La variante del marmo: così la Regione Toscana vuole rimettere mano al Piano cave
La Giunta Giani ha avviato l’iter per modificare la normativa sulle attività estrattive e aumentare del 5% la capacità autorizzata fino al 2038. Una scelta che andrà a impattare anche su ecosistemi fragili come quello del Parco delle Alpi Apuane, tra le province di Lucca e Massa-Carrara. “Una resa alle pressioni delle imprese”, denuncia Legambiente
di Luca Martinelli, da Altreconomia
La Giunta regionale della Toscana ha avviato il procedimento di variante al Piano regionale cave (Prc). “In questi anni di vigenza del piano, alcuni Comuni e alcune industrie del settore hanno manifestato la necessità di incrementare le potenzialità estrattive chiedendo di rivedere il dimensionamento del Prc e aumentare gli Obiettivi di produzione sostenibile”, spiega il Documento di avvio del procedimento, allegato alla Delibera 301 del 18 marzo di quest’anno.
L’eventuale adozione porterebbe a incrementare del 5% la capacità autorizzata fino al 2038, sulla base di una presunta “saturazione” di alcuni comprensori, che però, carte alla mano, riguarda a oggi solo 11 ambiti su 98. Tra questi, quattro hanno effettivamente superato nel periodo 2015-2022 la media annua escavabile e sette hanno cavato in media il 90% o più di quanto autorizzato.
Tra gli 11, però, non ce n’è nemmeno uno tra i primi dieci elencati in tutti i documenti regionali, che sono i comprensori che fanno riferimento alle Alpi Apuane: da soli valgono oltre 47,75 milioni di metri cubi, ovviamente di marmo. Sono, in ordine alfabetico, Carrara, Casola in Lunigiana (MS), Fivizzano (MS), Massa, Minucciano (LU), Montignoso (MS), Pietrasanta (LU), Seravezza (LU), Stazzama (LU) e Vagli di Sotto (LU). Nei dieci comprensori, all’interno di cave che in molti casi si trovano all’interno del perimetro del Parco regionale delle Alpi Apuane, è disponibile oltre un quarto di tutto il materiale cavabile in Toscana fino al 2038, che in totale somma 179.272.620 metri cubi.
I dati di monitoraggio della Regione Toscana evidenziano che in nessun comprensorio delle Apuane sia nemmeno vicina la soglia di guardia: il più “ricco”, che è quello di Carrara, che ha una capacità di quasi 34 milioni di metri cubi in vent’anni, sta “sfruttando” appena il 75% del proprio potenziale. Eppure, sulla carta anche l’escavazione che è considerata uno tra i 43 peggiori disastri ambientali del mondo, vedrà un aumento della propria capacità: potranno essere estratti 2,4 milioni di metri cubi di marmo in più. È come se sparisse un parallelepipedo di 100 metri per lato e alto ben 240 metri, che va ad aggiungersi sulla sommità di un altro solido che ha base di 300 metri per lato e altezza di 530.
In pratica, in vent’anni è condannata a sparire un’intera montagna da quota 1.000 a quota 1.800 metri sul livello del mare, che poi è ciò che accade davvero come dimostrano le fotografie scattate dai molti che si battono per frenare lo scempio delle Apuane, il cui impatto ambientale è collegato anche alla marmettola (polvere di marmo) che in zona carsica finisce nei corsi d’acqua della zona (“Montagne sbriciolate” è il titolo di copertina di Altreconomia 261). Non è un caso se l’ultima manifestazione contro l’estrattivismo selvaggio che si è svolta a Carrara a metà dicembre avesse come titolo proprio “Le montagne non ricrescono”.
Per la Regione, però, la variante proposta non sarebbe impattante, perché “non prevede alcuna modifica della parte cartografica, non prevede previsioni localizzative e non presuppone nuovi effetti territoriali”. Una nota pubblicata dalla Regione Toscana segnala anche che “l’iter avviato prevede che adesso la parola passi ai singoli Comuni, i quali dovranno segnalare alla Regione i rari casi di imprese che necessiterebbero di accedere a tale sforamento; a seguire, la Regione valuterà ogni singolo caso sulla base delle relative valutazioni ambientali, tecniche ed economiche. A titolo esemplificativo, l’incremento sarà autorizzato nei casi in cui l’approvvigionamento serva a realizzare opere pubbliche”.
L’assessore competente, il lucchese Stefano Baccelli, sottolinea che della deroga “potranno peraltro godere solo imprese debitamente autorizzate”. La Regione con questa iniziativa sarebbe al lavoro per “costruire il miglior equilibrio tra la tutela del lavoro e dell’ambiente”, aggiunge ancora l’assessore.
Le voci contrarie, però, sono tante. Dal mondo del lavoro c’è quella di Rossano Rossi, segretario generale Cgil Toscana: “Ci domandiamo quale sia davvero il motivo e l’urgenza di fare approvare una modifica di questa natura, con un simile impatto. Se infatti, come apprendiamo dalla stampa, il problema è legato solo ad alcune piccole cave (i Gessi Pisani, gli inerti del Valdarno, i calcari di turrite secca a Molazzana in Garfagnana e gli inerti di Poggibonsi) per quale motivo approvare una norma che incide su tutto il settore, potenzialmente in ogni territorio e su tutte le tipologie di materiale escavato, marmo compreso?”. Il sindacato pone l’accento su uno dei problemi centrali dell’affaire Apuane: “Continuiamo a ribadire che per noi è fondamentale investire sulla creazione di una filiera degna di questo nome, capace di creare buona occupazione anche al piano, iniziando così a completare davvero il ciclo produttivo sul territorio”.
Le montagne cancellate sono attraversate da sentieri, cammini e vie di arrampicata percorsi ogni anno da decina di migliaia di appassionati, come la “Via Vandelli” che s’insinua da Vagli al passo della Tambura e poi scende a Massa lungo il selciato storico, quello costruito alla metà del XVIII secolo per collegare Modena alla costa tirrenica. Le Apuane hanno anche particolarità eccezionali come il carsismo, le forme glaciali, scenari alpini di incredibile energia e un patrimonio botanico e faunistico incredibile, i resti archeologici e dell’escavazione storica (da quella romana a quella delle lizze novecentesche), che le cave distruggono sistematicamente e che invece potrebbero essere la ragione per l’affermazione di un turismo oggi soppresso dalla monocoltura del marmo.
Tra le tante voci critiche e informate c’è quella del Club alpino italiano (Cai) Toscana, che a fine febbraio è tornato ad esprimere il proprio disappunto dopo aver ascoltato l’intervento del presidente della Regione, Eugenio Giani, in Garfagnana: “Desta stupore che le Alpi Apuane siano considerate dalla Regione come un ‘giacimento’ economico, correlato esclusivamente all’estrazione del marmo. Il convegno era volto ad approfondire non si sa quale sviluppo sostenibile della Garfagnana, passando dalla valorizzazione dell’attività estrattiva, quale unico modello di innovazione. Non è possibile ascoltare dal presidente della Regione che a Carrara, nei bacini industriali, si proceda ‘senza tanti limiti’, mentre nei territori oggetto del Parco (cioè nelle aree di cava intercluse) vi sia una estrazione ‘vincolata’ che crea di fatto una contrapposizione tra una estrazione di serie A e una di serie B. Ed è pericoloso ascoltare e pensare che la ‘visione’ della Regione vada nella direzione di permettere che l’estrazione, anche nei territori del Parco, sia (de)regolamentata come all’interno di un bacino industriale. Sono dichiarazioni irricevibili che il Cai non solo non condivide, ma non è disponibile ad accettare”.
Il Parco regionale delle Apuane di fronte all’avvio del procedimento di variante è rimasto in silenzio. Nicola Poli è il sindaco di Minucciano (LU), uno dei comprensori delle Apuane. Intervistato da Altreconomia spiega che il 27 aprile è fissata una riunione in Regione e che il provvedimento non è stato concertato con le amministrazioni locali, per cui gli uffici tecnici del suo Comune stanno valutando il testo e nel caso presenteranno osservazioni formali. Aggiunge che il monitoraggio da parte della Regione Toscana è stato faticoso e che il dato medio relativo alla percentuale del marmo effettivamente estratto non tiene conto della presenza di più bacini all’interno dello stesso territorio, alcuni dei quali magari hanno giù saturato la propria capacità.
Secondo Legambiente, l’avvio del procedimento di variante sarebbe “una resa alle pressioni delle imprese e un atto di abdicazione della Regione rispetto alla sua potestà di pianificare e programmare in modo sostenibile le attività estrattive in Toscana”, come ha spiegato Fausto Ferruzza, presidente Legambiente Toscana. “Abbiamo preso atto che diverse cave hanno superato il limite fissato dal Piano regionale cave e molte altre lo stanno raggiungendo e per la Giunta regionale l’unica soluzione possibile sembra quella di alzare il limite delle quantità escavabili. Siamo veramente all’assurdo: le aziende che non hanno saputo programmare l’attività estrattiva in modo da rispettare il limite fissato dalla normativa regionale, scaglionando nel tempo i quantitativi da escavare, invece di essere sanzionate, vengono premiate, rendendo lecito ciò che lecito prima non era”, sottolinea l’associazione ambientalista.
Resta poi sullo sfondo della questione apuana un grande equivoco, di cui anche la Regione è consapevole, tanto da mettere nero su bianco, all’interno della propria relazione di monitoraggio, che “una cava che produca percentuali sbilanciate di detriti a scapito dei blocchi con una resa molto bassa, inferiore al 30/25/20% si configurerebbe come cava di inerti e non di materiali ornamentali e non potrebbe giustificare i consistenti e irreversibili impatti su risorsa, territorio e paesaggio unici al mondo”. Eppure a Carrara, nel bacino più importante, secondo dati forniti dal Comune alla sezione locale di Legambiente, nel 2022 solo il 18,6% del materiale è stato estratto in blocchi e destinato quindi all’uso ornamentale. Il resto è sbriciolato o in scaglie e non alimenta nemmeno l’occupazione, che anche tra il 2021 e 2022 è calata del 15% nel comparto estrattivo, tra le province di Lucca e Massa-Carrara. Gli addetti ormai non arrivano a mille.
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