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L’Iran tra elezioni e cambiamento

Premessa necessaria.

Dopo l’accordo sul nucleare siglato a luglio con il P5+1 (Consiglio di Sicurezza+Germania) e l’allentamento/fine delle sanzioni economiche, i falchi della politica iraniana, tra cui la Guida Suprema l’Ayatollah Khamenei, avevano più volte fatto sentire il loro peso, sostenendo che non c’è nessuno spazio per un disgelo con gli Stati Uniti e l’Occidente in generale e che la politica di apertura sul nucleare (la flessibilità eroica) è il risultato del pragmatismo iraniano e non il perseguimento di chissa quale moderazione verso i nemici storici della Repubblica Islamica.

Insomma, sia Khamenei che molti rappresentati dell’ala dura hanno minimizzato i successi diplomatici di Rouhani e del ministro degli Esteri Zarif.

L’ala conservatrice ha così deciso di colpire duramente la parte riformista nelle elezioni che si sono tenute negli scorsi giorni. Elezioni che avevano lo scopo di rinnovare sia il Majiles (il Parlamento), dominato dai conservatori, e, soprattutto, eleggere gli 86 membri del Majles-e Khobragan Rahbari , l’Assemblea degli Esperti, l’organo elettivo della prossima Guida Suprema.

Non una cosa da poco insomma: la posta in gioco è infatti l’elezione del successore di Alì Khamenei (già dato per malato), cioè colui che terrà in mano le chiavi e il futuro della politica iraniana da qui alle prossime decadi.

Sebbene dunque il Consiglio dei Guardiani (la Magistratura islamica) abbia squalificato più di ¾ dei candidati riformisti, l’asse legato a Rouhani sembra (nel momento in cui si scrive lo spoglio delle schiede è ancora in corso) aver riequilibrato il potere degli oltranzisti in parlamento (91-98 conservatori vs 81 Rouhani).

Soprattutto a Tehran, capitale e centro culturale irradiatore di istanze modernizzatrici per certi versi lontane dal resto del paese: qui il candidato forte della Guida Suprema, Haddad Adel, non è stato nemmeno eletto mentre l’asse di Rouhani ha conquistato 30 seggi su 30. En Plein.

Ma l’Iran non è solo Tehran o Shiraz, è anche Qom o Yazd, città più tradizionaliste.

L’affluenza è stata abbastanza alta, si parla del 65% di votanti tra gli aventi diritto.

Detto ciò, alcune precisazioni sono necessarie.

Nel campo cosiddetto riformista, termine che è stato abusato dai media mainstream, rientrano personaggi diversissimi, come l’ex presidente Rafsanjani, “gattopardo” abituata ai cambi di campo, e l’ex presidente Khatami, noto riformista bandito dai media nazionali da più di un anno. O come Mohammed Reza Aref, vero riformista e vice-presidente durante mandato Khatami, insieme con Ali Mothari, favorevole a Rouhani ma un falco sulle questioni dei diritti civili.

Lo stesso Presidente Rouhani, benchè presentato come un riformista, è un mullah del campo conservatore-pragmatico vicino a posizioni moderate.

Fondamentalmente, questo schieramento sostiene le graduali aperture nei diritti civili in campo economico e dei costumi, ma non mettono in discussione le fondamenta su cui si fonda la Repubblica Islamica, il cosiddetto velayat-e-faqih (la tutela del giusperito).

Un cambiamento nella co-gestione si potrebbe dire.

Lo stesso Mir Hossein Moushavi, il leader della rivoluzione verde del 2009 confinato ai domiciliari da allora, e sostenitore del campo riformista, è sempre stato un uomo dell’establishment, primo ministro dall’81 all’89 e amico personale di Khomeini.

Ciò che sembra aver capito questo schieramento è il fatto che la società iraniana sia una delle più dinamiche e giovani del Medio Oriente e che, per evitare cambiamenti violenti, sia necessaria una graduale apertura riformatrice verso i diritti civili così da gestire pacificamente l’esuberanza e l’eccedenza culturale della società (di cui quasi il 60% è nato dopo la rivoluzione del ’79).

Oltre ai riformisti, abbiamo i pragmatici, i principalisti, i conservatori e gli indipendenti. Se i primi due gruppi sposano una concezione liberale in economia con la volontà di seguire i dettami etici del khomeinismo, i conservatori più oltranzisti guardano con sospetto ad ogni forma di apertura sociale ed economica sia interna che esterna.

Gli indipendenti sono una forza a sé stante, di volta in volta più inclini al pragmatismo o al conservatorismo. Guardiamo, ad esempio, al caso di Ali Larjani: prima uomo forte del parlamento pro-Ahmadinejad, il vecchio presidente espressione dei Pasdaran, poi uscito dal campo conservatore per assesstarsi su posizioni filo-Rouhani, proprio quando quest’ultimo necessitava la ratifica dell’accordo sul nucleare da parte del Majlis.

Questo per dire che anche nelle liste presentate come riformista, la Lista Speranza su tutti, la presenza di riformista accanto a pragmatici e principalisti è un dato di fatto. La semplificazione mainstream della divisione riformisti vs conservatori è, al contrario, funzionale ad una fruizione generalista della politica iraniana. Dove, invece, convivono diverse anime e diversi orientamenti: conservatori moderati con riformisti così come pragmatici e principalisti con ultraconservatori e indipendenti. Che, di volta in volta, appoggiano questo o quel Presidente.

Ultime osservazioni. Il “taglio con l’accetta” dei candidati riformisti da parte della Magistratura è anche e soprattutto funzionale a mantenere quel balance-of-power tra, appunto, fautori di un’apertura seppur graduale e ultraconservatori, così che nessuno arrivi a dominare nel Majlis.

Nell’Assemblea degli Esperti invece, nonostante siano passati Rouhani e Rafsanjani, la predominanza dell’elemento conservatore sembra aver avuto ancora la meglio, dato l’alto filtraggio da parte dei giusperiti islamici (il nipote di Khomeini, Hassan, è stato scartato proprio perché si è rifiutato di sottoporsi ad un esame di diritto islamico). Soltanto il tempo saprà dire se ci sarà da aspettarsi l’elezione di un moderato-riformista come prossima Guida Suprema.

L’Iran, con queste elezioni, ha dimostrato di avere un sistema poltico molto più partecipatorio di quanto venga fatto passare nei media mainstream. La chiave del successo di Rouhani e della parte etichettata come riformista è il voto giovanile e femminile in una società altamente dinamica e istruita-il tasso di laureati, soprattutto tra le donne, è uno dei più alti al mondo-, in un paese composto da una classe media urbana per buona parte secolarizzata e portatrice di istanze di cambiamento.

Ben altra cosa rispetto a quello che i media ci propinano ogni giorno. In ogni caso, per comprendere la reale portata di queste elezioni bisognerà attendere l’insediamento del nuovo parlamento e comprendere la postura della Guida Suprema Khamenei, vero arbitro della partita nella gestione del futuro politico dell’Iran.

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