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NOMUOS: resoconto dalla tre giorni di lotta

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Dal 5 al 7 agosto si è tenuto il campeggio di lotta NO MUOS al presidio di Niscemi, alle porte della base militare statunitense.

Da tutta la Sicilia e dal resto dell’Italia, si è partecipato per condividere esperienze e riflessioni rispetto alle lotte portate avanti nei propri territori contro i piani di devastazione e di morte della NATO. È emersa la necessità di dotarsi di strumenti per riuscire a rilanciare in modo efficace la lotta antimilitarista a partire dall’opposizione al MUOS e in dialettica con tutte le altre opposizioni, vecchie e giovani, ai processi di colonizzazione e devastazione dei territori tanto da parte dell’apparato bellico italiano quanto da quello USA e NATO.

La militarizzazione del territorio non riguarda solo i continui spostamenti e la presenza di truppe italiane e statunitensi, né il funzionamento delle antenne MUOS. Bisogna guardare soprattutto alla preparazione delle guerre, che appunto non “scoppiano” all’improvviso, e alla legittimazione ideologica e culturale di cui c’è bisogno per rendere giusto e auspicabile il riarmo, il rifinanziamento delle spese militari e la distruzione di interi territori e popolazioni. Infatti per fare la guerra “fuori” bisogna in primo luogo condurla al proprio interno, ed è da qui che bisogna partire per riuscire ad articolare un discorso antimilitarista che si ponga in chiaro e radicale contrasto al programma distruttivo dell’imperialismo nostrano. Costruire una cultura della guerra è conditio sine qua non per la prosecuzione della guerra stessa: dai meccanismi di emergenzialità e la militarizzazione durante questi due anni di pandemia, all’alternanza scuola-lavoro nelle caserme e negli edifici militari in Sicilia e Sardegna. Lo stato di guerra e i processi di colonizzazione “interni”  sono presenti e costanti, oltre che indispensabili, per permettere al sistema stesso di riprodursi. Difesa, sicurezza e progresso sono le parole-chiave su cui si regge questa cultura. Ma difesa di chi? Sicuramente non degli studenti morti in alternanza scuola-lavoro, né di tutte le persone che non possono accedere alle cure o dei giovani costretti a emigrare o peggio.Durante le giornate si è approfondito e analizzato come la guerra e la sua preparazione incidano sui territori e le comunità che lo abitano. La lotta al MUOS è una lotta ecologica.

Il biocidio è strutturale nel sistema che viviamo e la guerra imperialista è lo strumento principe usato per compierlo su larga scala e con estrema facilità. Gli apparati bellici hanno bisogno di un quantitativo immenso di energia e risorse per mantenersi e crescere, risorse che prima vengono violentemente estratte dai territori per poi essere risputate sotto forma di bombe e proiettili in quei stessi territori o in altre parti del mondo per i piani di conquista legati alla predazione di altre risorse da estrarre. La lotta ecologica e la lotta antimilitarista sono profondamente legate tra loro, diventa sempre più urgente è fondamentale costruire alleanze e lenti adeguate agli anni che viviamo, in cui la crisi climatica è effetto di un sistema estrattivista ma allo stesso tempo accelera e amplia le possibilità della controparte di disegnare le geografie e la conformazione dei conflitti globali. Diventa dunque essenziale guardare alle diverse lotte come una sola che guarda alla complessità della sfida che ci si pone davanti per attaccarla con tutti gli strumenti e tutte le forze possibili.
Lottare contro la colonizzazione militare significa costruire reti e comunità che mettono al centro la salute e l’autodeterminazione del territorio da Niscemi ad altre parti del mondo. Mentre il sistema lavora attivamente per rendere invivibile i territori attraverso guerre, siccità, desertificazione, emigrazione, etc.. noi dobbiamo lottare e lavorare per costruire le condizioni e le possibilità di vivere i territori, di restare e resistere. Costruire reti e comunità significa costruire resistenze, mettere in dialogo e potenziare i territori che resistono agli attacchi, non solo militari, del nemico. Significa anche costruire una prospettiva diversa da quella imposta, che inceppi i meccanismi di legittimazione di guerra del sistema dai luoghi della formazione agli ambienti di lavoro alla casa. Fare guerra alla guerra nei propri territori.A chiusura del campeggio, il pomeriggio di domenica 7, è partito il corteo diretto al cancello 1 della base militare. In centinaia, tra volti nuovi e vecchi del movimento  si è raggiunto l’ingresso presidiato dalle forse dell’ordine per svolgere una battitura immediatamente bersagliata da idranti e lacrimogeni CS. Nonostante ciò i manifestanti hanno proseguito con l’azione di disturbo alla base, costeggiando la recinzione e infine arrivando alla sommità della collina da cui sono chiaramente visibili le tre imponenti parabole e l’immensa porzione di terra occupata militarmente, apprendendo e riconoscendo la forma che il nemico prende nella sughereta di Niscemi. Ciò ha animato tutt i/le giovani che per la prima volta osservavano il “mostro”, e che presto torneranno a combattere la guerra, lì da dove viene mossa.

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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