, per decenni le industrie del tabacco sono riuscite a insabbiare i rischi legati al consumo di tabacco e a impedire che venissero fatte leggi per tutelare le persone da quel problema. Oggi, le aziende petrolifere vanno alla conferenza globale sul clima mandando i lobbisti a influenzare le decisioni che potrebbero essere prese, le classi politiche occidentali a parole sono interessate al cambiamento climatico ma nessun paese ha fatto i passi che dovremmo fare, nessuno ha agito alla scala a cui dovremmo agire. Molti stanno sostenendo che il movimento climatico debba diventare un movimento rivoluzionario, crescere molto e diventare un movimento più radicale perchè ci si immagina cosa potrà succedere quando i disastri saranno ancora più comuni e ancora più devastanti.

 

[1] https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0959378019303929

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