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Occupy Parade: 17-11-2011 una giornata da rivendicare!

 

La giornata è cominciata con un’ incursione delle studentesse e degli studenti al “Career day” nel tentativo di smascherarne la reale funzione, ovvero la sponsorizzazione del precariato dentro l’Università.  Le aziende all’interno dell’Università, autorizzate a raccogliere curricula, per fantomatiche carriere professionali che si rivelano poi, drammaticamente, offerte di stage e praticantati non retribuiti e non garantiti da alcun diritto sindacale. Nei volantini distribuiti nell’ “Aula Rossa” della facoltà di Economia si ribadiva il netto rifiuto ad una gestione aziendalistica dell’Università pubblica e alla precarizzazione di un’intera generazione. Il rettore Stefano Pivato ed il presidente dell’Ersu, Giancarlo Sacchi, sono andati via al nostro arrivo, evidentemente temendo di essere smentiti pubblicamente riguardo alle false dichiarazioni di questi ultimi mesi su borse di studio e offerta formativa.

 

Alle 16:30 è partito il concentramento in piazza della Repubblica, occupata da una settimana, ormai luogo di partecipazione e di rivendicazione di spazi e diritti, in attesa di muoverci per la “OCCUPY PARADE” lungo le strade di Urbino. Dietro lo striscione “FUORI DAI PALAZZI RIPRENDIAMOCI LE STRADE” si è incamminato un corteo che aveva come tappe fondamentali i vari palazzi del potere locale contro cui si è rivolta questa prima fase di mobilitazione.

 

Il primo appuntamento è stato davanti alle sedi dell’ ERSU e di Banche Marche (la cui adiacenza è emblematica ), i cui portoni sono stati “sigillati” con due striscioni: “FUORI I SOLDI” e “NO AL GOVERNO DELLE BANCHE”. Con questa azione simbolica abbiamo voluto denunciare la campagna congiunta sui prestiti fiduciari agli studenti, che aprirà la strada all’indebitamento studentesco, ennesima dimostrazione di come in questo paese il pubblico non solo viene progressivamente sostituito dal privato ma ne asseconda le logiche di profitto e le modalità gestionali. L’ERSU (ente pubblico per il diritto allo studio marchigiano) riduce drasticamente le borse di studio (circa 1600 euro in meno a studente borsista) e pubblicizza nei propri spazi i prestiti fiduciari di Banca Marche ( una società privata).

 

Arrivati davanti al palazzo del Comune di Urbino si è invece ribadita l’esigenza di spazi sociali e culturali dove poter valorizzare quella voglia di partecipazione e aggregazione che in una settimana di occupazione si è ormai resa manifesta agli occhi di tutti, dalla cittadinanza alla comunità studentesca.“DATE SPAZIO AI NOSTRI BISOGNI” diceva lo striscione esposto fuori la sede dell’amministrazione comunale, un segnale chiaro e deciso a chi amministra le politiche sociali, giovanili e culturali della città: ci siamo ripresi le strade e ci prenderemo anche gli spazi di cui abbiamo bisogno. Perché le città sono di chi le vive e non di chi le amministra.

 

Successivamente il corteo è giunto al Rettorato. È stato “sigillato” il portone per contestare una pratica gestionale di stampo autoritario, che a più riprese abbiamo denunciato, e che ci ha portato alla decisione di continuare le nostre lotte al di fuori di quel frustrante dialogo istituzionale che si è dimostrato nei fatti sterile, infruttuoso e, a volte, controproducente. Fuori da quei palazzi continueremo a vigilare sulla cattiva gestione di questo ateneo, gestione privatistica, in quanto relegata nelle mani di poche persone, che decidono in base a criteri personalistici e discrezionali della vita dell’ intera comunità universitaria, rinchiusi nei loro uffici, senza alcuna trasparenza nei metodi e nei contenuti dei processi decisionali, che vengono, ottusamente imposti dall’alto. Sigillare la porta del rettorato (chiudendo dentro chi lo abita!) è un gesto simbolico per ribadire che non vogliamo in alcun modo partecipare della deriva clientelare, autoreferenziale ed antilibertaria a cui è condannato il nostro ateneo. Essendo consapevoli delle scelte sbagliate già prese e del declino a cui va incontro la città di Urbino e la sua Università, avendo negli scorsi anni proposto soluzioni rimaste inascoltate, abbiamo deciso di lasciare unicamente a chi amministra, e gestisce la svendita dell’ Università pubblica sul territorio, le responsabilità politiche e sociali che ne seguiranno. Partecipare in modo propositivo alla gestione dell’Università significherebbe per noi accettare le logiche neo-liberiste, escludenti e feudali, che caratterizzano le linee guida all’attuazione della legge Gelmini e che già prima caratterizzavano il mondo universitario. Partecipare “in modo responsabile” significherebbe esserne complici.

Emblematico, della situazione di decadenza intellettuale in cui versa l’università italiana (e sempre a proposito della gestione autoritaria dell’Università), è ciò che accaduto mercoledì 16 novembre nella facoltà di Economia, durante la presentazione del libro “Gesù di Nazareth” di Papa Ratzinger a cui era presente il card. Bertone, segretario di Stato del Vaticano. Per la seconda volta ( era successo in occasione di un altro incontro ‘ecclesiastico’ in aprile) è stato preventivamente impedito l’accesso agli studenti nei locali universitari, decretando ancora una volta come l’Università non sia più un luogo di emancipazione e libera espressione. Particolarmente grave in quest’occasione il comportamento del rettore e degli organizzatori che hanno deciso arbitrariamente chi a quell’iniziativa poteva partecipare e chi no, impedendo, con l’aiuto delle forze dell’ ordine, che alcune studentesse del “Collettivo Drude”  svolgessero, durante l’iniziativa,  una pacifica attività di volantinaggio, bloccandole preventivamente all’ingresso, identificandole e impedendo loro di assistere ad un convegno organizzato con fondi pubblici e quindi aperto a tutti.

 

Il corteo, scortato da uno spropositato dispiegamento di forze dell’ordine, è proseguito fra musica e interventi al megafono fino a tornare in piazza della Repubblica. Dopo una sosta prolungata per riconfermare che LA PIAZZA E’ NOSTRA abbiamo, rumorosamente, preso la strada in direzione delCommissariato di Polizia di Urbino. Fermandoci davanti al posto di Polizia abbiamo srotolato uno striscione con la scritta VERGOGNA, in riferimento a quanto avvenuto Giovedì 10 novembre nel quartiere-ghetto di Urbino denominato Ponte Armellina(Urbino 2) dove risiedono per lo più migranti. Oltre 100 uomini delle forze dell’ordine, con elicotteri e squadre cinofile, sono piombati nel quartiere circondandolo per 5 ore, perquisendo chiunque e ottenendo come risultato solo due piccole irregolarità amministrative. Tutto ciò ha riacceso e ha ridato fiato, sulla stampa locale e nella cittadinanza locale, ad un forte senso di pregiuzio e discriminazione fino a giungere, in alcuni casi, a dichiarazioni assolutamente razziste e xenofobe. La comunità migrante, costituita da famiglie residenti e lavoratori, che abbiamo incontrato negli scorsi giorni, ha ribadito il diritto ad un’altra cittadinanza ed ad un trattamento da parte delle istituzioni che metta da parte, una volta per tutte la criminalizzazione e la discriminazione. Forti della convinzione che un’altra cittadinanza è possibile lo abbiamo gridato davanti al Commissariato, convinti che l’integrazione si ottiene tramite l’accoglienza e lo scambio culturale e non con le azioni di polizia mascherate (falsamente) da azioni di sicurezza cittadina!

 

Dal commissariato siamo ripartiti alla volta dei Collegi Universitari concludendo la giornata di mobilitazione con concerti  e musica all’ “Anfiteatro ‘liberato’ del Tridente”. La grande la partecipazione ci ha confermato la voglia di continuare sulla strada intrapresa, verso la riappropriazione di spazi di libera socialità e aggregazione.

 

Occupy Urbino non finisce qui, né voleva essere solo una settimana di accampata in piazza, bensì un punto di partenza, prima fase di una mobilitazione che vuole essere permanente. Occupy Urbino rimane nelle strade di questa città e nelle facoltà del nostro ateneo, nelle piazze e nelle assemblee,  perché riprendersi gli spazi significa farli vivere, difenderli, estenderli e farne laboratori di partecipazione. Occupy Urbino diventa un laboratorio cittadino di elaborazione e costruzione di soluzioni alternative alla marginalizzazione dei nostri bisogni e alla espropriazione del nostro futuro. Uno spazio di denuncia e conflitto finalizzato alla creazione di soluzioni alternative al disagio sociale generato da questa crisi, che noi non vogliamo subire!

 

FUORI DAI PALAZZI RIPRENDIAMOCI LE STRADE!

Le studentesse e gli studenti in mobilitazione

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