L’ultimo regalo di Renzi: è arrivato lo Student act
Secondo quanto disposto dalla legge infatti i singoli atenei avrebbero dovuto approvare entro il 31 marzo 2017 nuovi standard secondo cui l’accesso ad una “No Tax Area” totale sarebbe concesso unicamente agli studenti che abbiano conseguito un numero minimo di 25 crediti formativi universitari (cfu) nel corso dell’anno precedente (10 cfu invece per il primo anno di iscrizione). Stesso trattamento per gli studenti fuoricorso, per i quali – abbiano essi prodotto o meno i famigerati 25 crediti – viene fissato un minimo di 200€ sotto cui l’importo totale da pagare non potrà scendere, a prescindere dal proprio ISEE.
Il messaggio è chiaro: le esenzioni dalle tasse te le devi guadagnare. Bando alle ciance, noi qui sforniamo prodotti eccellenti e competitivi, non c’è spazio né tempo per chi si vuole attardare. Sei forse uno studente lavoratore? Hai 22 anni e sei ancora a cianciare in università invece che consegnare curriculum da Garanzia Giovani? Mi sei scomodo, aspetta aspetta che ti chiedo dei soldi che non hai per farti sloggiare, e finché non ti levi di torno su di te ci faccio pure un pò cassa…
Dispositivi di espulsione neppure straordinariamente originali dunque, ma in affanno a correggere un’anomalia tutta italiana, che conta in media 4 anni “fuori corso” per concludere un ciclo di studi 3+2, mentre soltanto il 41% dei giovani conclude la triennale nei tempi previsti.
Viene invece lasciata carta bianca agli atenei sul come e quanto differenziare la contribuzione per tutti questi studenti “immeritevoli”. A quanto pare immeritevoli persino di essere nominati nello stesso Student Act, che non specifica se improduttivi e fuoricorso potranno rientrare o meno nella normale fasciazione ISEE. Colpisce per certo la totale discrezionalità lasciata ai singoli atenei nell’applicazione di queste disposizioni, in continuità tra l’altro con l’assoluta autonomia che si voleva attribuire ai rettorati già in una bozza di riforma “Buona Università” che dopo il 2015 non ha visto la luce. Si prospetta perciò uno scenario in cui ciascuna università con le proprie politiche contributive – determinate fortemente dal bilancio in cui sappiamo concorrere non solo il Fondo di finanziamento ordinario, ma anche la sua quota-premio determinata dagli esiti della VQR – avrà ancora più spazio d’azione rispetto ai metodi di estromissione di studenti “poco produttivi” e/o di attrazione di studenti “meritevoli”.
Se in alcuni atenei il nuovo modello di tassazione è stato approvato minimizzando quanto possibile gli stravolgimenti che la Legge di bilancio avrebbe altrimenti comportato, predominante è un generale ritardo nell’approvazione dei piano regolatorio per la contribuzione studentesca da parte dei Consigli di amministrazione delle diversi università, nessuno dei quali si è però dissociato dalla stretta “meritocratica” imposta dal governo. Sarebbe miope leggere in questo ritardo una dissidenza degli atenei, che sembrano piuttosto seguire l’abituale pattern: offuscare la politicità delle proprie delibere scaricando le scelte prese su un piano tecnico-burocratico. Non a caso nei documenti di molteplici università è stata coniata una nuova terminologia che categorizza gli studenti in “attivi” ed “inattivi” e che recepisce così tout court la logica del cosiddetto Student Act. Il passo in avanti consiste appunto nel fare dell’università non più solo un paradigma premiale (che già abbiamo visto proiettarsi di riflesso dalla competizione tra gli atenei, a quella tra dipartimenti, a quella tra studenti), ma ora anche esplicitamente punitivo, con meccanismi di espulsione che con gli anni potrebbero andare invigorendosi: nessuna garanzia è infatti data sul fatto che i cfu necessari per risultare “attivo” non aumentino negli anni.
Senza soluzione di continuità Renzi e Gentiloni si passano così la staffetta della forbice della disuguaglianza – non che ci fossero aspettative differenti – mentre nel dibattito accademico pesa sempre più l’assenza di una contrapposizione tra una quantità e una qualità dei saperi, ormai sacrificata sull’altare della produttività.
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