La prima volta del calcio in televisione
«Vedevo figure vaghe, allora commentai guardando il monitor e mi accorsi che l’occhio elettronico è più sensibile di quello umano»
65 anni fa (febbraio 1950) l’esordio di un incontro di calcio su uno schermo televisivo.
L’epica del Grande Torino era cominciata nel 1943 e fu costellata quasi ininterrottamente dal titolo di campione d’Italia fino al 1949, anno della tragedia di Superga. Con la scomparsa della squadra granata, a conquistare l’egemonia del calcio italiano sono le società di Milano e la sponda bianconera di Torino. Il 1950 è il primo campionato senza gli invincibili granata e a contendersi il titolo sono proprio Juventus e Milan, che il 5 febbraio si sfidano nel capoluogo piemontese sul manto innevato e fangoso dello stadio Comunale. Sarà una partita storica, e non tanto per il clamoroso 1-7 con il quale i milanisti surclassarono i padroni di casa, illusoriamente passati in vantaggio con una rete di Hansen siglata poco dopo un clamoroso palo di Parola, resa vana dalla tripletta di Nordhal e dalle marcature di Liedholm, Gren, Burini e Candiani. La domenica sarà infatti ricordata soprattutto per l’esperimento tentato dalla Rai, che per la prima volta trasmetterà un incontro di calcio sul teleschermo. All’epoca sono poche le persone a possedere un apparecchio televisivo e la diretta è destinata alla zona di Torino e dintorni dove sono stati installati i ripetitori. Il clima di giornata rende ardua persino la telecronaca, affidata alla voce di Carlo Balilla Bacarelli. Il conduttore ricorda che «Juventus-Milan si giocò in un pomeriggio di nebbia: vedevo figure vaghe, allora commentai guardando il monitor e mi accorsi che l’occhio elettronico è più sensibile di quello umano». L’adattamento del calcio al nuovo mezzo di diffusione non fu da subito dirompente. A pesare era l’alto costo degli apparecchi – il loro prezzo corrispondeva a sei mesi di un salario operaio – l’incompleta copertura del territorio nazionale e riprese ancora lontane dall’affascinare il tifoso al punto da convincerlo a sobbarcarsi il sacrificio dell’acquisto di un televisore. Furono altri tipi di trasmissioni a creare inizialmente quella forte affezione tra mezzo televisivo e pubblico: i programmi di intrattenimento. Un genere che smosse le abitudini dei cittadini, favorendo un nuovo tipo di socialità. I possessori di televisori e gli abbonati, che salirono a dismisura sotto l’effetto del miracolo economico e dell’enfatizzazione dei beni di consumo, la sera aprivano le porte ai vicini mentre i locali pubblici offrivano la visione collettiva dei programmi più popolari. Il rapporto tra sport e fruizione pubblica della televisione ebbe modo di sbocciare in occasione di eventi internazionali, quali ad esempio la Coppa Rimet, disputata in Svezia nell’agosto del 1958.
Per l’occasione la Rai mise in onda l’intera manifestazione in piena sinergia con la stampa sportiva, che dava indicazione degli orari delle partite in tv. Nacque la nuova convivialità sportiva. Così la ricordano Papa e Panico, autori di un noto volume sulla storia sociale del calcio in Italia: «Bar e ristoranti si fecero concorrenza, avvisando clienti che nei loro locali avrebbero potuto assistere alla più grande competizione del calcio mondiale. Per la prima volta milioni di italiani che non avevano consuetudine con lo spettacolo sportivo videro una partita di calcio. Si pensi al mondo domestico, a quello femminile in particolare; si pensi ai tifosi che non avevano conosciuto il calcio internazionale se non attraverso le pagine dei giornali e le suggestive, ma cieche, radiocronache di Nicolò Carosio. Gli appassionati del pallone si trovarono d’un tratto immersi nel mondo della grande tecnica calcistica internazionale». Di pari passo con la diffusione delle prime partite di calcio, nacquero i programmi dedicati alle domeniche sportive che nel tempo raggiunsero un seguito tale da condizionare i rituali festivi degli appassionati. Considerata come il centro disciplinare dell’attenzione sociale delle grandi masse, la televisione, abbinata al calcio, diventa ambita merce del capitalismo. Il monopolio della televisione pubblica in Europa crolla negli anni ’80, spezzato dal potere d’acquisto delle tv private, che nel tempo acquisiranno il mandato per ripensare drasticamente i luoghi e i modi di vivere l’evento sportivo.
Orlando Santesidra
Pubblicato sul numero 101 dell’edizione cartacea di Senza Soste (febbraio-marzo 2015)
da Senza Soste
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