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Turchia: piazza Taksim condannata

In 255 sono stati condannati da un tribunale di Istanbul per aver preso parte alle proteste di Gezi Park del del 2013 quando, a cavallo tra maggio e giugno,  centinaia di migliaia di persone scesero in strada a manifestare contro le politiche intraprese dal governo islamista, guidato dall’allora prima ministro Recep Tayyip Erdogan, oggi presidente della Repubblica turca. Le proteste furono duramente represse dalle forze di polizia, con un bilancio di otto vittime, circa ottomila manifestanti feriti e centinaia di arresti. Per quell’uso sproporzionato della forza, nessun agente è ancora stato condannato. Per i dimostranti, invece, si aprono ora le porte del carcere.

Stando a quanto riportano le agenzie di stampa turche, ai 255 imputati – tra cui ci sono anche sette stranieri – sono state inflitte pene che vanno dai due ai 14 mesi di prigione, a fronte di un massimo di 12 anni richiesti dall’accusa. Tra le imputazioni figurano il danneggiamento di luogo di culto, il ferimento di dipendenti pubblici, il dirottamento di veicoli del trasporto pubblico e la protezione di criminali. Quest’ultima accusa è costata il carcere anche a quattro medici, colpevoli di aver soccorso i manifestanti nella moschea di Dolmabahce in cui un gruppo di persone aveva trovato riparo dalle violenze della polizia.

Dottori e pazienti sono stati inoltre accusati di aver “inquinato” la suddetta moschea, con Erdogan che li biasimava per essere entrati nel luogo di culto “con le scarpe e bevendo birra”, mentre l’imam della moschea testimone degli eventi negava categoricamente le accuse dell’allora primo ministro.

Si chiude qui il lungo processo, iniziato un anno e mezzo fa, che non ha avuto omologhi nei confronti delle forze dell’ordine. Lo denunciava Amnesty International già lo scorso anno, in occasione dell’anniversario delle manifestazioni di Gezi Park: “Le autorità turche – aveva dichiarato Salil Shetty, segretario generale dell’organizzazione – non hanno mai cessato il loro giro di vite sui manifestanti – che si tratti di violenza della polizia nelle strade o della loro persecuzione attraverso i tribunali. Nel frattempo la polizia gode di totale impunità. Il messaggio è chiaro: le manifestazioni pacifiche non saranno tollerate”.

L’unica nota stonata nel coro delle autorità turche era stato il giudice Mehmet Selim Kiraz, che per quattro mesi era stato titolare dell’inchiesta sulla morte di Berkin Elvan, il quindicenne colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno nel giugno 2013 e morto dopo 9 mesi di coma. Kiraz era riuscito a ottenere  i nomi di tre poliziotti presenti sul luogo del ferimento mortale di Berkin Elvan e lottava contro l’insabbiamento delle indagini sulle violenze della polizia nei disordini di piazza Taksim. Lo scorso primo aprile è stato sequestrato a Istanbul da militanti del Dhkp-C ed è rimasto ucciso nell’assalto delle forze di sicurezza turche .

“Ottomila persone sono rimaste ferite durante le proteste – si legge nel report di Amnesty dal titolo “Aggiungere l’ingiustizia al danno: Gezi Park un anno dopo”- e almeno quattro sono morte come risultato diretto della violenza della polizia, ma le indagini sugli abusi della polizia sono state bloccate, ostacolate o chiuse. Solo cinque azioni penali distinte sono state intraprese contro gli agenti di polizia fino ad oggi. In netto contrasto, più di 5.500 persone sono perseguibili per l’organizzazione, la partecipazione o il sostegno alle proteste di Gezi Park. Molti sono sotto processo per non aver fatto altro che esercitare pacificamente il loro diritto alla libertà di riunione. Gli organizzatori della protesta vengono perseguiti per “la fondazione di un’organizzazione criminale”, mentre i più sono stati accusati di reati di terrorismo privi di fondamento”.

 

Da Nena News

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