Bruxelles, sequenze di attentatori in tv tra propaganda e delirio
Buona lettura
Tra gli attentati di Parigi e Bruxelles, un atto della guerra asimmetrica tra Europa e Medio Oriente che sta attraversando il continente, la copertura mediatica europea ci rivela politiche della comunicazione tutte da leggere.
Soffermiamoci al caso per noi più diretto, quello italiano, senza omettere però che i media europei, per quanto militarizzati, non arrivano al iivello di comunione mistica con i poteri costituiti come nel nostro paese. Solo in un paese in preda ad effetto Orwell, come lo è l’Italia, si poteva presentare l’arresto di un presunto jihadista, gambizzato dalla polizia, come il salvataggio di una bambina. Infatti la bambina altri non è che la figlia del presunto jihadista. In un mondo dove le foto di bambini sui media vengono sgranate per non ledere la sfera emotiva del minore, anche quando non ce n’è bisogno, sparare a qualcuno che ha accanto a sua figlia è “salvare la bambina”. Altro che eredi di 1984, qui siamo un piano inarrivabile, celeste di reinvenzione del reale.
E che dire di Salah, indicato dai media globali come componente del commando degli attentati parigini? Salah è stato dato “secondo fonti ufficali”, formula usata dal mainstream italiano, prima pentito del gesto, poi fuggitivo in Belgio, poi in Siria, poi semplicemente fuggitivo. Una volta arrestato in Belgio è stato dato, sempre con la stessa formula giornalistica, come pentito che rifiuta l’estradizione in Francia. Poi è stato dato come pentito che chiede, espressamente, l’estradizione in Francia. Poi come pronto a farsi saltare in aria a Bruxelles se non fosse stato scoperto. Facciamo notare che Salah, secondo fonti ufficiali, sarebbe stato coperto per mesi dall’Isis e poi addirittura inserito in un commando per un nuovo attentato. Quando, a novembre, sempre secondo fonti ufficiali, l’Isis gli dava la caccia per essersi rifiutato di farsi saltare in aria. Infine, Salah, sempre ufficialmente, avrebbe rifiutato di parlare. Grazie, come suggeriscono i giornali, ad una astuta strategia del suo avvocato. Un delirio, insomma. Certo, la confusione di una diretta permanente su questi temi fa il suo effetto. Ma siamo di fronte anche una strategia diffusa: un uso bellico della falsa notizia, prodotta per tentare di destabilizzare l’immagine che il nemico ha di sè. Una risorsa strategica in guerra. Solo che i media fingono di funzionare come se non ci fosse lo stato di guerra.
Così i bollettini dal fronte, quelli della propaganda, le tattiche da comunicazione di guerra si mescolano alle notizie, e alla pubblicità, in un flusso audio-video-testo indistinguibile. Fatto con il solo scopo di contribuire a creare pressione verso ciò che si pensa essere il nemico e, visto che siamo in guerra, tenere sotto controllo la propria popolazione. La quale non solo non ha mai accettato docilmente i media come oggi ma, anche, è oggetto non di una strategia della tensione ma di una vera e propria strategia della paura. Gli innumerevoli falsi allarme attentati, sparsi nella penisola, lo testimoniano. La strategia della paura, verso la propria popolazione, serve a regolare quanto possibile i comportamenti dei governati. Per cui al terrore seguono sempre le rassicurazioni, medialmente amplificate, delle istituzioni. Alternare paura e rassicurazione, regolando quanto possibile i flussi di comunicazione, è una forma di governo. Forma che pone il governo sempre dalla parte della istituzione legittimata in quanto soggetto che conforta, rassicura. Forma che scaccia l’altra forma, quella dell’opinione pubblica basata sul solito modello settecentesco, che metteva le notizie sullo stesso piano, con il primato del giudizio pubblico nell’elaborare le notizie. Ora conosciamo i difetti storici del modello dell’opinione pubblica, specie nel mondo tecnomorfo si manifesta come dittatura dell’opinione data sulla notizia istantanea a discapito di forme sociali strutturate e sedimentate, ma la strategia della paura è una chiara e piena regressione di ogni forma pubblica di elaborazione delle notizie. Regressione efficace visto che i social media sono sostanzialmente il riflesso della strategia della paura, pullulando di richieste, fantasiose quanto draconiane, di interventi polizieschi, militari, di rastrellamenti che pongano fine a quest’angoscia. Quando i tg fanno strategia comunicativa della paura, in Facebook è egemone il regno digitale del terrore.
La strategia della paura copre poi benissimo le evidenti smagliature nella trama del racconto dei media. Facciamo un esempio. Ufficialmente l’Italia fa parte di una coalizione che riunisce i più forti paesi occidentali, alleati di un nucleo forte di paesi arabi, che combatte l’Isis. Sulla carta una coalizione che potrebbe atomizzare Isis in poco tempo. Perchè nessuno intervista i responsabili di questa fantomatica coalizione per sapere come vanno le cose sul campo? Certo, la domanda giusta sarebbe se esiste davvero questa coalizione ma è significativo notare come la vicenda non sia seguita da notizie nonostante una guerra in corso. Eppure qualche D’Annunzio, del resto in Italia il gemello del tragico si chiama patetico, in questa situazione ha provato a gridare “vinceremo”. Ma chi sarebbe il soggetto della vittoria? Gli Usa e la Gran Bretagna provano a gestire la guerra asimmetrica con Isis col minimo d’intervento diretto; la Germania è alleata della Turchia, che con Isis ha buoni rapporti; la Francia combatte Isis per trovarsi maggior spazio in Siria. La retorica di Vittorio Veneto, versione twitter, non sa nemmeno chi vincerà, e nemmeno a discapito di chi, che si alzano già le fanfare della vittoria. Quando si dice comportarsi in autonomia dalla realtà.
Per i media meglio allora ripiegare su una sorta di Chi l’ha visto post mortem, ricostruendo movimenti di qualche attentatore di Bruxelles, capendo dove e come ha dormito prima di andare in Grecia. Fa molto giornalismo di provincia, quello che del grande evento va sempre a scavare se, per caso, è rimasto coinvolto qualche paesano o è stato toccato, anche per via indiretta, qualche paese del circondario. Del resto solo un giornalismo provinciale, che scatta carabinierescamente sull’attenti senza porsi domande se una fonte ufficiale passa una notizia,è in grado di rappresentare notizie come quella riguardante il terzo uomo dell’attentato all’aereoporto di Bruxelles. Infatti, non solo il terzo uomo ha cambiato più volte identità, sempre data per certa dalle solite fonti ufficiali, ma si è riusciti a costruire il capolavoro. Quello di dare come certa l’identità del terzo uomo ad un giornalista free-lance belga, per ben due giorni, in presenza di due foto (quella del giornalista e quella dell’attentatore) in cui era plasticamente evidente che non ci fosse alcuna somiglianza. Tutte le tv italiane pullulano di esperti -tra Luiss, Bocconi e Sant’Anna ne abbiamo visti di profeti in questi mesi pronti anche a giurare (un classico dall’11 settembre) che la torre di Pisa fosse sotto attacco- ma nessuno che sia stato invitato in studio ad analizzare le due foto. Solo quando le fonti ufficiali hanno smentito sé stesse, cambiando di nuovo ipotesi di identità a questo terzo uomo, ci si è adeguati. Questo perché, nella strategia della paura della guerra asimmetrica, le autorità non si possono smentire. Devono solo rassicurare. E, come nel caso della bimba alla fermata del tram, ciò che non è evidentemente vero lo diventa: due persone che non si somigliano diventano identiche. E chiaro che in assenza di una strategia dal basso contro questi fenomeni, le evoluzioni negative dei media seguiranno le evoluzioni delle atrocità del conflitto. Vedremo come.
Nel frattempo viene a mente l’eco delle strofe di una lontanissima canzone:
“Il nemico, marcia, sempre, alla tua testa.
Ma una testa oggi che cos’è?
E che cos’è un nemico?
E una marcia oggi che cos’è?
E che cos’è una guerra?
Si marcia già in questa santa pace
con la divisa della festa.
Senza nemici né scarponi e
soprattutto senza testa”
E così senza un nemico distinto, visto che cambia volto ogni giorno, e senza neanche una figura chiara di chi sia amico, prosegue la strategia della paura della guerra asimetrica. Con qualche bischero che urla “vinceremo”, nel silenzio della società, con i media che producono terrore. Senza senso pure quello si parla anche dell’unica cosa che i media italiani sanno produrre.
per Senza Soste, nique la police
28 marzo 2016
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