Un milione in libertà
Michele Giorgio per Il Manifesto
Il Cairo – Hanno cantato vittoria troppo presto il presidente egiziano Mubarak, il suo vice Suleiman e i generali che garantiscono la sopravvivenza del regime. Il raìs credeva che, promettendo riforme democratiche e un aumento dei salari ai dipendenti pubblici (storica base di consenso del regime), avrebbe placato la «rivoluzione del 25 gennaio» fino a spegnerla. Ieri ha compreso che il popolo egiziano non si accontenta, che le motivazioni della rivolta sono ancora lì sul tavolo, a cominciare dalle sue dimissioni immediate. Ancora una volta centinaia di migliaia, forse un milione, di egiziani si sono riversati in Piazza Tahrir, nelle strade di Alessadria e di altre città del paese per urlare «Via Mubarak». A questi – in maggioranza giovani, laureati disoccupati, attivisti politici e sindacalisti indipendenti, sostenitori dei diritti umani e civili – che reclamano la libertà e la fine del regime, potrebbero presto unirsi, in un’unica protesta in nome di democrazia e lavoro, molte migliaia di operai.
Scioperano i lavoratori
I lavoratori dell’amministrazione del Canale di Suez ieri hanno scioperato a Suez, Port Said e Ismailia per chiedere aumento dei salari e migliori condizioni di lavoro. Riuniti di fronte alla sede della società che gestisce il canale hanno ripetuto che non torneranno al lavoro sino a quando le loro richieste, tenute chiuse per anni in un cassetto dai sindacati statali, non saranno soddisfatte. Nello stesso momento 10.000 operai e impiegati di Telecom Egypt sono scesi in sciopero nelle sedi di Ramsis, Opera, Nozha, Maadi, Helwan e Helipolis per reclamare aumenti salariali e il congelamento delle retribuzioni destinate ai manager che guadagnano mensilmente fino a 250mila pound contro i 1.000 di un operaio. Notizie di forte fermento tra i lavoratori arrivano anche dalle aree industriali del Delta, in particolare da Mahalla, la città-operaia dove hanno sede le principali industrie tessili del paese, massacrate dalle privatizzazioni attuate negli anni passati da Mubarak e da suo figlio Gamal (economista ed ex «teorico» del partito al potere), accompagnate da svendite delle fabbriche a vantaggio degli investitori stranieri.
Aiuti, ma per la «stabilità»
Non è più impossibile la saldatura tra le proteste operaie, divampate la scorsa estate tutto il paese, e i giovani del Movimento 6 aprile e di altre organizzazioni su Piazza Tahrir. La grande imprenditoria lo ha capito e non è certo un caso che un personaggio del calibro di Neguib Sawiris, magnate delle telecomunicazioni, uno degli uomini più ricchi del mondo, che ha trasformato la sua «Orascom Telecom Holding», in uno degli operatori leader mondiali delle telecomunicazioni (in Italia è padrone anche di Wind), sia sceso in campo per proporsi come mediatore tra la piazza e il regime e, quindi, provare a mettere fine alla rivolta. Sawiris ha proposto un «Piano Marshall» per l’Egitto, una grande torta di capitali che sarebbero felici di spartirsi i pochi che già controllano l’economia egiziana e che, allo stesso tempo, consentirebbe salvare il regime calmando disoccupati e poveri, il 40% della popolazione paese che vive con pochi dollari. Bruxelles è pronta «a fare la sua parte». L’Unione europea ha elaborato un piano di aiuti a favore della Tunisia e dell’Egitto per rispondere ai loro «nuovi bisogni» e «per sostenere il processo di transizione». «Per l’Egitto – ha detto il Commissario europeo all’allargamento Stefan Fuele – l’Unione europea ha chiesto di preparare un vasto pacchetto di aiuti per questo Paese e per i Paesi della regione». Ma è più giusto dire che l’Ue prepara aiuti volti a salvare la stabilità dei regimi del Nordafrica e del Medioriente.
Si era parlato di una flessione, di una partecipazione in calo alle manifestazioni. È vero il contrario. Ieri in Piazza Tahrir c’erano migliaia di dimostranti «nuovi», persone che non avevano ancora preso parte alle battaglia contro il regime e Mubarak. Egiziani di ogni reddito, poveri e benestanti. Da Kobri Kasr al Nil, ad esempio, uno dei ponti che collegano l’isolotto di Zamalek, abitato in prevalenza dalla classe media, sono arrivate famiglie intere, genitori e figli con le bandierine dell’Egitto, pronte ad unirsi al popolo colorato di irriducibili che da 15 giorni occupa la piazza e che nella liberazione del blogger Wael Ghoneim, sequestrato per 15 giorni dalla polizia e accolto ieri come un eroe dalla folla, ha trovato entusiasmo e forza per continuare (il regime ha scarcerato 34 prigionieri politici). «Sono qui da due settimane e comincio ad essere stanco ma non rinuncio alla lotta, in piazza siamo un’unica famiglia», dice Khaled, un insegnante. Alla manifestazione c’era anche Ali Badracham, un regista che insegna all’Accademia di Belle Arti del Cairo. Attorno a lui si sono radunati in molti, lui li ha esortati a continuare. «Sempre più persone stanno offrendo cibo e coperte ai manifestanti», spiega Gamal, uno studente che distribuisce gli aiuti ai dimostranti.
L’appello del «6 aprile»
Ma la rivoluzione del 25 gennaio al Cairo non accetta di rimanere confinata in Piazza Tahrir, come vorrebbe l’esercito che presidia la zona con decine di mezzi corazzati. Mohammed Adel, uno dei leader del Movimento 6 Aprile, tra i principali promotori delle manifestazioni, ha lanciato un appello ad occupare in modo permamente altri spazi. Il primo obiettivo è la televisione di stato egiziana per protestare contro la versione degli avvenimenti nelle strade del paese che il principale megafono del regime continua a fornire al paese. «Sembra di ascoltare le news provenienti da un altro pianeta. I notiziari statali continuano a ripetere che tutto va bene», ironizzava Mahmoud, un taxista. Già ieri migliaia di manifestanti si sono avvicinati alle sede della tv e al Parlamento. Oggi, proprio a partire dalla sede della tv, dovrebbe ripetere il tentativo di estendere l’area della protesta. E la rivoluzione del 25 gennaio comincia ad attirare al Cairo tanti cittadini arabi dediderosi di partecipare ad una esperienza politica di eccezionale importanza. La reazione del regime non si è fatta attendere. Sostenendo che alcuni palestinesi sarebbero stati coinvolti negli scontri dei giorni scorsi, le autorità egiziane hanno deciso di impedire a qualsiasi cittadino dei Territori occupati di entrare nel paese. Peraltro il presidente dell’Anp Abu Mazen in modo particolare ma anche Hamas a Gaza, danno il loro contributo alla stabilità del regime di Mubarak vietando o contenendo le manifestazioni che da giorni vengono organizzate a Ramallah e in altre città palestinesi in sostegno di Piazza Tahrir.
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