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Tutti a casa

L’inciucio è concluso. La gattopardiana telenovela del PD vede un finale scontato e posticcio. Di fronte alla (ben ponderata) rigidità del M5S il vento del cambiamento si è rivelato la beffarda pernacchia che già dall’inizio i più avevano inteso, facendo implodere un partito che segna probabilmente il viale del tramonto. Re Giorgio è tornato e vuole ai suoi servigi il fedele vassallo Amato. La conservazione dello status quo dei politici di PD e PDL è salva, almeno a breve termine, sembrerebbe.

Ma fuori dai palazzi qualcosa scricchiola. Scricchiola quando in poche ore dalla chiamata di Grillo rispondono migliaia di persone, non solo militanti del Movimento 5 Stelle, ma delusi di ogni risma, arrabbiati per un’altra decisione presa sulla loro pelle. Questo è il primo dato, l’insopportabilità dell’arroganza del sistema dei partiti. La domanda è chi decide e per chi. La democrazia rappresentativa italiana cala la maschera e di certo questo non passa inosservato dentro le fila di chi sta pagando questa crisi. Una rabbia che dentro un canale di attivazione come quello del M5S non rimane chiusa tra le mura di casa, passiva, ma va a bussare, esitante (per il momento?) al portone del parlamento. Una frattura che per un momento spaventa una parte del paese e ne fa gioire un’altra. Spaventa persino Grillo e Crimi che nella paura di vedere la piazza superarli a sinistra cercano di sgonfiarla, di quietare gli animi che potrebbero scaldarsi troppo. Nell’ambiguità tra il costruire il proprio consenso intorno a un rifiuto radicale delle politiche di rigore e dei politici corrotti che le hanno praticate e il tentativo allo stesso tempo di presentarsi come forza “responsabile” se pur incorruttibile, all’altezza di governare, Grillo si trova in difficoltà a confrontarsi con la folla, la stessa che ha conquistato nella fase elettorale.

Ma come al solito i fenomeni vanno letti in toto, e sicuramente il ruolo giocato da Grillo e Crimi è il meno interessante della vicenda. L’aspetto importante è che sull’onda del “tutti a casa” provocato dalla rielezione di Napolitano una composizione vasta e variegata ha risposto in maniera immediata, praticando anche piccoli episodi di rottura. Alcuni chiedevano di occupare Montecitorio (per il momento “chiedevano”?), altri stracciavano la tessera del PD in piazza pubblicamente davanti alle telecamere, altri ancora tentavano blandamente di superare le transenne imposte dallo schieramento di polizia. Niente di eccessivamente significativo? Forse, ma interessante dentro una composizione che finora non aveva visto momenti di attivazione e che si assume, se pur facendone un minestrone, pratiche e immaginari di chi lotta dentro i movimenti sociali da anni. Una prima disponibilità a superare la passività della delega? Può darsi.

Di certo c’è il dato che bisogna mettersi alla prova nel relazionarsi con questa composizione, nel provare a portarla sul terreno del conflitto e della lotta. E che il ” tutti a casa” agitato oggi possa essere una strada per i movimenti è un’opzione da mettere in agenda e a verifica riprendendo il filo di quel “non ci rappresenta nessuno” di qualche anno fa senza ideologie identitarie, ma se mai nel tentativo di costruire dentro questo nodo identità larghe e capaci di parlare a molti, senza rinunciare al conflitto, ma facendone proprio pratica quotidiana di incompatibilità.

Certo Re Giorgio è stato restaurato, ma noi viviamo per camminare sulla testa dei Re.

 

Jonnie Walker

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