Da Bruxelles la proposta di una rete europea per il diritto al dissenso
Il 28 giugno presso la sala “L’horloge du sud” 141 rue Trone a Bruxelles si è tenuto un primo confronto fra le realtà sociali e di movimento europee in vista della creazione di una rete per il diritto al dissenso e a difesa delle lotte sociali, mai come oggi sotto l’attacco delle politiche securitarie dei diversi stati nazionali europei.
All’assemblea hanno partecipato numerose realtà europee, il Sindacato Andaluso dei Lavoratori, compagn* catalan*, italiani che partecipano a Berlino alle lotte dei/le migrant*, francesi e, a far gli onori di casa, un collettivo antifascista di Bruxelles e il coordinamento di lotta belga dei sans papiers (lavoratori e non).
Tra le realtà italiane si segnalano No Tav, No Tap, No Grandi Navi, sindacati di base (Usb, Asia), Blocchi Precari Metropolitani, alcuni portali di contro-informazione (il nostro, Osservatorio sulla repressione che ha curato l’indizione e l’articolazione della discussione, Global Project), compagn* colpit* da Daspo di piazza e stadio, centri sociali e collettivi di inchiesta sul mondo del lavoro precario e l’europarlamentare dell’assembramento Gue/Ngl Emanuela Forenza
Il merito maggiore della discussione, una volta tanto, è stato quello di far uscire la battaglia “contro la repressione” dall’alveo di un discorso iper-tecnico e da specialisti, per inserirlo nel quadro più ampio delle trasformazioni non solo giuridiche ma anche economiche e legislative che stanno trasformando il vecchio stato di diritto sorto dal dopoguerra in uno stato d’eccezione permanente atto a garantire gli strumenti “necessari” per il prolungamento di una governance neo-liberale in crisi di legittimità.
Il penale esce dal carcere secondo la più classica logica dell’outsourcing, si amministrativizza tagliando la fase processuale, spesso tramutandosi in multa e debito economico con la società. All’opposto, reati un tempo considerati di bassa entità penale (blocchi, occupazioni e interruzioni di pubblico servizio) subiscono un innalzamento della pena, spesso convertita pecuniariamente. Assistiamo insomma all’erosione della legittimità del conflitto sociale come dinamica di trasformazione e regolazione dei rapporti sociali, dentro un’ottica tutta normativa e normalizzante di questi, dove chi esce dal tracciato delle regole consentite viene relegato nella schiera degli extra-lege: migranti, poveri che vivono di economia informale.
Gli interventi hanno quindi messo al centro i destinatari principali dei provvedimenti securitari e repressivi che stanno mutando la fisionomia di tanti stati europei, dallo stato di eccezione esteso in Francia oltre le intenzioni emergenziali d’origine (con la proposta del neo-presidente Macron di estenderlo a tempo indeterminato) al decreto Minniti-Orlando ora convertito in legge da aprile, alla Ley Mordaza che in Spagna, apripista di queste politiche dal 2015, concede alle forze di polizia ampia discrezionalità nel decidere se e quali manifestazioni di piazza potranno aver luogo. Target di queste leggi sono i/le migranti individuati come capro espiatorio delle contraddizioni emerse dall’Europa attraversata dalla crisi, i lavoratori e le lavoratrici che alzano la testa e si ribellano all’inasprimento delle condizioni di precarietà e sfruttamento e di chiusura degli spazi sindacali, il variegato ed eterogeneo mondo dell’attivismo e della militanza in prima linea nelle lotte sociali.
Numerose le proposte uscite da questa discussione collettiva: la necessità di un maggiore lavoro di informazione a livello continentale sulle trasformazioni in atto (con un monitoraggio più preciso dei passaggi istituzionali e delle esperienze di resistenza ad esse), l’ipotesi di una giornata nazionale (in Italia) contro i dispositivi amministrativi di prevenzione del conflitto meglio noti come “fogli di via”, la proposta di una campagna (nazionale e in prospettiva europea) per un’amnistia sociale dei reati connessi alle lotte politiche e sociali.
Su quest’ultimo punto, intervenendo come parte in causa, abbiamo fatto solo una piccola ma a nostro avviso significativa precisazione: ben venga la costruzione di una campagna ampia e plurale contro la proliferazione del penalismo e il clima forcaiolo che avvelena il nostro paese e l’Europa tutta, battaglia che necessariamente deve giocarsi su più piani, anche, dove possibile, su quello istituzionale. Solo, per renderla efficace e non chiusa agli addetti ai lavori, questa dovrebbe esplicitare un chiaro discorso di amnistia non solo per le avanguardie di lotta e la militanza più esposta, ma pronunciarsi in termini espliciti per una più vasta depenalizzazione dei reati connessi alle necessità della sopravvivenza di strati sempre più ampi di popolazione: reati contro la proprietà, economia informale, insolvenza. Questo perché i processi di proletarizzazione in corso stanno sempre più erodendo la “società civile” spesso fantasmata come referente ideale dei discorsi dell’attivismo, mentre aumenta a dismisura la quota degli uomini e delle donne esposte ad una precarietà non solo economica ma esistenziale, con il rischio sempre maggiore di trovarsi risucchiati nel gorgo penale.
L’assemblea, caratterizzata da una ricchezza di contributi e stimoli non comuni, si è chiusa con la promessa di rinnovati incontri, elaborazioni e iniziative a partire dal prossimo settembre.
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