Contro la Scuola di classe dei Test Invalsi
La riproposizione di pratiche di boicottaggio contro un modello di scuola totalmente deciso e imposto dall’alto hanno avuto il loro effetto, come testimonia il lamento di una dirigente scolastica di Napoli postato ieri sulla pagina facebook del nuovo ministro dell’istruzione. Ma i casi sembrano essere stati molti. La mobilitazione indetta dai Cobas è quindi riuscita a mettere parzialmente i bastoni fra le ruote dei “valutanti”, complici anche molti genitori e studenti che non hanno accettato supinamente di essere schedati dal Ministero. A Milano, la Rete Scuole ha occupato questa mattina i locali del’ex-provveditorato.
I sostenitori dei test ribattono a loro discolpa che i test servono solo a “conoscere meglio le condizioni di una singola scuola, del livello dei docenti e degli allievi”. Solo non si capisce quale rilevanza possa avere il sapere quanti bagni ci siano nel’abitazione in cui l’allievo vive o la metratura dell’abitazione stessa. Altri aspetti inquietanti sono quelli per cui gli alunni portatori di handicap vengono fatti uscire durante le prove di valutazione, rompendo di fatto il giusto modello delle classi miste. Certo, diranno i sostenitori dei test, non si può avere uno spettro veritiero del grado di preparazione di una classe se tra le prove ci saranno anche quelle di alunni non normo-dotati che inficierebbero i risultati complessivi.
Ma è appunto questo il nocciolo della questione (e dell’opposizione) alla mostruosità di questi test: l’idea di una scuola di competizione, tra alunni, istituti, docenti, ecc… e il rischio concreto di una didattica sottoposta alla misurazione annuale delle prove, con tutta l’attività annuale proiettata verso la scadenza fatidica. Un dispositivo che produce ansia da prestazione, competitività e premia i soli aspetti performativi dell’apprendimento, tra l’altro pensato come processo individuale e non collettivo. Appunto, una scuola per il Mercato e l’Impresa, dove docenti e allievi sono formati per la competizione, futuri docili agnelli, forza-lavoro disciplinata per l’Europa dell’austerity che intanto, anno dopo anno, taglia fondi e chiede sempre “più efficienza”.
C’è poi un aspetto più profondo per cui bisogna osteggiare questi meccanismi che sempre più si insinuano nel mondo della Formazione: l’dea per cui esista una sapere oggettivato, univoco (“morto”) che deve essere semplicemente trasmesso dall’alto verso il basso, una merce tra le altre, pre-formattata e standardizzata. Contro questo modello bisogna allora contrapporre l’idea di apprendimento e formazione come processi collettivi, sganciati dai diktat della produttività e di un sapere vivo che si costruisce processualmente.
Su questi punti abbiamo fatto una chiacchierata con Girolamo De Michele, scrittore e già professore di filosofia in una scuola superiore, redattore dei collettivi carmilla-online e uninomade:
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link al testo da cui prende spunto l’intervista:
SALVATE IL SOLDATO RIGONI STERN di Girolamo De Michele
Spunti critici sui Test Invalsi:
INVALSI, Elena Ugolini, le patate bollenti e i lavori forzati
Altri contributi di Girolamo De Michele:
Perché i test a crocette fanno male alla scuola
La decostituzionalizzazione della scuola
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