Tra sindacato e globalizzazione: Amazon cambia pelle?
Non sarà facile e nemmeno scontato. La vittoria di Amazon Labor Union (ALU), di un mese fa, nel grande magazzino JFK8 di Staten Island a New York ha segnato sicuramente un passaggio importante per l’organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici nei centri logistici di Amazon negli Stati Uniti. Il messaggio è stato: Amazon e le grandi corporation si possono battere sui luoghi di lavoro e non solo. Un messaggio amplificato dalla cinquantina di negozi Starbucks che dal dicembre scorso a oggi hanno vinto le elezioni sindacali.
Di FELICE MOMETTI per Connessioni Precarie
Se un mese fa Amazon aveva sottovalutato la presenza, il radicamento e il dinamismo di ALU a JFK8, adottando gli stessi comportamenti anti-sindacali sperimentati in questi anni contro i sindacati tradizionali, con le elezioni nel magazzino di smistamento LDJ5 – sempre a Staten Island – la strategia è cambiata. E il risultato è stato diverso. Su 1.633 lavoratori e lavoratrici aventi diritto di voto, 380 si sono espressi a favore del sindacato e 618 si sono dichiarati contrari. L’azione antisindacale e ricattatoria di Amazon si è concentrata nell’impedire l’uso di spazi interni, la possibilità di relazioni tra lavoratori, la diffusione di materiale del sindacato, l’uso dei social network all’interno della struttura. Un vero e proprio blocco dell’agibilità sindacale in qualsiasi forma: compresa una videosorveglianza integrata con i tempi dettati dall’algoritmo. Un esercizio di potere dispotico nel controllo della forza-lavoro. Per un mese Amazon ha distaccato nel magazzino LDJ5 gran parte dei suoi consulenti antisindacali, da 300 dollari all’ora, che ha agito in modo sistematico soprattutto sui lavoratori e le lavoratrici con contratti part-time che rappresentano l’80% dei dipendenti dell’intera struttura. Sono state vietate persino le domande e le richieste di chiarimenti nelle riunioni antisindacali obbligatorie durante l’orario di lavoro. Bisogna anche aggiungere che ALU ha decisamente meno attivisti e iscritti in questo magazzino rispetto a JFK8.
Per Amazon subire una seconda sconfitta nel centro logistico di Staten Island avrebbe significato anche rivedere la centralità strategica del sito, collocato tra il terminal portuale di New York/New Jersey, l’aeroporto internazionale di Newark e uno snodo autostradale tra i più importanti degli Stati Uniti. L’hub logistico di Staten Island, ovvero il Matrix Global Logistics Park – un nome, un programma ‒ in cui oltre ad Amazon c’è anche Ikea, è stato pensato e costruito con una metodologia chiamata design-build-develop. Una progettazione e una costruzione aperta a continui sviluppi degli spazi interni, esterni e della loro proiezione territoriale. In cui c’è una continua sperimentazione dei modi di organizzazione del lavoro all’interno di un’area metropolitana in cui circolano quasi tre milioni tra pacchi e imballaggi al giorno. In altri termini, il centro logistico di Staten Island per Amazon è un polo strategico nel processo di ristrutturazione che ha avviato dopo gli stratosferici profitti accumulati durante le ondate più dure della pandemia. Di fronte al combinato disposto della pandemia e della guerra, Amazon cerca di anticipare le tendenze della globalizzazione che verrà. Quindi, di sviluppare solo gli hub logistici strategici e ampliare il raggio di azione di Amazon Web Services (AWS), che già ora garantisce più del 70% degli utili operativi. La conferma, della scorsa settimana, del contratto da dieci miliardi di dollari che la National Security Agency (NSA) stipulerà con AWS e non con Microsoft per la realizzazione di un cloud computing di analisi, dati e informazioni classificati va in quella direzione. Amazon ha già cambiato pelle? Da gigante del e-commerce ad attore che gioca un ruolo importante nella governance dell’intelligence community degli apparati dello Stato? Molti segnali dicono che la possibilità è reale. In uno scenario del genere anche la sconfitta in un magazzino di smistamento può avere ricadute imprevedibili. E un piccolo sindacato combattivo, non uniformabile alle grandi confederazioni nazionali, come ALU può essere una minaccia. Ad ora quasi 150 magazzini di Amazon hanno preso contatti con ALU per informazioni e scambi di esperienze. A metà giugno è stato convocato un incontro di 4 giorni in ALU e i magazzini interessati discuteranno dei modi di coordinarsi e sviluppare il conflitto. Un appuntamento importante in una fase che vede emergere un protagonismo di una forza-lavoro giovane, multirazziale non gravata dal peso delle sconfitte dei decenni precedenti.
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