Athamanta: il cuore della montagna
Abbiamo intervistato un attivista di Athamanta, percorso che punta a produrre coscienza critica e cambiamenti sistemici attraverso le pratiche di autoformazione, informazione ed azione sul tema dell’estrattivismo nel territorio Apuano, in vista delle iniziative che li vedranno impegnati il 24 ottobre.
Raccontateci cosa sta succedendo alle Alpi Apuane. Qual è la storia dell’estrattivismo nelle cave di marmo per la provincia di Massa Carrara – com’è cambiato il livello di occupazione per la manodopera locale nel tempo ? A chi conviene questo tipo di produzione ?
Quello che sta succedendo sulle nostre montagne è a tutti gli effetti un ecocidio. Non a caso la devastazione prodotta dall’escavazione del marmo è stata inserita fra uno dei 43 disatri planetari messi in luce dal documentario Antropocene. Le Apuane , montagne uniche per la loro conformazione geologica, sede della più grande riserva idrica della Toscana, habitat per numerose specie vegetali endemiche (Athamanta è il nome scientifico di una di queste) , dotate di una biodiversità elevatissima e attraversate dal più esteso sistema carsico d’Italia, sono quotidianamente vittime di un’escavazione selvaggia che ad un ritmo quantomai impressionante le sta distruggendo; basti pensare che dalle cave, esistenti sin dall’età romana, è stato estratto più materiale negli utimi 30 anni che in tutti i loro 2000 anni di storia. Questa attività ha dunque una storia lunghissima nel nostro territorio, ma l’innovazione tecnologica portata dallo sviluppo dell’industria moderna prima, e la velocità esponenziale delle produzioni e dei commerci imposta dalla fase economica del tardocapitalismo poi, ne hanno irrimediabilmente portato alla luce le conseguenze catastrofiche non solo sul piano ambientale, ma anche su quello lavorativo. L’avanzamento della tecnica estrattiva ha causato una drastica diminuizione della mandodopera in cava, e la deregolamentazione economica del settore, attivissima nell’esportazione globale del materiale, ha portato irrimediabilmente alla diminuizione degli occupati anche nell’economia di indotto, fatta di segherie e laboratori di lavorazione del marmo. Ad oggi le cave ed il suo indotto garantiscono lavoro a poco più di duemila persone, circa l’1% della popolazione della provincia di Massa Carrara. Ciò che però colpisce sono invece i fatturati milionari delle grandi aziende del settore, che crescono di anno in anno grazie al monopolio dell’esportazione e al decentramento della manodopera e dei costi. É notizia delle ultime settimane che la prima società di questo settore ha fatto il suo debutto in borsa. La società in questione è la Franchi Umberto Marmi, una società con un valore di produzione di oltre 65 milioni di euro nel 2019, un netto sopra ai 16 milioni e 40 dipendenti.
Quali sono le conseguenze ambientali e sociali di questo tipo di attività estrattiva?
Le conseguenze ambientali più note causate dall’estrazione del marmo, sono anche quelle più evidenti: una catena montuosa fatta a pezzi il cui paesaggio muta irrimediabilmente lasciando spazio a scenari lunari che non sono altro che territori desertificati, ambienti sottratti a ecosistemi di importanza ecologica unica al mondo. La devastazione è sotto gli occhi di tutti e tutte, è visibile anche all’osservatore più distratto, ma ci sono conseguenze sull’ambiente meno note ma altrettanto importanti, e che mettono a rischio la salute e a volte la vita delle persone: la lavorazione del marmo mette a rischio la conformazione carsica delle Apuane, causando interruzioni delle falde acquifere che contribuiscono ad alimentare le grandi riserve idriche che ci offrono queste montagne, e inquinano i corsi d’acqua che riforniscono gli abitati con gli sversamenti delle polveri di taglio e degli oli esausti di lavorazione. Tutto questo ha portato Carrara a rimanere senza acqua nel 1991 a causa dell’inquinamento da idrocarburi da cava delle falde ed è stato concausa di 8 alluvioni negli ultimi 20 anni. La monocultura del marmo impoverisce il tessuto sociale, costruisce grandi opere e scarica i costi sulla collettività, inquina per il profitto di pochi ma con conseguenze che ricadono su tutti e tutte. Come una economia di rapina devasta il territorio e lascia solo le briciole a fronte di fatturati stellari. Distorce la storia e le culture monopolizzando la scena cittadina, con manifestazioni pubbliche commerciali e culturali, con lo scopo di perpetrare la propria narrazione a senso unico; si fa bella di se praticando un mecenatismo volto a mascherare le proprie nefandezze.
È possibile immaginarsi una via d’uscita al ricatto tutela dell’ambiente da un lato e posti di lavoro dall’altro?
Pur riconoscendo quanto sia urgente e necessario uscire da questa dicotomia che vede contrapposti due fattori indispensabili per una vita dignitosa, il diritto alla salute e il diritto al lavoro, sappiamo bene che questo è uno dei grandi blocchi che riscontriamo nella mentalità collettiva riguardo l’estrazione del marmo, non solo fra cavatori e lavoratori del piano, ma anche fra i comuni cittadini. Dando per assunto che questa tipologia di lavoro non è in grado di garantire entrambi questi diritti fondamentali, poiché oltre a non essere vantaggiosa dal punto di vista occupazionale è estremamente dannosa per le ricadute che si hanno sulla salute e sicurezza delle persone, riconosciamo l’impellente bisogno di superare questa contraddizione e che sia necessario un cambio di rotta repentino. Tuttavia siamo anche coscienti del fatto che sia illudere le persone imbastendo tavoli su ipotetiche alternative di gestione del territorio, perchè pensiamo che non sia l’effettiva chiusura delle cave a mettere fine una volta per tutte ai meccanismi estrattivisti imposti da questo modello economico. Occorre affrontare allora questa tematica mettendo in critica prima di tutto il modello di sviluppo capitalista, il quale produce rapina di ciò che appartiene alla collettività, sia quando smonta in blocchi una catena montuosa, sia quando la adibisce a parco giochi per il turismo. Se vogliamo lavori dignitosi e la possibilità di vivere in un amiente sano, che garantisca salute e prosperità, dobbiamo sconfiggere il mostro del profitto ad ogni costo e rimettere al centro la cura delle persone e dell’ambiente che viviamo.
Cura, salute, ambiente. In questa fase è necessario dare centralità a questi temi, come si intersecano rispetto alle criticità che individuate sul vostro territorio?
Pensiamo anche noi che queste rivendicazioni debbano essere cosiderate fondamentali. Vogliamo aprire una riflessione ampia sul concetto di cura intesa come capacità di comprendere il legame tra la nostra salute e quella dei territori e degli ambienti sociali in cui viviamo. Dobbiamo sottrarci alla logica dell’emergenza che impedisce di guardare il presente con lucidità, abbandonare il binomio e mettere al centro le relazioni di cura investendo tempo, spazio ed attenzione nella rigenerazione della vita in tutte le sue forme. Invertendo le priorità si potranno costruire dei percorsi di cura del territorio e delle persone che lo abitano: rivendicare il diritto all’aria pulita, al cibo sano, ad acque che non ammalino e non uccidano le forme di vita. Cura in opposizione ad ogni relazione di potere e sfruttamento della terra, dei corpi, del lavoro e dei territori, denunciando con forza chi dallo sfruttamento trae profitto e individuando con chiarezza i responsabili che trascurano la salute e la sicurezza della comunità.
Com’è nato il vostro collettivo? Come tenere insieme il tema della tutela dell’ambiente e le resistenze di un contesto sociale in cui storicamente si è ancorati a una certa attività produttiva e abituati a un certo modo di vivere (e sfruttare) il territorio in cui si abita?
In realtà quando parliamo di athamanta non ci riferiamo ad un collettivo. Athamanta si autodefinisce come un percorso di autoformazione ed azione che si occupa del tema dell’estrattivismo nel territorio Apuano. La scelta della forma politica con cui organizzarsi ed esprimersi non è stata banale, e deriva principalmente dalla volontà di creare un soggetto fluido ed eterogeneo che fosse in grado di mettere a sistema i tanti livelli di analisi e critica, dalle rivendicazioni dell’ambientalismo inteso in senso classico, fino alle espressioni più avanzate dell’ecologismo militante, su di un unico fronte di lotta. Uno spazio di discussione politica che in base all’analisi dell’esistente vuole mettere in critica il sistema estrattivo del marmo e i meccanismi estrattivisti che vediamo realizzarsi nel nostro territorio.
La contrapposizione fra la tutela ambientale e il diritto alla salute con l’identità storica del l’attività estrattiva, molto sentita nel nostro territorio, è forse uno dei punti più complessi che Athamanta si trova ad affrontare, soprattutto sul piano comunicativo. Fin dall’inizio del percorso abbiamo cercato di approcciare questo problema da un punto di vista della narrazione storica che si è stratificata nell’immaginario collettivo, definendola come una mitologia tossica, che vuole identificare territori e città con la monocoltura e monocultura del marmo. “La capitale del marmo”, “Carrara è il marmo”, “l’eroico mestiere del cavatore”, “le cave di Michelangelo”, sono alcuni dei luoghi comuni perpetrati da questa cultura. Crediamo che si possa smontare questa narrazione, che vede l’estrazione del marmo come unica possibilità di riscatto per le nostre terre, e crediamo che questa sia una dei punti centrali sui quali portare avanti questa lotta. Per poter comunicare con le persone che vivono direttamente o indirettamente di questo sistema, dobbiamo mettere in critica questa mitologia.
Che tipo di risposta c’è stata da parte della collettività? Chi si sente più coinvolto? Avete intrecciato rapporti con altre realtà che si occupano di ambiente, come F4F? Quali sono i prossimi passi e appuntamenti?
La mobilitazione del 24 di Ottobre, avrebbe dovuto essere un momento pubblico che poteva restituire molte risposte su questo punto di vista. L’obiettivo di contare i partecipanti, che al dire il vero ci aspettavamo numerosi, e di mettere in campo una mobilitazione nazionale, servivano appunto per portare direttamente nella capitale della devastazione estrattiva il nostro dissenso, e dimostrare così che una grande fetta di popolazione sia ormai pienamente cosciente
dell’insostenibilità dell’estrazione e di tutte le ricadute negative che porta con se. Purtroppo questo piano è venuto meno, perchè causa le ultime restrizioni riguardo la pandemia, ci hanno obbligato a ripensare questo appuntamento con diverse modalità, che non ci permetteranno di portare in piazza un numero elevato di persone. Siamo comunque convinti che questo nuovo modello di approccio ad una questione così complessa, nel lavoro di dieci mesi, abbia portato numerosi risultati sotto questo punto di vista: sembra essersi risollevato un nuovo interesse nella popolazione su questo problema.
FFF Carrara è stato assieme al CSOA Casa Rossa Occupata la realtà che di fatto a portato alla costituzione di Athamanta, per cui possiamo dire che questo percorso politico nasce direttamente all’interno del piano rivendicativo di questo tipo di attivismo. Durante l’evoluzione di questo spazio politico sono stati senz’altro fondamentali i contributi di molti soggetti dell’attivismo ambientale, sia sul piano tecnico, che su quello politico.
Il prossimo step importante sarà appunto la giornata di mobilitazione del 24 Ottobre a Carrara, che si svolgerà con modalità in via di definizione, che siano in grado di portare fisicamente le persone a protestare nel centro cittadino garantendo la salute di tutt* i partecipanti. Parallelamente abbiamo lanciato una campagna di ‘Mobilitazione intergalattica’, che in questi giorni sta coinvolgendo tante realtà, associazioni e gruppi fuori dal nostro territorio con i quali siamo entrati in contatto nella condivisione del percorso e che potranno partecipare con azioni di solidarietà sui loro territori.
Per le informazioni in merito alle modalità di adesione alla piazza e alla costruzione di momenti di solidarietà invitiamo a seguire la pagina fb: Athamanta e il nostro sito: www.athamanta.wordpress.com
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