8 aprile, Roma: di cosa parlano gli scudi…
Attraversare un corteo studentesco che avviene in una città diversa da quella di provenienza è sempre interessante. Poter osservare pratiche e parole d’ordine simili, ma declinate diversamente e su spezzati sociali diversi arricchisce la narrazione collettiva di una rete come la nostra.
Uno sguardo esterno come il nostro non può esimersi da guardare come le particolarità di questa mobilitazione si inseriscano nel percorso che ha attraversato questo autunno, che è stato contaminato dalle lotte euromediterranee e che si caratterizza adesso in questa primavera verso lo sciopero generale.
Già l’indizione dell’evento suggerisce gli intenti e l’immaginario che questa manifestazione ha messo in pratica. “La primavera si scalda, la nostra ora ritorna”. Un “ritorna” che ammicca al 14 dicembre e al portato che quella splendida giornata ha sedimentato nel movimento studentesco. Gli studenti romani hanno voluto dichiarare che il 6 maggio ci saranno e ci saranno certamente con un certo tipo di prospettive. Le pratiche che hanno attraversato da Londra a Palermo le lotte nel mondo della formazione si sono riprodotte, cambiando però in alcuni particolari. Ad esempio lo strumento dei bookblook cambia ed esce dalla sua iniziale caratterizzazione. Infatti sugli scudi che oggi hanno difeso gli studenti romani non c’erano nomi di libri, ma frasi che si parlavano di cultura, ma in una certa maniera e non solo. La “generazione precaria” ha maturato anche dentro e oltre il quattordici un’interpretazione della cultura non tanto come bene a prescindere da difendere indistintamente, ma come strumento da un lato del mercato per trarre profitti e disciplinare i lavoratori e dall’altro come possibile mezzo da usare al contrario verso di questo. Ma ancora, gli scudi parlavano anche delle nostre quotidianità, della precarietà, del no al nucleare, contro il controllo sociale, per l’acqua come bene comune e delle mille parole chiave che sono nate e vissute dentro le lotte di questi mesi.
La determinazione degli studenti romani di riprendere e ricontaminare l’immaginario scaturito dal 14 dicembre si è vista anche nella voglia di raggiungere i palazzi del potere per gridare ancora una volta quella rabbia precaria che si è espressa nel “que se vayan todos!”.
Questa determinazione ha visto ancora una volta la strada sbarrata da parte dei servi in casco blu che con la loro brutalità hanno tentato di impedire il raggiungimento dell’obbiettivo.
Ma quello di oggi non è stato che un avvertimento che gli studenti romani hanno lanciato alle piazze, un avvertimento verso lo sciopero generale.
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