Giorgio Ferrari vs Veronesi (botta e risposta)
Veronesi: propongo la moratoria ma io non rinnego l’atomo
L’intervento. Nessun dietrofront, voglio impianti super sicuri. Non mi occupo di sondaggi e di referendum ma devo rispettare la lezione che arriva dal Giappone
di UMBERTO VERONESI
La politica per sua natura può avere ripensamenti, la scienza deve invece pensare più a fondo. Così ho molto apprezzato l’articolo di Francesco Merlo di ieri, perché mi invita a precisare la mia posizione sul nucleare. E lo faccio pur rendendomi conto che il sovrapporsi delle dichiarazioni, l’inevitabile intreccio fra politica, cronaca e scienza di fronte a un disastro come quello giapponese, e lo sgomento generale che ci attanaglia, rendono molto difficile esprimere posizioni chiare. Il punto è molto semplice: io sono uno scienziato e il presidente dell’Agenzia per la sicurezza del nucleare. Non mi occupo di referendum, non leggo i sondaggi di nessun tipo e quindi neppure quelli che Merlo definisce “di cortile”. Dunque ciò che appare come un ripensamento è invece l’esito di una riflessione. Studiando il più lucidamente possibile la dinamica di Fukushima ho pensato che ci troviamo di fronte al primo grave incidente di progettazione nucleare della storia, quindi di strategia. Gli altri due incidenti significativi, Chernobyl e Three Mile Island, sono stati infatti causati da un errore umano. Per Chernobyl più che di errore dovremmo parlare di follia. Ma anche negli Stati Uniti fu un errore dei tecnici a causare la fusione del nocciolo, che fortunatamente non causò nessuna vittima. Va detto subito che sull’errore umano si può intervenire migliorando la preparazione, l’addestramento e le condizioni di lavoro. Un po’ come si fa con i piloti d’aereo. Invece a Fukushima non c’è stato nessun errore riconducibile al personale addetto, ma un errore di progettazione: le centrali non erano programmate per resistere a uno tsunami della portata di quello scatenatosi la scorsa settimana. Le fonti tecniche dicono che la progettazione teneva conto di tsunami di intensità minore. Ma questa è comunque una mancanza perché nel costruire una centrale nucleare sul Pacifico non si può non tenere conto della massima potenza delle forze del mare e della Terra. Non è una giustificazione il fatto che erano centrali attivate quarant’anni fa, e che erano quindi alla fine del loro ciclo vitale. La lezione che credo dobbiamo trarre da Fukushima è che non possiamo non rivedere la strategia nella progettazione degli impianti nucleari. Il che non vuol dire ripensare o tornare sui propri passi, ma capire il problema alla radice, avere il coraggio di riconoscerlo e sforzarci di superarlo. Se è vero – ed è scientificamente vero- che senza l’energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma andare avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico. Dobbiamo pensare al futuro tenendo conto che petrolio, carbone e gas hanno i decenni contati e che sono nelle mani di pochissimi Paesi, che possono fare delle fonti di energia strumento di ricatto economico e politico; che stiamo avvicinandoci ai 7 miliardi di persone sulla Terra, con consumi sempre maggiori di energia; che le altre fonti di energia, le rinnovabili, hanno grandi potenzialità, ma per alcune non abbiamo le tecnologie che rendano accessibili i costi di trasformazione e globalmente non sono sfruttabili in modo tale da assicurare la copertura del fabbisogno. La scelta dell’energia nucleare è dunque inevitabile e il nostro compito è ora quello di garantirne al massimo la sicurezza per l’uomo e l’ambiente. Abbiamo per anni sostenuto che gli impianti di ultima generazione sono sicuri e con un rischio di incidente vicino allo zero. Oggi il Giappone ci impone di riconsiderare criticamente questa convinzione. Molti si domandano se il modello delle centrali nucleari di grossa taglia, come sono oggi tutte quelle del mondo, sia quello da continuare a realizzare; oppure se non è possibile ed opportuno considerare l’adozione di reattori più piccoli e modulari : una rete di minireattori. Alcuni di questi modelli progettuali sono già in produzione e dovremo studiarne a fondo le caratteristiche e la fattibilità. La tragedia giapponese ci impone inoltre di pensare fuori dalle logiche nazionali. E’ evidente ora che i piani energetici devono essere discussi a livello internazionale. In Italia ci troviamo nella circostanza favorevole di partire da zero e quindi di poter scegliere, senza fretta, il modello strategico migliore.
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La risposta di Giorgio Ferrari:
Ancora falsità e disinformazione da Veronesi
I presidenti delle autorities di qualsiasi tipo nell’ambito della propria sfera di competenza si esprimono, in genere, con dichiarazioni ufficiali. Ci si sarebbe aspettato quindi che il presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare (ASN), la più delicata fra le autotities nel prendere la parola dopo l’incidente di Fukushima si fosse attenuto a questa regola. Veronesi invece scrive o si fa intervistare dai giornali, prima dalla Stampa e ieri 19 marzo da Repubblica mostrando in entrambe le circostanze di non aver capito quali siano i compiti dell’autority che presiede. L’ASN non è una agenzia di promozione del nucleare, ma il “guardiano imparziale” delle sue applicazioni quindi Veronesi dovrebbe esimersi dall’affermare “che è scientificamente provato che senza l’energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà”, anche perché la “prova scientifica” che sia così è frutto della sua immaginazione. Quanto all’affermare che Fukushima sia il primo incidente di progettazione nucleare della storia, è falso e fuorviante perché diversamente da quanto lui afferma, a Three Mile Island non ci fu solo un evento iniziatore, ma 6 concause di cui 4 per errori nella progettazione e solo 2 per errore umano: sta scritto nel rapporto della commissione Kemeny incaricata da Carter per fare chiarezza sull’incidente, basta conoscerlo. In seguito a quell’incidente furono rivisti alcuni criteri di progetto dei reattori e quelli già in esercizio furono adeguati con pesanti modifiche: la centrale di Trino Vercellese rimase ferma due anni per realizzare questo adeguamento tecnico. Se fosse stato solo un problema di addestrare il personale non c’era bisogno di fermare l’impianto. I reattori 2;3 e 4 di Fukushima (del tutto simili a Caorso) di progettazione General Electric hanno un contenitore non adeguato a resistere (per volume e robustezza insufficienti) ad eventuali scoppi di idrogeno causati da un qualsiasi evento (non necessariamente un terremoto) che porti alla mancanza di refrigerazione del nocciolo. Questo giudizio fu espresso fin dal 1972 dalla autorità di sicurezza statunitense NRC che fu persino tentata di mettere fuori servizio i 23 reattori americani che avevano quel sistema di contenimento. Se questo non accadde fu per le enormi pressioni della GE e per le ripercussioni che avrebbe avuto una simile azione sull’industria nucleare. Le stesse pressioni che ha fatto la Tepco giapponese per riqualificare gli impianti di Fukushima nel 2006 spacciandoli come in grado di resistere fino a terremoti di 8,5 della scala Richter: quindi con un atto amministrativo dell’Autority giapponese si è “risolto” l’errore tecnico. E’ bene che Veronesi si documenti su questi ed altri fatti perché quando sarà chiamato (speriamo mai) a firmare la validazione del primo reattore nucleare italiano, dovrà farlo in soli 12 mesi (mentre la NRC ci impiega tre anni) perché così prescrive la legge che regola l’attività dell’autority da lui presieduta. O non sa nemmeno questo?
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