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Crisi energetica in Europa. La politica energetica al servizio della guerra

L’azione militare è solo una delle dimensioni della guerra. In questo momento, alla fine del 2022, il più grande campo di battaglia della guerra è l’energia e i suoi impatti si fanno sentire in tutto il mondo.

di Alfons Pérez – Observatori del Deute en la Globalització (ODG), da ECOR Network

La retorica ufficiale spiega che la Russia è stata per anni il principale fornitore di gas, petrolio e carbone dell’Unione Europea, ma ora è un nemico da battere, mentre gli Stati Uniti sono il grande alleato. Per questo occorre forgiare armi politiche forti che aprano finestre di eccezionalità abbastanza ampie da riconsiderare le politiche sociali, economiche e climatiche, e mettere tutto al servizio della guerra.

Politiche senza memoria né retrospettiva 

In termini energetici, la guerra è iniziata molto prima. Dopo le controversie sul gas del 2006 e del 2009 tra Russia e Ucraina, che hanno lasciato i paesi dell’ex Europa orientale senza gas fossile, nel 2014 la Commissione europea ha pubblicato la Strategia europea per la sicurezza energetica,1 che all’epoca era l’arma di lotta contro Putin. La strategia indicava proprio nella dipendenza dal gas fossile russo uno dei maggiori problemi dell’Unione Europea: “Il problema più urgente della sicurezza dell’approvvigionamento energetico è la forte dipendenza da un unico fornitore esterno, soprattutto nel caso del gas”. L’influenza delle lobby del gas a Bruxelles ha consolidato, sotto la narrativa della diversificazione, l’idea che il gas fossile fosse il combustibile di transizione per le sue basse emissioni e perché fungesse da supporto essenziale per le rinnovabili.2 In breve tempo si è visto come le perdite di metano nella catena di approvvigionamento rendevano il gas fossile meno rispettoso del clima e come ritardava gli investimenti nelle rinnovabili e otteneva denaro pubblico. In quella fase, furono lanciati il Corridoio Meridionale del Gas (per collegare il Turkmenistan e l’Azerbaigian con l’Italia), il gasdotto Galsi (tra l’Algeria e l’Italia attraverso la Sardegna), nonché impianti di rigassificazione di gas fossile liquefatto, – detto anche gas naturale liquefatto (GNL) – come quello di Zeebrugge in Belgio, tra gli altri. Questi progetti, considerati dalla Commissione Europea come progetti di interesse comune, sono stati accompagnati da fondi e garanzie pubbliche che che si tradussero in un sostegno di 5.320 milioni di euro ai progetti privati ​​durante il periodo dal 2014 al 2020.3

Nonostante la Strategia Europea per la Sicurezza Energetica segnasse una linea netta per ridurre la dipendenza dal gas russo, nel giugno 2015 fu siglato un accordo tra Gazprom, Royal Dutch Shell, E.ON, OMV ed Engie per la realizzazione del Nord Stream 2, il più grande gasdotto d’Europa, con una capacità di 55 miliardi di metri cubi/anno, e fratello gemello del Nord Stream 1, per collegare direttamente la Russia con la Germania attraverso il Mar Baltico. E ce ne sono ancora. Un altro consorzio tra società russe, europee e cinesi – Novatek (Russia), Total (Francia), CNPC (Cina) e Silk Road Fund (Cina) – costruì l’impianto di esportazione del gas Yamal LNG in Siberia. Dopo la sua messa in servizio nel 2019, le importazioni europee non si fecero attendere e paesi come la Spagna, che non importavano gas fossile russo, iniziarono a farlo.

Il Nord Stream 2 era il miglior alleato per alimentare la macchina economica da esportazione tedesca con gas russo a buon mercato, ma non è stato attivato. Yamal, da parte sua, offriva loro l’opportunità di non perdere valore competitivo rispetto ad altri attori. In entrambi i casi, l’opportunità di mercato ha modificato la stessa strategia di sicurezza energetica e da lì le immaginabili conseguenze.4

Trasformare la transizione energetica in una transizione per la sicurezza energetica

Tornando all’attualità, i sei pacchetti di sanzioni contro la Russia sono tornati come boomerang al territorio europeo sotto forma di massimi storici del prezzo dell’energia. In questa situazione, l’Unione Europea ha lanciato una nuova arma nella lotta contro Putin che potrebbe essere intesa come una riedizione della Strategia Europea per la Sicurezza Energetica in tempi di guerra: REPowerEU.5

Il REPowerEU è un piano il cui obiettivo principale è ridurre la dipendenza dai combustibili fossili della Russia. Come mai? Perché la Russia è il più grande esportatore di gas, petrolio e carbone per l’Unione Europea. Nel 2021, nel consumo energetico europeo, il 40% del gas, il 27% del petrolio e il 46% del carbone provenivano dalla Russia.

Dopo la giustificazione formale, il testo REPowerEU ricolloca e mette in attesa le politiche centrali dell’Unione Europea. Per fare questo, REPowerEU costruisce la sua storia riducendo tutto a una causa e una conseguenza. La causa ci dice che oggi, in Europa, stiamo soffrendo una doppia emergenza: la crisi climatica e la dipendenza dai combustibili fossili russi. Di conseguenza, la traiettoria per il raggiungimento della transizione energetica e degli obiettivi climatici risulterà negativamente condizionata. Per ovviare a questo, REPowerEU esige una riduzione del consumo energetico e rapidi investimenti nelle rinnovabili; ma, per garantire l’approvvigionamento, saranno necessari investimenti nelle infrastrutture di gas e petrolio, e i potenziali di carbone, energia nucleare e gas nazionale potrebbero essere utilizzati oltre a quanto si prevedeva.

La vicenda REPowerEU è quindi un’evidente dichiarazione d’azione che trasforma la transizione energetica in una transizione per la sicurezza energetica e, purtroppo, la gamma delle politiche di sicurezza ha la capacità di subordinare tutto il resto. In realtà, il piano è un’auto-correzione della politica europea di guida del contesto internazionale attraverso un fermo impegno verso le tesi del capitalismo verde attraverso il Green Deal europeo.6 Inoltre, ha ottenuto che 245.000 milioni di euro dei fondi europei per la ripresa dal COVID-19 (Next Generation EU)7, quelli che promettevano investimenti green, siano stanziati a tal fine.


La dimensione esterna di REPowerEU

L'”Impegno energetico dell’UE in un mondo che cambia” è stato presentato in contemporanea con il REPowerEU e svolge la funzione di un piano di azione esterno.8 Il suo testo è una dichiarazione di intenti, piena di contraddizioni, del posizionamento dell’Unione Europea nel mondo. Afferma che “la transizione energetica ecologica mondiale può aiutare l’UE a raggiungere i suoi obiettivi geopolitici più ampi per rafforzare la resilienza e l’autonomia strategica aperta, rafforzando la diplomazia energetica nella politica estera e della sicurezza”. Pur precisando senza troppe remore che, nonostante “la transizione energetica ecologica sia un elemento centrale dello sforzo dell’UE per raggiungere l’indipendenza energetica, l’abbandono dei combustibili fossili russi richiederà di sostituirne alcuni con combustibili fossili provenienti da altri fornitori internazionali”.

Nel dispiegamento della diversificazione del gas fossile, espone l’aumento delle importazioni di GNL (50 miliardi di metri cubi 9) e da gasdotto (10 miliardi di metri cubi). A tal fine, la Commissione Europea ha raggiunto un accordo con gli Stati Uniti, il grande alleato strategico, per ricevere una fornitura aggiuntiva di 15 miliardi di metri cubi nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno fino al 2030. Questo punto è particolarmente delicato in termini climatici, visto che le perdite di metano nell’estrazione di gas non convenzionale statunitense alimentano il riscaldamento globale a breve termine.10

Oltre all’accordo con gli Stati Uniti, è stato creato un gruppo di lavoro con il Canada per il GNL e l’idrogeno: si prevede un accordo trilaterale con Egitto e Israele per il GNL e un altro con Giappone e Corea per il reindirizzamento di parte delle loro importazioni di gas fossile. La Norvegia ha già aumentato le consegne attraverso il gasdotto e l’Algeria e l’Azerbaigian si mostrano favorevoli a fare lo stesso. Allo stesso modo, viene valorizzato il potenziale di paesi come Nigeria, Senegal, Angola e Iran. Quanto al petrolio, si sta lavorando con partner internazionali per aumentare le consegne, ma esiste interesse per il petrolio iraniano e per rafforzare i rapporti con i Paesi del Golfo Persico.

L’idrogeno è molto presente nel piano. È destinato a sostituire 27 miliardi di metri cubi di gas fossile russo con 5,6 milioni di tonnellate di idrogeno più altri 15 milioni di tonnellate del REPowerEU, di cui 10 milioni saranno importati. Per facilitare tutto ciò, la Commissione Europea vuole stabilire partenariati con “partner affidabili” attraverso tre grandi corridoi: Mare del Nord, Mediterraneo Meridionale e Ucraina. Tuttavia, il documento dà enfasi al ruolo dell’Africa sub-sahariana, mentre paesi come il Sudafrica e la Namibia stanno già facendo progressi nel settore dell’idrogeno rinnovabile. Ad esempio, l’Unione Europea vuole sostenere il commercio dell’idrogeno nell’Africa sub-sahariana e, allo stesso tempo, contribuire all’Iniziativa Africana per l’Energia Verde per installare 50 GW di elettricità rinnovabile fino al 2050. Attraverso l’iniziativa “global gateway”, l’Unione Europea stanzierà 2,4 miliardi di euro di sovvenzioni verso l’Africa sub-sahariana e 1,08 miliardi verso il Nord Africa. La Commissione svilupperà anche una strategia di crediti all’esportazione a vantaggio delle imprese europee di tecnologie verdi.

Forse la cosa più notevole dell’impegno per l’idrogeno è che lo stesso testo riconosce che “questo mercato non è sviluppato e richiede, a livello mondiale, una significativa espansione della produzione di energie rinnovabili nonché la disponibilità di acqua”. Nonostante la manifesta incertezza, l’impegno per l’idrogeno è chiaro.

Infine, viene affrontata la garanzia dell’accesso alle materie prime critiche. La Russia è tra i principali fornitori mondiali di palladio (40% dell’offerta mondiale), il secondo per platino (13%) e nichel (12%), ed è anche un fornitore chiave di alluminio e rame, tra gli altri 11. Nell’Unione Europea, il 17% dell’alluminio e il 17% del nichel viene dalla Russia, così come il 9% del molibdeno e il 7% del rame. Inoltre, la Russia copre una parte significativa della fornitura dell’Unione Europea per una serie di materiali critici come il palladio (41%), il platino (16%), il cobalto (5%) e il litio (4%) 12. Pertanto, l’Unione Europea vede necessari investimenti a lungo termine in nuove attività di estrazione mineraria e di raffinazione sul territorio europeo, un’intensificazione della circolarità e la necessità di rafforzare le “associazioni di catene di valore di materie prime sostenibili” esistenti con Canada, Ucraina, Africa, America Latina, i Balcani Occidentali e l’Australia, attraverso accordi commerciali o memorandum d’intesa. Tra i paesi chiave, segnala il Cile come grande produttore di litio e, in futuro, di idrogeno verde.


Cosa ci si può aspettare a breve termine?

Le tre maggiori economie dell’Unione Europea non hanno tardato ad assumere REPowerEU come quadro di riferimento. La Francia, guidata dalle società nazionali EDF e AREVA, ha annunciato nel febbraio 2022 la “rinascita dell’industria nucleare francese” annunciando la costruzione di 14 nuovi reattori, e continua a difendere l’energia nucleare per combattere Putin. Il suo potenziale nucleare ammonta a 58 reattori e genera oltre il 70 per cento dell’elettricità del Paese 13. Da parte sua, l’Italia intende importare gas dai Paesi africani e dall’Azerbaigian, incrementando la generazione di energia con centrali a carbone 14. Ma la Germania è senza dubbio il caso più paradigmatico di cambio di rotta. Dopo aver alimentato la sua economia esportatrice con gas russo a buon mercato e proclamato, nel 2010, l’Energiewende, un piano di transizione energetica che prevedeva la chiusura delle centrali nucleari, ora si imbatte nelle contraddizioni che comporta il suo modello economico. Con un governo di coalizione di socialdemocratici e verdi ha frenato la chiusura di due centrali nucleari 15, ha riaperto le centrali a carbone e vuole compensare l’industria elettro-intensiva dei costi indiretti delle emissioni del mercato del carbonio europeo con un budget totale di 27.500 milioni di euro.16

Infine, la stessa REPowerEU fa appello al principio di solidarietà che obbliga alla cooperazione degli Stati membri nel caso in cui uno Stato abbia difficoltà con l’approvvigionamento di risorse energetiche. In altre parole, il rapporto centro-periferia nell’Unione Europea potrebbe supporre che la Spagna, che gode di una posizione migliore nel mercato del gas, aiuti la Germania nei momenti difficili. Però, nella stessa maniera, la nuova politica di sicurezza europea elenca paesi e territori del mondo che devono assolvere una funzione designata: contribuire al disaccoppiamento europeo delle risorse energetiche russe. Ma
a spese di cosa e di chi? Questa è una domanda giusta che dovrà essere posta alle istituzioni europee.
 

* Alfons Pérez (@Alfons_ODG) è ricercatore e attivista del Observatori del Deute en la Globalització (ODG), Cataluña. Il suo lavoro si  concentra soprattutto sul mondo dell’energia, del clima e della finanza. È membro della Rete per la sovranità energetica in Catalogna.

** Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network 


Originale in spagnolo: Crisis energética en Europa. Política energética al servicio de la guerra”,
da: Energía y Equidad, Diciembre 2022 – N°5 – “Guerra, crisis y resistencias”

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