Truppe in Niger: controllo, sicurezza e profitto
Non su una slitta tirata da renne ma da una portaerei il giorno della vigilia di Natale, a pochi giorni dallo scioglimento delle camere, il premier Paolo Gentiloni ha consegnato il proprio dono agli alleati francesi e agli investitori italiani ufficializzando l’invio di 470 uomini con 130 mezzi nel nord del Niger. Obiettivi manifesti: fermare i flussi migratori dal corridoio del Sahel e il contrasto alla guerriglia islamista.
Ma sotto le fanfare e le frasine da maquillage umanitarista minnitiano si può sentire l’affanno della diplomazia italiana. L’accelerazione delle crisi mediorientali con lo sfaldarsi delle locali istituzioni sovrane insidiate dalla azione predona di bande armate più o meno affiliate alle formazioni islamiste, hanno proiettato le relazioni diplomatiche con questi paesi sul terreno del diretto investimento in presenza militare sul campo per il controllo dei territori e la tutela degli interessi occidentali.
La corsa è aperta. Aree tradizionalmente sotto l’influenza francese hanno ad esempio visto un rafforzamento anche della presenza militare tedesca. L’Italia vuole essere della partita dismettendo parte dei propri contingenti in Iraq e Afghanistan e concentrando la proprie forze nel nord del Niger. È la politica estera orientata al continente africano dell’aiutiamoli a casa loro di Minniti I compiti ufficiali della missione riguardano il contrasto alle tratte clandestine (con non ben chiare regole d’ingaggio), l’addestramento di forze di polizia nigerine e il sostegno alle operazioni della missione antiterrorismo tra Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad di cui la Francia è alla guida dal 2014 con un contingente di 3000 uomini insieme a tedeschi e a pochi uomini e qualche drone americano.
La comprimarietà rispetto ai francesi è manifesta, è da loro che si prendono gli ordini. Il contingente italiano verrà dislocato a Niamey per l’addestramento delle forze locali ma gran parte sostituirà la guarnigione francese di stanza all’avamposto di Madama, a poca distanza dalla frontiera libica. Il controllo del corridoio libico è di vitale importanza. È lì che si giocano i principali interessi degli sforzi militari, non solo in funzione del controllo dei flussi migratori ma soprattutto per il controllo delle risorse del territorio. Eppure anche se l’Italia sgomita il campo è minato.
Il dislocamento del contingente italiano nel Fezzan, l’area meridionale del deserto libico al confine con il Niger, sarebbe stata una scelta più conseguente a questa strategia ma la debolezza politica italiana schierata con Sarraj a capo del governo di Tripoli non permette di contrapporsi direttamente nei territori controllati dal generale Haftar, concorrente di Sarraj. Inoltre con la recente scoperta di giacimenti d’oro un eventuale intervento italiano sul Fezzan avrebbe ostacolato le mire francesi sulla regione. Il rapporto tra controllo dei territori e guerra sul controllo delle risorse è sempre più manifesta come anche testimonia l’esplosione di un maxi oleodotto ieri in Cirenaica sembra causata da un attacco islamista che ha fatto subito schizzare alle stelle il prezzo del petrolio sui mercati europei.
Ma se l’Italia viene cooptata in una missione relativamente distante da un suo diretto coinvolgimento nell’area libica, la zona del Saehl rappresenta un’altra zona di interesse strategico. Come segnala Senza Soste il Niger ha ottenuto dalla conferenza dei donatori di Parigi, la stessa che coordina con Francia e Germania in testa la missione militare antiterrorismo, un finanziamento di 23 miliardi di dollari per aiuti allo “sviluppo e alla sicurezza” destinati alle imprese europee. Anche le imprese italiane vorrebbero banchettare.
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