Tunisia: il governo schiera l’esercito, le proteste non si fermano
Mentre il governo afferma di aver ristabilito la calma in tutto il paese tramite l’esercito, a pochi giorni dal settimo anniversario della cacciata di Ben Ali la situazione è tutt’altro che pacificata.
Sono già 778 gli arresti effettuati da lunedì scorso in Tunisia nell’ambito della repressione alle proteste di piazza scoppiate negli scorsi giorni nel paese.
Le proteste negli scorsi si sono spinte fino a colpire anche un avamposto militare al confine con l’Algeria, a Thala, costringendo il governo a schierare l’esercito al confine in fretta e furia.
Le contrapposizioni più recenti si sono sviluppate nei territori di Kasserine, Siliana, Douz, e nei quartieri tunisini di Ibn Sina ed El Mourouj. La polizia ha avuto l’affiancamento dell’esercito nel difendere gli edifici pubblici politicamente sensibili, tra cui tribunali, caserme, uffici governativi.
Il premier Chaled, in crisi nei sondaggi e in calo enorme di popolarità, ha affermato che ci sarebbe una rete di “corrotti e di contrabbandieri” dietro le proteste, mentre il Ministro degli Investimenti Ladhari difende a spada tratta la sua riforma finanziaria da buon burattino del Fondo Monetario Internazionale da cui è ispirata l’ennesima riforma economica lacrime e sangue per il paese.
L’enfasi sulla presenza di estremisti islamici all’interno dei manifestanti è utilizzata senza sosta per criminalizzare e negare la politicità delle proteste, mentre “Pane, acqua e niente Nidaa e Ennadha” è lo slogan che riecheggia nelle piazze, riprendendo quello del 2011 che sostituiva agli attuali partiti di governo il nome del rais Ben Ali. In Tunisia è attivo lo stato di emergenza sin dal novembre 2015.
Da sottolineare la composizione sociale che prende parte ai cortei, descritta dal portavoce del Ministro dell’Interno Chibani: “Oltre la metà dei quasi 800 arrestati per i disordini di queste ultime notti in Tunisia ha un’età compresa tra i 21 e i 30 anni, il 31,53% tra i 15 ed i 20. Le accuse nei loro confronti sono devastazione, furto, saccheggio, oltraggio a pubblico ufficiale”.
Dati che fanno percepire la grave problematica generazionale nel paese, che ha un’età media molto bassa e una scolarizzazione di buon livello a cui non si accoppia però alcuna possibilità di ottenere un lavoro e un reddito dignitoso. La proposta del Ministero della Difesa di aggiungere il requisito di aver svolto la leva militare per poter trovare lavoro si aggiunge ad una situazione già tesa.
Il Fronte Popolare tunisino ha intanto lanciato per domenica 14 una manifestazione contro le politiche di austerità del governo e per la ripresa del processo rivoluzionario del 2011. Anche il sindacato Ugtt ha chiesto al governo una modifica della legge finanziaria improntata ad una maggiore equità sociale, ma i cordoni del governo sembrano essere molto stretti a causa della ferrea volontà di adempiere ai diktat delle organizzazioni economiche internazionali.
Intanto, come si apprende dai giornali, l’Italia prepara la sua missione militare nel paese, sotto l’egida della Nato e con l’obiettivo di supportare la costituzione di un comando interforze delle Forze Armate Tunisine. La missione va letta nell’ottica del continuo spostamento a sud delle frontiere del paese (e di conseguenza dell’Unione Europea) che sta vedendo i principali paesi europei impegnati a militarizzare il Nordafrica e la fascia subsahariana del continente (Niger, Mali). Chissà se l’aiuto alle forze armate tunisine per la stabilizzazione del paese non significherà anche affiancamento nella repressione dei conflitti sociali…
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