Onore a un rivoluzionario. I funerali di Orso sono anche la nostra lotta
Venerdì 31 Maggio è tornata in Italia la salma di Lorenzo Orsetti. Sono passati quasi tre mesi da quel 18 Marzo 2019, quando abbiamo appreso la notizia della morte di Orso in combattimento contro l’ultimo baluardo dello Stato Islamico a Baghouz, Siria. Il feretro è stato fatto passare da un’uscita secondaria per evitare il presidio di saluto e portato di corsa al Verano, blindato e da cui i giornalisti sono stati tenuti a distanza.
Lorenzo, con la scelta di combattere nelle Ypg e con il suo martirio, ha squarciato il velo di silenzio dell’informazione mainstream sulla rivoluzione in Siria del Nord e su chi stava combattendo l’ISIS. Improvvisamente, dopo anni di silenzio, in Italia milioni di persone hanno sentito parlare di autogoverno, rivoluzione delle donne, del tentativo in atto di trasformare radicalmente il sistema capitalistico e patriarcale in nome dell’umanità, della libertà e dell’uguaglianza. Ad un tratto, tantissime persone si sono domandate cosa porta un giovane italiano a rischiare la vita in Siria insieme a persone tanto diverse da lui in quanto a cultura, lingua e storia.
Orso era stufo di lavori frustranti e alienanti, dell’egoismo che la società in cui viviamo impone come regola di sopravvivenza, di dare il tempo della propria vita a questo sistema, basato sul dominio. Ma le parole non gli bastavano e ha fatto una scelta difficile: quella di dare seguito alle parole anche a costo della propria vita. Ha incarnato l’amicizia tra rivoluzionari, che supera ogni barriera, l’amicizia fondata su un sogno comune: la lotta per la libertà. Per questo il martirio Orso ha rotto gli argini dei conoscenti e dei cari. Tuttavia, la procura di Roma ha disposto che il corpo di Lorenzo fosse trattenuto per “accertamenti”. Su quali siano le tempistiche con cui lo restituiranno hanno famiglia mantengono una vaghezza irrispettosa, che si pone oggettivamente in contrasto con l’organizzazione di una celebrazione pubblica e partecipata.
D’altronde in questo paese sei persone che hanno combattuto con le Ypg e le Ypj contro l’ISIS potrebbero essere considerate “socialmente pericolose” e vedere limitata di molto la loro libertà personale con una misura di Sorveglianza Speciale. Senza alcuna accusa, senza un processo. A essere giudicate, in realtà, sono le idee che hanno sostenuto e di cui parlano in Italia. Le stesse che ha sostenuto Orso.
Grazie a Orso, milioni di orecchie in Italia sono state raggiunte da delle parole che fanno paura ai poteri dominanti: sognare la libertà, lottare per raggiungerla, rivoluzione. Lo spettro viene di nuovo nominato con una forza che tocca i cuori di migliaia di persone. Nell’Italia del consenso a Salvini, dove la sofferenza sociale viene scaricata sui subalterni rafforzando le strutture sociali patriarcali, razziste, di dominio e di repressione, il messaggio di Orso irrompe e scardina il discorso dominante. Se solo le lotte possono trasformare la materialità dei rapporti sociali esistenti, perché questo non avvenga esclusivamente come trasformazione interna a questa logica del sistema è necessario che si rafforzi la possibilità di pensare l’alternativa. È questo il campo di battaglia in cui si collocano i funerali per Orso.
Il rispetto per un compagno, la sua famiglia e i suoi amici, il dolore per la sua perdita, per noi è indissolubilmente legato alla sua umanità più profonda, al suo valore etico e politico, incarnata anche dalla sua scelta di combattere nelle Ypg. Orso era un nostro amico e un nostro compagno, a lui siamo uniti profondamente dal desiderio della libertà e dalla lotta per conquistarla. Dopo aver sconfitto militarmente lo Stato Islamico, il dono che ci consegnano i rivoluzionari in Siria del Nord, il dono che ci consegna Lorenzo con la sua morte, è proprio l’esempio concreto che sessismo, razzismo, egoismo, sfruttamento non sono gli unici principi possibili della società, ma che si possa immaginare e costruire una vita libera. I funerali di Orso fanno parte di questa lotta e proseguirla ci lega a lui per la vita, perché ogni goccia di sangue versato dai nostri compagni sia parte della nostra tempesta.
Nella memoria l’esempio nella lotta la pratica
I martiri non muoiono
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