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Autoprodurre l’energia da rinnovabili locali? La legge c’è ma non la fretta…

Dicono che ci sia una emergenza climatica in atto. Dicono. Pare che gli eventi meteorologici estremi si vadano facendo vieppiù violenti e frequenti. Pare. Avete presente l’alluvione nelle Marche a settembre e ora Casamicciola?

di Angelo Tartaglia, da Volere la Luna

E la politica ne è convinta: le dichiarazioni pubbliche lo riconoscono, non da molto tempo in verità. Pare che si debba fare qualcosa. Pare. La natura però, parlandone non solo a scala locale ma addirittura a scala planetaria, proprio non se ne accorge. Le misurazioni del contenuto di gas serra, quelle delle temperature medie, quelle del livello dei mari e così via non recano traccia delle conferenze delle parti (COP variamente numerate), dei protocolli (tipo Kyoto), degli accordi come quelli di Parigi, dei provvedimenti dell’Unione Europea, meno che mai di quelli nazionali. Beh, la presidente(ssa) del Consiglio dei ministri italiano ha dichiarato che l’obiettivo europeo della riduzione delle emissioni climalteranti del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 verrà rispettato, ma senza danneggiare l’economia (economy first, ma quale economia?). Non ha precisato come, visto che siamo alla fine del 2022, ma questo è un dettaglio…

Per la verità un piccolo passo avanti per la gestione dell’emergenza energetica nel nostro paese (non saprei se un grande passo per l’umanità) è stato fatto. Mi riferisco al riconoscimento giuridico delle comunità dell’energia rinnovabile o CER, cioè di aggregazioni di utenti finali dell’energia che si uniscono (in varie forme associative previste dagli ordinamenti) per sopperire ai propri bisogni a partire da risorse “rinnovabili” reperibili nel luogo in cui operano o vivono. La legge cui mi riferisco è la n. 8/2020, divenuta operativa il 29 febbraio 2020, e, in particolare, il suo articolo 42 bis. Essa era intesa come legge ponte in attesa di un più ampio provvedimento di recepimento della direttiva europea detta REDII, provvedimento che avrebbe dovuto essere assunto dal Parlamento entro il 30 giugno 2021. Ma si sa che le scadenze di legge sono perentorie per i cittadini, mentre quando riguardano gli Stati (Europa) o lo Stato sono indicative: il recepimento è avvenuto (con riferimento alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale) il 15 dicembre 2021 (neanche sei mesi di ritardo: che volete che sia!) con il decreto legislativo n. 199/2021. Quindi a questo punto ci siamo? Ni.

Il decreto legislativo n. 199 è in vigore, ma prevede che, per la piena operatività, debbano essere emessi alcuni provvedimenti attuativi: uno da parte di ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) da adottarsi (art. 32, comma 3) entro novanta giorni (metà marzo 2022); uno (fra molti) con decreto (art. 8, comma 1) da parte del ministro (il ministero ex MITE ora è MASE) da promulgare entro centottanta giorni (metà giugno 2022). Chiedo scusa per il tono ironico, ma va da sé che questi termini non sono stati rispettati: la fretta è una cattiva consigliera. E proprio per farsi consigliare, ARERA ha indetto una pubblica consultazione, aperta ai primi di agosto e chiusa il 23 settembre. I quesiti riguardavano ciò che ARERA medesima avrebbe dovuto fare. Dopodiché voci più o meno bene informate preconizzavano la pubblicazione del provvedimento per novembre, ma a tutt’oggi nulla è successo. È vero che nel frattempo sono cambiati Parlamento e Governo, ma ARERA è un organo tecnico… In compenso il ministro ha, a sua volta, aperto una consultazione pubblica lo scorso 28 novembre con scadenza il 12 dicembre alle 12:00 (https://www.mite.gov.it/bandi/consultazione-pubblica-attuazione-della-disciplina-la-regolamentazione-degli-incentivi-la). Dopodiché verrà emesso il suo decreto, chissà quando. Che fretta c’è? Ci occupiamo dell’ambiente a patto di non disturbare l’economia.

Nel frattempo hanno cominciato a volare gli avvoltoi. Il decreto n. 199/2021 prevede che gli impianti da rinnovabili al servizio di una CER abbiano, ciascuno, una taglia massima di potenza di 1 MW. Le taglie superiori a quel limite rientrano nella normale dinamica di mercato e pertanto le autorizzazioni verrebbero, o meglio, sono, assegnate sulla base di gare. Orbene molti Comuni sparsi in giro per l’Italia hanno già visto arrivare operatori commerciali in cerca di aree comunali sufficientemente ampie da poter ospitare impianti fotovoltaici da 1 MW (diciamo da 6-7 mila metri quadrati in su); tali operatori si offrono di realizzare su quelle aree i corrispondenti impianti da destinare a comunità dell’energia che i Comuni stessi volessero promuovere. Dove sta il “business”? Nel fatto che le norme, attuale e in consultazione, prevedono un doppio regime. Da una parte c’è una tariffa incentivante (a carico di tutti coloro che a scala nazionale pagano delle bollette) che va a vantaggio della CER in proporzione all’energia virtualmente scambiata al suo interno in tempo quasi reale (intervallo orario). Dall’altra, e in sovrapposizione con la tariffa incentivante, c’è la vendita sul mercato di tutta l’energia prodotta, compresa quella virtualmente scambiata che serve a determinare la tariffa incentivante a carico di tutte le utenze nazionali, ma non degli operatori commerciali né dello Stato. Per quanto concerne i consumatori puri, soci della comunità, questi continuano a pagare a prezzi di mercato tutta l’energia che entra nei loro contatori, compresa quella virtualmente scambiata, per la quale comparteciperanno alla citata tariffa incentivante. Insomma IL MERCATO non viene in nulla disturbato e se la taglia degli impianti delle CER, che possono essere installati con procedure semplificate e senza appalti competitivi, è adeguata, il tutto diventa un buon affare per chi realizza gli impianti con finalità commerciali.

Preoccupato di non esagerare con taglie di impianti, dal punto di vista dei grandi operatori, relativamente modeste, il ministro si è preoccupato di includere nella sua consultazione l’intenzione di prevedere, nei cinque anni 2023-2027, l’installazione di (non più di?) 5 GW (5000 impianti da un MW) nuovi al servizio delle CER: in pratica 1 GW di potenza all’anno. Ma perché? Già oggi la potenza degli impianti da rinnovabili in attesa di collegamento alla rete è più elevata di quell’obiettivo e che male ci sarebbe se le nuove CER riuscissero ad attivare più di 5 GW in cinque anni? Tanto più che entro il 2030 avremo bisogno di far partire svariate decine di GW rinnovabili se vogliano sperare di rispettare l’obiettivo europeo di decarbonizzazione. Ma – si direbbe – il signor Ministro si preoccupa di non disturbare IL MERCATO, e dunque: prudenza e gradualità. Nel frattempo i grandi operatori commerciali si attrezzeranno per la realizzazione di grandi(meglio grandissimi) impianti da rinnovabili finalizzati alla produzione per la vendita.

La norma che deve entrare in vigore prevede però per le CER una possibilità per nulla da poco: si tratta del cosiddetto “scorporo in bolletta” (art. 32, comma 3c) che i soci di comunità che siano utenti finali domestici sarebbero abilitati a scegliere (a loro preferenza). In concreto, una famiglia partecipe di una comunità potrebbe chiedere al proprio fornitore di togliere dalla bolletta i kWh che scambia all’interno della CER. In questo modo si eviterebbe di pagare al fornitore ciò che non ha fornito, si realizzerebbe un risparmio a prezzi di mercato e si eviterebbe anche la tariffa incentivante a carico di tutti gli altri utenti. ARERA dovrebbe solo dire come bisogna procedere tecnicamente, ma, come già detto, il suo provvedimento continua a latitare. Nella sua consultazione l’Autorità si è mostrata preoccupata del fatto che lo scorporo, comunque previsto dalla legge, causerebbe “un danno” per il venditore. Curioso, vero? Smettere di pagare qualcosa che non mi viene fornito danneggia il fornitore… Quanto al signor Ministro, nella sua consultazione non si parla di scorporo, ma in effetti l’art. 32, comma 3c mette a carico di ARERA la definizione del come (non se) procedere. Il ministro non c’entra, non vi pare?

Non voglio semplificare troppo le cose. È vero che, norme a parte, l’implementazione delle comunità dell’energia e dello scambio al loro interno pone anche molti problemi pratici la cui soluzione non è banale. Tanto per cominciare occorre porre mano alla struttura materiale della rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica. Questa si è sviluppata secondo la logica di poche grandi o grandissime centrali, quale che fosse la fonte, che alimentavano a cascata le utenze disperse sul territorio. Generalizzando l’autoproduzione diffusa con moltissimi piccoli impianti distribuiti, la rete deve essere organizzata in un altro modo. Lo “scorporo” poi è un problema di gestione intelligente dell’informazione relativa ai flussi, così come in generale la gestione intelligente dei flussi è un fattore molto importante per un’organizzazione efficiente dei consumi all’interno della comunità. Questi problemi, ripeto non banali, sono tutti risolubili e più facili da risolvere che non quelli politico-burocratici. Bisogna però volerli risolvere. Ma se il punto dolente è che non bisogna disturbare IL MERCATO, allora siamo messi male.

Va da sé che se si generalizza un sistema che in ogni territorio si basa sull’autoproduzione da rinnovabili locali dell’energia di cui quel particolare gruppo ha bisogno, lo spazio per la compravendita di energia si riduce. Una comunità condivide investimenti e costi di gestione per il proprio fabbisogno, non per fare utili (lo dice anche la legge); gli operatori commerciali invece hanno strutturalmente l’obiettivo di vendere energia (anche da rinnovabili, nel momento in cui i compratori gradiscano) per fare utili e, per massimizzare questi ultimi, mirano a venderne sempre di più. A loro interessano grandi centrali (anche quando fossero solari o eoliche) per sfruttare le economie di scala e produrre grandi quantità di kWh il cui consumo auspicano che continui ad aumentare. Si torna sempre al “sempre di più” e, ahimè, “sempre di più” non si può: non esistono fonti di infinita energia pulita (neanche il sole). Chissà cosa ne pensa il ministro?!

Quale che sia il ruolo, la collocazione e l’orientamento, sempre di esseri umani comunque si tratta, per cui alla fin fine il problema dei problemi è forse di competenza della psicoanalisi e sta nella profonda componente di autolesionismo suicida che tutti ci portiamo dentro. Per l’intanto però cerchiamo di non mollare e continuiamo a perseguire l’obiettivo delle comunità energetiche.

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