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Turchia, fatta pulizia interna l’incubo di Erdogan torna la situazione in Kurdistan

Arriva ad una quasi definitiva conta numerica l’ondata repressiva di Erdogan nei confronti dei presunti “sostenitori e organizzatori” del golpe di una notte dello scorso venerdì 15 luglio. Negli scorsi dieci giorni sono stati più di 13.000 i membri dell’esercito, della magistratura, del mondo dell’istruzione finiti in galera venendo definiti complici del radicamento nel paese di Fethullah Gulen, ormai noto in tutto il mondo dopo che Erdogan gli ha attribuito le responsabilità del golpe poi fallito.

Il premier Yildirim ha definito gli arrestati “attivi supporter dell’organizzazione terroristica gulenista”, mentre anche la sfera della comunicazione ha visto un’ondata censoria che ha portato prima alla chiusura di 24 radio legate, secondo Erdogan, a Gulen, e poi oggi all’emissione di 42 mandati di arresto nei confronti di molti giornalisti tra cui l’editore di Hurriyet, da sempre fortemente critico verso il regime.

Recentemente Gulen ha negato ogni responsabilità nel golpe, sul quale si addensano nubi rispetto alla sua evoluzione storica; infatti i vertici dei servizi segreti hanno dichiarato negli scorsi giorni che i gradi di livello alto dell’esercito fossero stati avvertiti circa 4 ore prima dello scoppio del golpe, cosa che lascerebbe credere al fatto che i militari siano stati lasciati agire proprio per dare il via, sull’onda emozionale, a purghe e ondate di arresti già decise prima.

Lo stesso Gulen è stato oggetto di richiesta di estradizione da parte della Turchia nei confronti degli Stati Uniti, i quali si sono detti pronti a collaborare in caso di accertamento di precise responsabilità nel tentato coup da parte del 75enne ex partner di Erdogan nell’ascesa dell’AKP al potere. Ma aldilà del politichese è alta la tensione, con gli Stati Uniti e l’Europa che non hanno mancato di sottolineare – coerenti con la loro strutturale ipocrisia rispetto a quanto succede nei propri territori- la criticità della vendetta evidente di Erdogan nei confronti della società tutta. Vendetta esemplificata nella proposta di ritornare alla pena di morte e da un forte ricorso alla mobilitazione popolare contro i golpisti che ha portato a numerosi episodi di linciaggio e ad una fortissima ripresa del discorso nazionalista

Ieri intanto sono scese in piazza centomila persone ad una manifestazione che,  più che essere espressamente anti-Erdogan come descritto da alcuni giornali, è stato il primo episodio di un tentativo di distensione del Sultano verso gli altri partiti “ragionevoli” del paese come il socialdemocratico CHP, organizzatore del corteo e dichiaratosi nelle ore del coup contrario ad ogni torsione antidemocratica nel paese, per quanto critico nei confronti della proclamazione dello stato d’emergenza. Nei prossimi giorni ci saranno una serie di incontri tra Erdogan e i principali leader di partito turchi, tra cui ovviamente non figurano i parlamentari curdi dell’HDP, colpiti da una fortissima serie di arresti e da intimidazioni d’ogni tipo per quanto, come ovvio, lontanissimi dalla pratica e dall’ideologia dei putschisti.

Di oggi invece la notizia, ripresa dai principali giornali vicini ad Erdogan, delle dichiarazioni di membro dell’intelligence di Ankara, il quale avrebbe espressamente parlato di golpe “orchestrato dalla CIA” tramite il lavoro del generale Campbell e l’utlizzo logistico di una banca in Nigeria per finanziare il golpe e l’ingresso nel paese, due giorni prima del golpe, del braccio destro di Gulen Halis Hanci, anche egli arrestato in questi giorni. Una dichiarazione che aldilà della sua veridicità sembra accentuare e rendere sempre più profondo il distacco tra la Turchia e il blocco USA-UE, in un processo che potrebbe portare a modificazioni dei rapporti di forza nell’area in relazione soprattutto ad un indebolimento dell’Arabia Saudita e ad un rafforzamento dell’Iran nel contesto regionale sfruttando proprio le difficoltà tra Riad e Ankara, con quest’ultima obbligata dalla rottura con gli Stati Uniti ad appoggiarsi alla Russia principale alleata di Assad.

L’Unione Europea stessa ha minacciato conseguenze irreparabili nei negoziati tra Ankara e Bruxelles in caso di ritorno della pena capitale, in una raro gesto di ipocrisia verso una realtà che parla di confini assassini della stessa UE e di accordi fatti a suo tempo con lo stesso Erdogan sulla gestione dei rifugiati siriani quando Erdogan già era noto per la brutale repressione interna verso soprattutto i curdi. Per citare solo un personaggio a noi geograficamente vicino, la Boldrini ha parlato di “errore” rispetto alla negoziazione con la Turchia, accorgendosi solo adesso del fatto che la Turchia neghi perfino ai suoi cittadini quei diritti basilari che dovrebbe accordare ai profughi siriani. Che intuito!

Del resto la Turchia in Siria, inutile ripeterlo forse, è protagonista delle peggiori atrocità attraverso il suo sostegno diretto e indiretto allo Stato Islamico. E per alcuni è proprio l’avanzata sempre più caparbia e vittoriosa dell’Ypg nella campagna per la conquista di Manbij a non far dormire sonni tranquilli ad Erdogan, dato che una vittoria curda taglierebbe definitivamente le linee di comunicazione tra l’Isis e la Turchia assestando un colpo forse irrimediabile al sedicente Califfato. Il riavvicinamento alla Russia e al suo blocco regionale potrebbe essere proprio un modo per Erdogan di provare a fermare l’avanzata vincente curda prima che sia troppo tardi, negoziando in qualche modo con Putin un accordo comprensivo sull’area..

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