La maledetta scuola del “ritorno alla normalità”
Lo chiamano “l’anno del ritorno alla normalità”. Un appellativo che non promette bene. Due anni fa ci siamo resi conto dei danni che la loro “normalità” può provocare, tutte le conseguenze di decenni di scelte e priorità sbagliate si sono scagliate contro di noi senza sconti, rendendo noto quanto ci è stato rapinato fin quando nasciamo. A cinque giorni dall’inizio delle lezioni, un altro nostro coetaneo è morto durante lo svolgimento di uno stage in azienda, è il terzo in soli 8 mesi. Anche questa ritualità sta iniziando a diventare inquietante. Il sintomo del fatto che anche di questo dovremmo abituarci? D’altronde se è abbastanza normale poter morire sui posti di lavoro, perché non dovrebbe esserlo durante le ore in cui ci obbligano a “imparare” il mestiere? Fa parte del patto formativo.
Giovani e studenti hanno pagato un prezzo altissimo, lo pagano tutt’ora. La scuola non si è dimostrata uno spazio all’altezza delle esigenze di chi la vive, il processo di alienazione che dentro di essa era già in atto da anni è stato portato allo stremo, subendo mutazioni repentine e anche severe, avvalorandosi di un contesto emergenziale che, comunque, non sembra essere terminato, nonostante la manifesta retorica di certi ministri.
Ma a parte tutto si sa, gli italiani sono inguaribili ottimisti, tant’è che si fa in fretta a riappollaiarsi su una comoda posizione risoluta, ad esempio ora che siamo tornati alla normalità non serve rinnovare i contratti di quel misero supplemento di personale che era l’organico Covid, docenti, collaboratori amministrativi e personale Ata che all’oggi pare non ci serva più, infondo non è mai servito! Allo stesso modo ci si è dimenticati di incrementare il servizio di trasporto pubblico o di scongiurare il fenomeno delle classi pollaio, ad esempio, ci sono altre urgenze oggi, altre emergenze di intensità sempre maggiore. Piove sempre sul bagnato?
Con l’avvenire dell’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo affermato quanto l’incremento della conflittualità avrebbe portato a conseguenze sempre più nefaste, conseguenze che vivono primariamente i popoli coinvolti nelle scelte di una classe politica che gioca a Risiko sulla testa delle persone.
Il crescente peggioramento delle condizioni di vita è tangibile ed è il frutto di precisi posizionamenti in termini di priorità da parte di chi ci governa e le conseguenze sono universali, anche la scuola ne è stata colpita, non solo da un taglio di fondi destinati pari ad un – 0,5% del PIL per poter aggiungere un 2% alle spese militari, ma anche dall’inflazione energetica che ha riproposto come valutabili possibilità come la DAD, spacciate come misure più che straordinarie solo pochi mesi fa.
All’oggi la scelta è stata quella di diminuire i gradi e le ore di attività del riscaldamento all’interno degli istituti per limitare i costi ed evitare, per il momento, la possibilità di un ritorno alla didattica a distanza. In ogni caso, a pagare il conto siamo sempre noi. D’altronde, Giannelli (presidente Associazione Nazionale Presidi) sostiene che “la scuola debba dare il suo contributo in questa crisi” perché anche quella energetica “è un’emergenza”, che si tratti di Dad o di doverci portare la coperta dentro lo zaino, è nostro preciso dovere acconsentire alle misure di contenimento che vengono stabilite.
Poi probabilmente si starebbe anche più agevolmente a 19° in classe se l’edilizia degli istituti non fosse stata trascurata per anni e anni impunemente. La qualità degli spazi è stato un nodo anche per quanto riguarda la gestione della pandemia, eppure nulla in merito è stato fatto. Cose banali come doppi vetri e infissi, per dirne due, renderebbero più vivibili le classi. Non sembra apparire all’orizzonte alcunché riguardi una messa in regola degli edifici sulla base delle carenze che hanno espresso, ciò rende molto plausibili grossi problemi di vivibilità all’interno delle scuole quest’anno per studenti e personale. Guardando alla sottrazione esponenziale che si sta facendo sui servizi che lo stato è in grado di fornire, ci viene chiarito quanto la formazione e i giovani rappresentino sempre un elemento sacrificabile sull’altare dei profitti e degli interessi.
A questo stato di cose, va sommata una carenza preoccupante di docenti e collaboratori scolastici, viene denunciata la mancanza di circa 200 mila posti che verranno probabilmente assegnati a precari e supplenti. I sindacati hanno stimato che solo il 40% dei posti disponibili delle nomine di ruolo sia stato assegnato; eppure, Patrizio Bianchi ha dichiarato ufficiosamente che “gli studenti troveranno tutti i docenti in classe”, pare uno scenario inverosimile, però, tenendo conto delle informazioni che abbiamo a disposizione. Le motivazioni che possono spiegarci questa mancanza di organico sono anche banali ma il ministero ci fornisce la propria ricostruzione dei fatti, che in effetti appare la più verosimile: “sono i candidati docenti che sbagliano le compilazioni della burocrazia del bando”, certo e magari sono esattamente 200 000 questi candidati docenti.
Se la memoria non ci inganna, però, ci risulta che due anni fa siano stati fatti grossi errori rispetto alle graduatorie, precisamente dalla ministra Azzolina, di cui però il nostro Bianchi era il vice, che hanno impedito la corretta assegnazione delle cattedre. Inutile dire che al trascorrere degli anni, gli errori della burocrazia non si risolvono da soli, semmai si aggravano, soprattutto quando non si risponde adeguatamente a problemi di tipo strutturale.
Non è da ora che le nostre scuole soffrono la carenza dei professori e del personale, tanto meno delle risorse edilizie e strumentali per lo svolgimento di un percorso formativo adeguato, però dal momento che in questo periodo, questo è un tema all’ordine del giorno, l’Italia fa la sua mossa proverbiale: sguainare la promessa di un bel bonus. Parliamo di un piatto ricco riservato solo ai “docenti esperti”, questa misura prevederebbe di ricevere un bonus, dopo 9 anni di insegnamento e a seguito di una prova non meglio definita, di 400 euro, questo per incentivare la qualità dell’offerta formativa nazionale. Allo stato attuale sarebbero 9000 i docenti che rientrerebbero nei parametri necessari a ricevere questo bonus. Questo provvedimento è già stato inevitabilmente bersaglio di molte critiche e proteste e il ministro ha dovuto così difendersi dichiarando che questa era un’imposizione da parte dell’Unione Europea, condizione necessaria per far uso dei fondi del Pnrr. Anche se le richieste parrebbero più generiche rispetto al miglioramento del sistema educativo, l’Italia trova il bonus come soluzione, in un paese con gli stipendi dei docenti più bassi d’Europa.
Tralasciando l’interpretazione che il governo fa di “miglioramento”, è inaccettabile che il Recovery Found venga usato come moneta di ricatto verso comparti della società che stanno vivendo gravi peggioramenti nelle condizioni di vita e prospettive occupazionali sempre più precarie.
La situazione sembrerebbe una barzelletta se non riguardasse il futuro di milioni di giovani, non sembrano esserci parti che non sono coinvolte, anche i sindacati confederali che oggi strillano indignati per la mancanza di assunzioni e per l’assegnazione di più di 150 000 posti a docenti precari, sono gli stessi che due anni fa firmarono l’accordo che permise all’Azzolina di rendere l’accesso ai concorsi un’Odissea per i candidati.
La rotazione o peggio la mancanza di insegnanti in cattedra e di sufficiente personale presente nelle scuole, renderà estremamente difficoltoso riprendere un servizio formativo di qualità. Se a questo aggiungiamo anche uno spaventoso rincaro dei costi scolastici per studenti e famiglie, possiamo facilmente immaginare quali saranno le condizioni di vivibilità della scuola per tanti e tante di noi.
Si stima infatti, che il costo del materiale abbia subito un incremento pari al 7%, dovuto sempre all’inflazione energetica e alle conseguenze che questa fa ricadere sulla produzione di beni di prima necessità. Alcune famiglie possono arrivare a spendere 1300 euro per comprare tutto ciò che serve ad iniziare l’anno scolastico. In un momento nel quale le persone si trovano a dover decidere se mangiare o accendere i termosifoni, questo si configura come un elemento che rende decisamente iniquo l’accesso all’istruzione per molti studenti.
Anche il fenomeno della “dispersione scolastica”, su cui tutti i partiti stanno costruendo aleatorie campagne elettorali, è in crescita e soprattutto tra studenti che vivono condizioni economiche di difficoltà, il 13% degli studenti non arriva alla maturità.
Se qualche istituzione è ancora convinta si possa parlare di “diritto allo studio”, persiste un problema di credibilità. Perché buttare milioni di studenti dentro scuole senza professori, senza riscaldamento, senza condizioni edilizie adeguate e chiedendo a questi di spendere cifre pari ad un intero stipendio mensile per procurarsi il necessario, non ci sembra la definizione adatta a “diritto”.
Di tutto ciò che è stato tagliato alla scuola, poi, il grosso riguarda l’intangibile. Un enorme pezzo di relazionalità, reciprocità, partecipazione studentesca alla vita scolastica è stato considerato superfluo ed escluso coattamente dalla natura stessa degli spazi legati alla formazione, riconfermando il fatto che noi studenti rappresentiamo un sacco da riempire con nozioni che non sono attinenti alle necessità che le nostre esistenze richiedono, a maggior ragione in una fase storica come questa, nel quale il nostro futuro appare sempre più incerto e ci impone la costruzione di altre traiettorie, possibili solamente rivoluzionando il sistema dei saperi e dei valori al quale facciamo riferimento. Va da sé l’urgenza di porre la formazione al centro di questo nodo.
Le occupazioni, i cortei, le assemblee e le lotte che in tutto l’arco dei mesi passati abbiamo costruito, hanno risignificato le nostre esistenze, ci hanno reso più sopportabile vivere in questa fase storica dandoci la speranza che un’alternativa è possibile se qualcuno inizia ad immaginarla, smettendo di rappresentare l’atomo di un modello sociale che non è più sostenibile mantenere.
Complessivamente, i sintomi del malessere giovanile procurati da questo modo di vita, ci sono.
È vertiginoso l’aumento negli ultimi due anni delle diagnosi di disturbi d’ansia, disturbi del comportamento alimentare e depressione tra i giovani, e sono gli stessi medici a dichiarare che tra i motivi che esacerbano il malessere ci sono la mancanza di relazionalità e le condizioni scolastiche. Inoltre, Vicari (Direttore della neuropsichiatria infantile al Bambin Gesù) afferma anche che tra i ragazzi che vivono in case grandi e con famiglie che garantiscono delle relazioni costanti, è meno probabile arrivare a vivere quegli stati di malessere; è un po’ il segreto di Pulcinella dire che chi è più povero vive peggio.
Come già abbiamo detto all’avvento della pandemia, questo scenario va considerato nel suo aspetto sociale e politico, mentre le istituzioni virano su misure di contrasto unicamente medicalizzanti, noi affermiamo che lottare per un presente migliore e più giusto è uno strumento che ci permette di liberare i nostri tempi e spazi dall’oppressione che la precarietà di questo sistema ci procura.
A quattro giorni dall’inizio della scuola, poi, muore un diciottenne in stage mentre lavorava in un’azienda del veneziano. Stava svolgendo lo stage per ottenere crediti scolastici. Ci chiediamo se al terzo ragazzo morto in meno di un anno, le istituzioni riescano a porsi delle questioni non più rimandabili, come l’abolizione dell’alternanza-scuola lavoro. Purtroppo, tutto ciò che riusciamo a sentire all’interno di questa impietosa campagna elettorale sono proposte che vanno nella direzione opposta, proposte che arrivano da partiti accecati da un paradigma che piega la vita al profitto, ad ogni costo.
Mentre queste fratture profonde sono i problemi con il quale la scuola si andrà a confrontare nelle prossime settimane, tutto ciò che le cariche pubbliche del Paese riescono a fare sono dichiarazioni strappalacrime e passerelle di rappresentanza.
Abbiamo Letta che, pur di accaparrarsi 5 voti in più, si dissocia dall’operato svolto dal partito che rappresenta, il PD, rinnegando grandi perle come Jobs Act e Buona Scuola; Bianchi e Mattarella che si fanno qualche passeggiata tra le scuole il più lontano possibile dalla città per evitare qualsiasi possibilità di contestazione e il direttore dell’USR Piemonte, Suraniti, che ci commuove parlandoci di quanto la figlia che inizia la scuola dell’infanzia gli abbia insegnato sulle relazioni e l’importanza della socialità tra studenti, senza però rispondere della mancanza di personale e dei problemi strutturali delle scuole piemontesi, come ad esempio il fatto che il primo giorno di scuola è crollata una finestra addosso ad uno studente al Norberto Rosa di Bussoleno.
All’alba di un anno scolastico che si preannuncia tragico, dobbiamo lottare per imporre che questi nodi siano quelli urgenti e irrimandabili. Di contro alle tante chiacchiere astratte che si stanno facendo tra parlamento e turnè elettorali, la nostra vita è fatta di aspetti assai reali e tangibili che sono in netto e costante peggioramento a causa delle scelte di questa classe politica. Se ci discostiamo dai titoli sensazionalistici e dalla retorica, riscopriamo una realtà che cade a pezzi per davvero.
Lottare per un altro tipo di scuola significa immaginare, nel pratico, un altro modo di vivere, nel presente e nel futuro, e questo bisogna iniziare a farlo oggi. Prima che altri come noi debbano morire, ammalarsi o semplicemente continuare a vivere male. Ricostruiamo il nostro diritto ad essere giovani.
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