Severe clear
[Scritto per Peace Reporter da Nicola Falcinella]
La guerra dal punto di vista di un singolo soldato, man mano che gli eventi si succedono. È il documentario “Severe Clear” di Kristian Fraga, un lavoro che non ha eguali costruito con le immagini girate dal tenente dei marine Mike Scotti durante l’invasione americana in Iraq nel 2003. Un soldato che era già stato in Afghanistan, e pure compagno di scuola di una donna morta nelle Torri Gemelle. Il film è stato presentato nella sezione “Extra – L’altro cinema” del Festival di Roma, dove ha ricevuto una menzione speciale tra i documentari dopo il vincitore “Sons of Cuba” sui giovani pugili cubani, e ha colpito molto l’attenzione: per le cose che dice e per il modo in cui lo fa. Il film parte all’inizio del 2003. Il militare dopo una permanenza in Afghanistan ha deciso di restare volontario in quel “corpo” che è ormai parte consistente della sua identità. Rientrato negli Usa viene assegnato ai reparti che devono prepararsi in Kuwait all’invasione dell’Iraq. Conosciamo Scotti nei 40 giorni di viaggio sulla nave Uss Boxer dove si allena, ripassa tattiche militari e si prepara mentalmente. Tiene in mano l’inseparabile videocamera mini-dv, la terza da quando è nei marines perché le altre sono state logorate dalla sabbia. Nel frattempo tiene un diario, così la voce del diario integra quanto riprende quotidianamente. Si accampano in Kuwait e hanno la consapevolezza chiara di non saper nulla del luogo dove dovranno combattere e del popolo e delle persone che si troveranno davanti. Quando George W. Bush dà l’ordine dell’attacco, Scotti è tra quelli che avanzano relativamente in fretta sulla strada per Bagdad senza sapere che tipo di resistenza e di accoglienza gli attenderà. Giunti nella capitale subito trovano il benvenuto degli iracheni, soprattutto dei giovanissimi entusiasti della nuova situazione. Ma tutto cambia rapidamente e la vera, logorante guerra ha inizio con i suoi orrori e il tenente e i suoi soldati devono affrontare la morte, subendola e dandola, tanto che Scotti ha ricevuto pure una decorazione. Mentre riflette a caldo il marine è cosciente della difficoltà della situazione, che serviranno tempi lunghi e che gli americani se ne dovranno andare.
Nel finale ai nostri giorni, guardando indietro, conferma che in guerra ci sarebbe andato: “non per il presidente Bush, non per esportare la democrazia, ma per i miei commilitoni”. È l’esperienza che l’ha segnato. La sua videocamera fa vedere la guerra dal dentro nei momenti noiosi e di attesa e in quelli terribili: “quello che vedete in tv è un decimo di quel che succede” scrive in una lettera ai genitori che stanno a casa ed è vero. Il film, partito dall’incontro tra il giovane regista e il soldato (che con il suo sacchetto di cassette digitali cercava un filmmaker interessato), è da vedere, apre prospettive nuove e merita davvero una circolazione in Italia: non fa giustificare la guerra ma mostra più di qualsiasi ricostruzione di finzione come si vive dentro un conflitto. Lo dice, il protagonista: “noi ci alziamo tutte le mattine a fare il nostro lavoro come lo fa chiunque altro”. E il regista porta lo spettatore dentro questa dimensione utilizzando anche le strutture del cinema con la C maiuscola: i cinefili potranno ritrovarci tante citazioni (da Kubrick a Coppola a Stone, del resto l’autore l’ha detto: “quel che so della guerra lo so attraverso i film e sono quegli strumenti che ho usato per raccontare questa storia”), ma sono associazioni nate al montaggio a partire dalle immagini, nient’affatto dilettantesche, di Scotti. Fraga non sposa tesi, ci fa capire senza farci aderire a quel che passa sullo schermo ed è molto efficace. Il fatto che i soldati possano raccontarci la guerra da dentro con le loro immagini (Brian De Palma con “Redacted” l’aveva già mostrato, ma qui per certi versi si va oltre) è uno dei pochi lati davvero positivi della rivoluzione digitale e della “democratizzazione” del video. Scotti ci porta dove nessun giornalista o filmmaker avrebbe potuto arrivare. E filmando la vita vera di guerra così come viene, supera anche ogni censura o autocensura.
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