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Il poeta palestinese Mosab Abu Toha liberato dopo essere stato rapito a Gaza e picchiato in prigione dalle forze israeliane

“La storia di Mosab è quella di molti palestinesi a Gaza”.

(servizio del sito Democracy Now)

21 nov 2023 Notizia dell’ultima ora (successiva al video):

Le truppe israeliane hanno arrestato e, secondo quanto riferito, picchiato l’acclamato poeta e autore palestinese Mosab Abu Toha, dopo averlo fermato lo scorso 20 novembre a un posto di blocco militare israeliano domenica mentre si dirigeva verso il valico di frontiera di Rafah con la sua famiglia a Gaza. La sua ubicazione era sconosciuta fino ad oggi, quando è emersa la notizia del suo rilascio. Secondo l’avvocato palestinese, Abu Toha è stato portato in una prigione israeliana nel Naqab, dove è stato interrogato e picchiato insieme a più di 200 altri palestinesi che rimangono in detenzione. Ascoltiamo alcuni estratti della recente apparizione di Abu Toha a Democracy Now! e parliamo con l’Avvocata Buttu, che dice: “La storia di Mosab è quella di molti palestinesi a Gaza”.

Traduzione del video a cura di:  Leila Buongiorno
0:00  (Amy Goodman)

Questo notiziario è finanziato dai nostri degli spettatori, per favore sostenete il nostro lavoro a democracynow.org. Qui Democracy Now, il Servizio Guerra e Pace, sono Amy Goodman con Juan Gonzales

0:13 (Amy Goodman, inizia il servizio)

Aumentano in tutto il mondo gli appelli ad Israele perché rilasci immediatamente il noto poeta e autore palestinese Mosab Abu Toha, che è stato arrestato ad un checkpoint militare israeliano a Gaza questo fine settimana, mentre si stava recando al valico di frontiera di Rafah con la sua famiglia. Non si hanno notizie di dove sia. Le sue opere sono state pubblicate su The New Yorker, The Atlantic, The Progressive, e altre testate. Ha fondato la biblioteca Edward Said a Gaza. Il suo primo libro di versi Things you may find hidden in my ear (Cose che puoi trovare nascoste nel mio orecchio) ha vinto l’American Book Award ed è stato finalista per il premio National Book Critics Circle. La sua Raccolta di Poesie è stata pubblicata da City Lights Books. In un suo recente saggio sul The New Yorker Magazine, Abu Toha ha scritto : “Sono seduto nella mia casa provvisoria nel Campo di Jabalia, in attesa di un cessate-il-fuoco. Mi sento in gabbia, vengo ucciso ogni giorno insieme al mio popolo, le uniche due cose che posso fare è provare panico e respirare. Qui non c’è nessuna speranza.” Mosaba Abu Toha era apparso qui a Democracy Now solo poche settimane fa

1:25 (Mosab Abu Toha)

“Voglio dire, dove emigriamo? Noi siamo… siamo nati in questa terra, i miei genitori sono nati in questa terra e i mie bisnonni sono nati qui. Ma se chiedete a chiunque in Israele, la maggior parte di loro ti dice che i loro nonni sono nati da qualche altra parte. E poi io ho un passaporto palestinese che non è molto utile se lascio Gaza, ammesso che potessi lasciare Gaza. Per cui, dove vado? E Netanyahou il secondo giorno dell’escalation ha detto “Chiedete ai palestinesi di Gaza di andarsene”. Ha detto “andarsene ora”, ma dove andiamo e perché dovremmo andarcene? Non abbiamo nessun altro posto dove andare.

2:10 (Amy Goodman)

Queste le parole del poeta palestinese Mosab Abu a Democracy Now nello scorso ottobre.

2:15 (Amy Goodman)

In questo momento non si sa dove si trovi dopo essere stato preso da soldati israeliani ad un check-point a Gaza. Ora ci colleghiamo con Diana Buhu, un’avvocata palestinese, ex- consulente per il team dei negoziatori dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che ha rivelato la notizia del sequestro di Mosab Abu. E’ in collegamento da Haifa: Diana, ci può spiegare cosa ha capito dell’accaduto?

2:40 (Avv. Diana Buttu)

La storia di Mosab è quella di molti altri palestinesi di Gaza. Stava cercando rifugio nel Campo Profughi di Jabalia, visto che la sua casa era stata bombardata e ridotta a un cumulo di macerie. Mentre si trovava nel Campo Profughi di Jabalia, a circa 70 metri di distanza, a Jabalia, gli israeliani hanno fatto un massacro e lui è scampato due volte alla morte. Suo figlio è nato in America ed è cittadino americano e lui e la sua famiglia, insieme ad altri, alla fine sono stati autorizzati ad uscire dal valico di Rafah per andare altrove. Mentre stavano fuggendo dalla parte settentrionale della Striscia di Gaza sottoposta a pesanti bombardamenti, sono stati obbligati a passare da un check-point che avrebbe dovuto essere un passaggio sicuro per la Salah Al-Din Road, la strada che va da nord a sud. A quel check-point, in una zona militare, a lui e a centinaia di altre persone è stato intimato di alzare le braccia,  per cui è stato obbligato di posare a terra il suo bambino di tre anni per alzare le mani. Poi lui e centinaia di altri uomini e donne, cosa confermata da sua moglie, sono stati portati via, non sono stati arrestati, sono stati portati via, rapiti, dall’esercito israeliano, mentre a tutti gli altri veniva detto di proseguire. La sua famiglia non è a Rafah, sta ancora cercando di raggiungere il sud, che è pressoché impossibile da raggiungere. E i suoi familiari non hanno ancora avuto sue notizie, non hanno idea di dove si trovi. Abbiamo cercato ovunque, tramite la ICRC, tra i rappresentanti del Congresso, col dipartimento di Stato e nessuno è stato in grado di darci la benché minima risposta su dove si trovi, perché sia stato portato via, per quali ragioni venga trattenuto e quando verrà rilasciato. E questa è la ragione per cui molti stanno facendo pressioni e chiedendo non solo il rilascio di Mosab, ma delle centinaia di palestinesi che sono stati portati via nel corso delle ultime sette settimane.

4:44 (Juan Gonzales)

Mi domando, visto che in passato ha commentato la grande diffusione da parte di Israele di false notizie sulla guerra, ci può spiegare quali sono stati gli effetti di questa pratica?

4:56 (Avv. Diana Buttu)

L’effetto è stato che ora vediamo i media commerciali valutare e analizzare i più piccoli dettagli delle disinformazioni che Israele fa circolare, ma sembrano non cogliere il contesto più ampio, che è quello che Israele sta bombardando 2.200.000 persone in campi profughi densamente popolati e che la metà sono bambini. E ci arrivano disinformazioni una dopo l’altra. Li abbiamo sentiti annunciare la legalità dei bombardamenti sugli ospedali, quando chiunque abbia un benché minimo senso morale, o la nozione di ciò che sia legale e giusto, sa che non si può bombardare un ospedale. E stiamo assistendo al fatto che i media commerciali, invece di mettere in discussione questo, hanno semplicemente accettato l’idea di ignorare queste verità. E si vede anche nel caso di Mosab, perché aleggia una specie di sospetto che abbia fatto qualcosa di sbagliato, invece di riconoscere che si tratta di uno schema che Israele porta avanti ormai da sette settimane: invadere Gaza, sequestrare delle persone senza che nessuno sappia dove finiscano. Abbiamo visto la stessa cosa accadere ai lavoratori palestinesi che hanno un permesso di lavoro per il territorio israeliano, non solo sequestrati, ma picchiati e con i video delle loro torture diffusi su Tik Tok o Instagram. E naturalmente nessuno che sollevi la questione della legalità, della moralità, di fare questo tipo di cose.

Quindi il problema è stato che hanno imboccato la strada di accettare la disinformazione anziché sollevare quesiti e piuttosto criticare il contesto più ampio della legalità dei bombardamenti israeliani su un grande campo profughi. L’unica ragione per cui sono profughi è che è Israele che li ha ridotti a quella condizione.

6:52 (Amy Goodman)

Ci può spiegare di più su come cerca di ottenere informazioni ed attenzione sul caso di Mosab in questo momento? Si dice che Israele e Hamas siano prossimi ad un accordo per il rilascio degli ostaggi, che rapporto c’è tra questa e quella vicenda. Perché è così difficile in questo momento avere contatti sia con Israele che con la Palestina. Come riesce a comunicare con entrambi?

7:20 (Avv. Diana Buttu)

Per quanto riguarda la comunicazione, va detto che è pressoché impossibile e lo è perché gli israeliani già due settimane fa hanno imposto un black-out sulle comunicazioni nella Striscia di Gaza. E non solo è stato imposto un black-out, ma è stato reso praticamente impossibile anche il roaming. Per cui per riuscire a mettermi in contatto con amici, amici molto cari, nella Striscia di Gaza, ci metto un’intera giornata per riuscire a parlare con un paio di loro. La comunicazione è quasi impossibile. E per riuscire a scoprire la storia di Mosab, è stato contattando la sua famiglia, in particolare sua moglie, mettendo insieme le informazioni per poi divulgarle il più ampiamente possibile, agli amici, alle persone che lo conoscono, che hanno collaborato con lui, il suo editore, le persone che lo hanno pubblicato in passato, non solo il suo editore ma anche altri. Cercare di far circolare quelle informazioni in maniera che le gente si renda conto che non è solo la storia di Mosab, ma quella di migliaia di altri palestinesi, anzi, milioni di palestinesi, che in questo momento sono intrappolati nella Striscia di Gaza. È diventato praticamente impossibile contattare le persone a Gaza ed è diventato pressoché impossibile per loro riuscire ad ottenere le cose più necessarie, come chiamare un’ambulanza dopo una bomba israeliana, contattare delle persone che li aiutino a rimuovere le macerie, riuscire a raggiungere un ospedale. E tutto questo è stato fatto con la complicità del buio. Nello stesso tempo vediamo tutto questo dal vivo e il fatto che nessuno faccia niente la dice lunga.

9:00 (Amy Goodman)

Voglio tornare a Mosab Abu Toha, quando ha parlato qui a Democracy Now, solo poche settimane fa.

9:07 (Mosab Abu Toha)

Ieri notte mio figlio di tre anni stava dormendo e c’erano bombardamenti nella zona. E lui si è svegliato e ha detto “Chi è stato? Fallo smettere”. Era la prima volta che mi chiedeva di farlo, come se io fossi responsabile del bombardamento. Ma io non posso fare niente come padre, niente come vicino o come figlio, siamo impotenti, ed è una vita che siamo impotenti, mentre gli Stati Uniti purtroppo non fanno che intromettersi in appoggio a Israele.

9:40 (Amy Goodman)

Erano le parole del poeta Mosab Abu Toha a Democracy Now qualche settimana fa. Potete vedere tutta l’intervista sul sito di democracynow.org.

da Invicta Palestina

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