UniRiot, proposta o diktat?!
Il documento inoltrato da ‘Anomalia Sapienza – UniRiot’ il 17 gennaio 2011, a ridosso della due giorni di Marghera di ‘Uniti contro la crisi’ del 22 e 23 gennaio 2011. Segue il documento di risposta di ‘UniRiot Torino’ del 20 gennaio 2011.
«Se non ora, quando?»
Riflessioni verso il seminario/meeting di Marghera
Circa un anno fa, in un’assemblea che si è tenuta a Roma, abbiamo posto un problema molto preciso: UniRiot non può essere un coordinamento tra le “giovanili” delle aree politiche di movimento. Quella domanda è stata ripresa dall’assemblea primaverile di Padova, poi il dibattito si è arenato. Nell’autunno trascorso di tempo per discutere ne abbiamo avuto davvero poco: fortunatamente tante cose straordinarie sono accadute, fortunatamente possiamo riavviare il confronto a partire dalla ricchezza delle esperienze vissute. Ma il problema c’era, il problema è ancora di fronte a noi. Anzi, più di prima rischia di indebolire un percorso politico – quello di UniRiot ‒ che ha dimostrato in questi anni di avere ragione da vendere, che ha qualificato, in termini protagonistici, un ciclo di lotte senza pari sul terreno della conoscenza e della formazione.
Sentiamo l’urgenza di tornare sui luoghi inevasi della nostra discussione, sono troppe le cose importanti da fare, e perdere tempo in piccole polemiche di corridoio è attività dannosa, quando non irresponsabile.
Partiamo dall’autunno, perché il giudizio della fase politica vissuta fin qui – e a nostro avviso ancora aperta ‒ non è cosa marginale. Forse, ma arriveremo presto al punto, senza girarci troppo attorno, l’assenza di un giudizio condiviso limita la prospettiva del percorso comune. Proveremo ad essere schematici, convinti che le premesse sono chiare a tutt*. Il movimento sorprendente che è esploso in questi mesi si è caratterizzato per alcuni tratti salienti, che lo hanno distinto, nonostante la continuità, dal movimento dell’Onda:
1. Si è trattato di un movimento estremamente radicale, sul terreno delle pratiche e su quello dei contenuti. La radicalizzazione della piazza è balzata agli occhi di tutti nella giornata del 14, ma fissare lo sguardo solo su quella giornata di certo non aiuta a cogliere il processo che ha preceduto e reso possibile quella giornata, un processo di soggettivazione che ha percorso l’intero autunno e che, con molti salti quantici, ha mosso i suoi primi passi proprio con il movimento dell’Onda. Una radicalità, badate bene, fatta in primo luogo della capacità di coniugare tumulto e forme di lotta comunicative, consenso e rottura della legalità: lacerare questo intreccio costitutivo, ossessionati dal problema dell’identità (identità politica come identità dei comportamenti, tra memoria e mito del passato che non passa mai), è in questi giorni un esercizio di gran moda, consola la soggettività organizzata e suoi perimetri, dice poco o nulla sul movimento e la sua prospettiva. Dal book bloc ai tetti, dai blocchi delle ferrovie ai flash-mob, dall’assalto al Senato a piazza del Popolo, sono queste cose, tutte insieme, ad aver definito la radicalità del movimento. Aggiungiamo, senza troppe remore, che la stessa vicenda di Napolitano va inscritta in questo orizzonte: in primo luogo perché è stata una piazza di 30.000 persone (e non di 300; quei due zeri in più che fanno sempre la differenza) ad aver deciso la giornata del 22, nel percorso (l’occupazione della tangenziale e dell’autostrada) e nel finale (l’incontro con Napolitano); in secondo luogo perché è un punto di virtù del movimento, contro la rappresentanza politica e in alternativa al ripiegamento identitario, rompere la compattezza istituzionale e conquistare, senza abiure, spazi di comunicazione che appartengono all’avversario. Tumulto e istituzioni, senza alcuna disgiunzione (e corruzione), ebbene sì, noi ci crediamo sul serio: ma d’altronde cosa ha significato e cosa significa autoformazione dentro e contro il 3+2? Quando diciamo istituzione non diciamo rappresentanza e neanche Stato, diciamo capacità istituzionale del movimento, potere negoziale, nuova costruzione normativa.
Radicali le forme di lotta (una volta che ci siamo intesi sul senso della parola radicalità), ma radicali anche i contenuti. Il movimento che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ha superato d’un colpo la dimensione in parte “corporativa” dell’Onda: dall’università alla metropoli, dalla condizione studentesca a quella precaria, dalla scena italica a quella europea. Attenzione però, è la difesa dell’università pubblica contro la furia devastatrice dell’austerity che ha reso possibile la rottura del confine “studentista”. La capacità ricompositiva del movimento, a Roma come a Londra, ha avuto il suo principio di induzione nei tagli al welfare: dal DDL Gelmini (operazionalizzazione dei tagli della Legge 133/agosto 2008) all’aumento delle tasse in Inghilterra, sono queste le occasioni lungo le quali si è dipanata la rivolta degli studenti universitari e medi, rivolta che si è fatta immediatamente generazionale. Il nodo della precarietà, infatti, è emerso in primo piano laddove si è trattato (e si tratta) di fronteggiare il declassamento e il blocco della mobilità sociale, fenomeni che proprio nella scena della formazione si affermano in modo violento. Un nodo, quello della precarietà, che oggi si intreccia sempre di più con la tematica della povertà, una povertà che non ha nulla a che fare con il problema della scarsità (dei beni o dei consumi) ma che, marxianamente, ha sempre più a che fare con la dismusura tra soggetto produttivo di ricchezza («il lavoro come soggettività») e carattere parassitario del capitale. Non si coglie fino in fondo la novità del movimento degli ultimi mesi se non ci si colloca sul punto d’origine della sua potenza ricompositiva: il comune, in questo senso, è ricerca interna alla difesa del pubblico e non questione ideologica o, peggio, liturgia consolatoria per addetti ai lavori.
2. Come anticipavamo, si è trattato di un grande movimento europeo, anzi, guardando alle straordinarie e drammatiche vicende tunisine e algerine, euromediterraneo. Già l’Onda si inseriva all’interno di un ciclo di movimento esteso oltre confini italiani: dalle mobilitazioni francesi anti-Cpe al movimento greco (del 2007 prima e del dicembre 2008 poi), fino alle occupazioni austriache e tedesche della primavera del 2009. Ma ciò che accaduto nell’autunno trascorso è stato, per intensità ed estensione, un processo assai più dirompente. Parigi, Londra, Roma, le maggiori capitali europee sono state teatro di un vero e proprio tumulto giovanile di inedita potenza: la generazione senza futuro ha «dissotterrato l’ascia di guerra», imponendo dal basso lo sciopero metropolitano, generale e generalizzato. Le politiche deflattive europee, la risposta alla minaccia dei mercati finanziari, dopo il rischio di default greco e irlandese, sono state il bersaglio della determinazione politica di centinaia di migliaia di giovani che, per giorni, hanno assediato governi e parlamenti. Rivolte che oggi più di prima hanno cominciato a parlare una lingua comune, ne è esempio inequivocabile la scelta degli studenti londinesi di organizzare il book bloc, introdotto dalle piazze romane e italiane a partire dal 17 novembre scorso. Altrettanto, sono state le giornate di Londra a fare da modello alle mobilitazioni italiane.
3. Ma la capacità ricompositiva del movimento è stata resa possibile anche (e soprattutto) dalla scelta di avviare, fin da settembre, una nuova sfida comune: Uniti contro la crisi. Le prime settimane di mobilitazione, quelle di ottobre, segnate dalla manifestazioni dell’8 e poi dal primo assedio di Montecitorio il 14 (data in cui è stata rinviata di un mese la votazione del DDL), hanno avuto come punto di convergenza la straordinaria manifestazione del 16 indetta dalla Fiom e poi l’assemblea della Sapienza del 17. Un’assemblea ottima, per quantità e qualità della partecipazione, in cui è emersa con forza la ricerca di un terreno comune di conflitto: gli interventi di Landini e Pantaleo hanno aperto senza remore al tema del reddito e del nuovo welfare, i tanti interventi studenteschi hanno posto il problema dell’efficacia delle lotte, dopo e oltre l’Onda, centri sociali e comitati impegnati nella difesa dell’ambiente hanno offerto uno sguardo sulla questione (strategica) dei beni comuni. In questa mescolanza di linguaggi e di corpi collettivi si è dipanato quel processo che ha avuto la sua precipitazione nella giornata del 14 dicembre. Sul 14 abbiamo già scritto molto, su UniRiot e su Global, è poco utile tornarci anche in questa occasione, ma occorre ricordare che i processi – quelli agiti dalle dinamiche collettive ‒ hanno una loro storia, fatta di buone intuizioni, di fortuna (per dirla con Machiavelli), ma anche di impegno, di continuità organizzativa. Non siamo mai stati agambeniani, anzi, e la rinnovata mitologia dell’evento, così trendy negli scritti di fine anno, è cosa per noi irritante, quando non dannosa per i movimenti.
4. Il movimento di questo autunno non è stato segnato dallo scontro fratricida che, nei fatti, ha esaurito la spinta positiva dell’Onda. Le liti dell’assemblea nazionale del novembre del 2008 hanno aperto il campo ad una “balcanizzazione” senza precedenti, favorendo una significativa paralisi del movimento e della sua iniziativa. Alla pratica dell’obiettivo si è sostituita una guerra di trincea su parole d’ordine e tic ideologici. Abbiamo imparato da quell’esperienza che alla complessità non si replica con la purezza retorica o la fretta decisionista e che, tanto meno, si può confondere la politica delle relazioni con la mediazione e la dialettica: avere a che fare con i molti è punto d’arrivo parziale e transitorio di un processo di apprendimento e di soggettivazione, che va percorso fino in fondo, senza essere precipitosi, con pazienza e disprezzo per l’identità. Il movimento che abbiamo vissuto in questi mesi parla di questa nuova ricerca: la sinergia (non sempre lineare, of course) tra soggetti organizzati (e non) tra loro diversi ha reso il movimento più robusto e non più debole. Da qui si parte, il resto è chiacchiera petulante.
Se si condivide questo giudizio, ma questo è il punto, la nostra esigenza di chiarezza assume tutto il suo rilievo. È possibile, infatti, dopo l’esplosione delle lotte di questi mesi continuare a vivacchiare in uno spazio comune che ha sostituito alla rete (che per noi è sempre un concetto “forte” di organizzazione) la forma del coordinamento? È possibile perdere tempo in piccole polemiche di corridoio e procedere in ordine sparso di fronte a sfide importanti come quelle che ci attendono? Possiamo permetterci di essere «indegni di ciò che ci accade»? Noi riteniamo di no e per questo proponiamo alla discussione non solo un giudizio su quanto vissuto e costruito fin qui, ma anche un’indicazione di prospettiva, da condividere, seriamente e senza alcuna ansia ecumenica, con chi ne ha voglia.
Anche in questo caso procediamo per punti, schematicamente:
a) UniRiot non può posizionarsi sull’uscio di Uniti contro la crisi. Abbiamo chiarito nella prima parte del testo l’importanza di questo percorso, il ruolo strategico che ha rivestito durante l’intero autunno. Ed è proprio il passaggio del seminario/meeting di Marghera a rendere ancora più urgente questa scelta, la scelta cioè di essere fino in fondo parte della scommessa politica iniziata a fine settembre e che ha avuto nel 16-17 ottobre e nel 14 dicembre i suoi momenti salienti. Uniti contro la crisi, infatti, ci propone il tema della ricomposizione su un terreno nuovo, laddove non si tratta semplicemente di coordinare le lotte (come propone la vulgata), ma di inventare una tensione programmatica comune verso l’alternativa. Ancora, andare oltre l’alleanza operai-studenti significa pretendere un welfare universale fatto di reddito e servizi e in grado di ricomprendere positivamente e su un livello più alto la tematica del salario. Una sfida così importante non può essere vissuta con «l’anima in riserva e il cuore che non parte», sarebbe un modo sciocco o infantile di sciupare una grande occasione. Certo Uniti contro la crisi comporta un impegno relazionale (con Fiom, con Link/Uds, per citare solo alcuni soggetti) che non può ricadere solo su alcuni, pochi. Ognuno deve giocare la sua parte, nella consapevolezza che territorio per territorio le cose cambiano, ma con la convinzione di fare bene, quanto meno di provarci, con pazienza e dedizione.
b) La questione del referendum abrogativo è un tema su cui UniRiot deve fare battaglia. Si tratta di un tema delicato, su cui il dibattito è ancora estremamente confuso, eterogeneo (anche alla Sapienza). Eppure un punto di chiarezza gioca a nostro favore: la legge Gelmini è il frutto di una battaglia che il governo ha combattuto non soltanto sul piano della realtà, ma anche e soprattutto su quello simbolico. Modello Gelmini e modello Marchionne sono le teste d’ariete della rivoluzione neo-liberista italica, thatcherismo fuori tempo massimo mescolato a crisi globale e autoritarismo. Resistere senza pausa alcuna a questo sfondamento, anche attraverso lo strumento del referendum, significa fare i conti con la radicalità del movimento che abbiamo vissuto in questi mesi. Una precisazione, che potrebbe risultare ridondante, ma magari non lo è: il referendum non mette da parte la pratica del conflitto e dell’autoriforma, semmai può rafforzare quanto già facciamo. Un dispositivo aggiuntivo e non sostitutivo che ha l’ambizione di qualificare ulteriormente il rapporto strutturale tra tumulto e potere costituente, tra rottura e consenso. Va da sé – nello stesso tempo ‒ che non si tratta di difendere l’università del 3+2, la disgrazia berlingueriana che dal 2001 ci ha portato fin qui. Sabotare concretamente la riforma (ormai legge), anche (e chiaramente non solo) con il referendum, vuol dire rilanciare il sabotaggio del Bologna process in salsa nostrana.
c) La dimensione euromediterranea è il terreno di sperimentazione politica di UniRiot. Da qualche settimana alla Sapienza, con tutte le facoltà (!), stiamo progettando un meeting europeo delle lotte studentesche. Chiaramente l’Europa in questione passa anche per Tunisi e per Algeri, laddove declassamento e povertà della forza-lavoro cognitiva diventano trama costitutiva dei riot che uniscono le sponde del mediterraneo. Altrettanto, riteniamo poco utile convocare questo meeting nella solitudine del nostro network, la vera sfida è costruire un grande evento che sappia tenere assieme, non solo tutte le anime del movimento, ma anche l’eccedenza che ha conquistato la scena nelle piazze, da Londra a Roma, da Parigi a Tunisi. Sarà fatica e ci vorrà tempo, ma potrebbe essere la volta buona per immergersi in un campo relazionale tutt’altro che definito.
d) UniRiot deve ricominciare a fare inchiesta. Durante lo scorso anno abbiamo in più occasioni ribadito l’importanza dell’inchiesta, strumento indispensabile per comprendere le dinamiche di soggettivazione frutto del movimento dell’Onda. Prima dell’estate abbiamo spedito in lista un questionario, ma il processo è stato chiaramente interrotto dall’esplosione dell’autunno. Ora si tratta di riprenderlo, non fosse altro perché ancora più urgente si è fatto il compito di mappare la soggettività, ricca dei salti quantici (di radicalità, di senso, di discorso) che si sono addensati nelle ultime settimane. Inchiesta significa rimettere in cammino il progetto dell’autoriforma, in un momento in cui diviene decisivo combinare la pratica dell’obiettivo (dal referendum alla battaglia contro i decreti attuativi) con la spinta costituente, di nuova produzione istituzionale.
Sintetici, ma diretti. Abbiamo preferito rompere il ghiaccio prima di Marghera, perché riteniamo che il seminario/meeting che ci attende sia occasione troppo importante per giocare la partita rassicurante dell’osservazione (o della partecipazione) critica. Siamo convinti che un nuovo processo costituente stia prendendo forma, un processo di cui vogliamo essere protagonisti, fino in fondo. Altrettanto, si tratta di inventare un terreno comune lungo il quale ridefinire un programma d’alternativa, oggi più che mai, laddove la crisi non produce riforme (o keynesismo) né sviluppo. «Se non ora, quando?» recitava un vecchio adagio, la risposta non può attendere. Senza smanie ecumeniche, lo ripetiamo, noi siamo pronti a metterci in viaggio.
Anomalia Sapienza – UniRiot
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Invito, proposta o un’offerta che non possiamo rifiutare?
Premessa
Come compagn* di Torino vogliamo contribuire alla discussione all’interno e su Uniriot. In primo luogo perché ne facciamo parte fin dalla sua nascita e di conseguenza sentiamo l’esigenza di partecipare alle discussioni politiche che riguardano l’andamento del portale e, più in generale, la “rete a progetto” Uniriot.
In secondo luogo riteniamo esercizio sempre utile e mai fine a se stesso condividere, o meglio, dialettizzare e confrontare analisi e punti di vista, soprattutto all’indomani dello straordinario ciclo di lotte a cui tutt* abbiamo partecipato.
Nondimeno riteniamo la fase di discussione interna alla rete un nodo problematico importante, difficile e urgente.
Qui non si tratta di piccole polemiche di corridoio, né tantomeno si può parlare di battaglie interne tra “gruppi” o “aree di riferimento”.
La posta in palio è ben altro e a tal proposito rilanciamo fin da ora l’idea di organizzare al più presto (ovviamente tenendo in considerazione i tempi della contingente fase politica – vedi: sciopero del 28 gennaio e convegno di Parigi) un incontro-due giorni di Uniriot, calendarizzando per fine febbraio-prima metà di marzo, l’incontro di Torino annunciato dai precedenti incontri autunnali.
Forse sarà superfluo, ma ricordare le caratteristiche costituenti il progetto Uniriot, quali l’essere una rete a progetto e non un soggetto politico monolitico né tantomeno un coordinamento tra le giovanili delle aree politiche di movimento, può essere d’aiuto nell’evitare smanie di forzature identitarie e possibili fughe in avanti. Per questo motivo, oltre che per la presa d’atto collettiva della mancanza di dibattito interno alla rete, riteniamo insufficiente l’appuntamento di Marghera, su cui torneremo in seguito, e ribadiamo la necessità di un incontro.
Giudizi condivisi o omologazione di punti di vista?
Questa domanda, ci rendiamo conto, potrebbe sembrare volutamente polemica nei confronti del documento di “Anomalia Sapienza”. Non è nostra intenzione. Una domanda però non riusciamo proprio a non farvela, compagn* di Roma: è un lapsus che abbiate firmato il documento Uniriot e non Uniriot Roma?
Noi vogliamo credere che sia stato semplicemente una svista ma dal tono perentorio con cui si vuole a tutti i costi sintetizzare e di riflesso giungere ad un’omologazione dei molteplici punti di vista su un movimento così importante e denso di sfumature, oltreché più in generale sull’analisi della fase, il quesito si ripropone, anzi si rafforza.
Prende corpo, infatti, nella valutazione collettiva fatta in questi giorni come compagn* di Torino sul documento di Anomalia Sapienza, l’ipotesi di essere al cospetto di una dichiarazione programmatica di partito più che di un legittimo contributo sullo “stato dell’arte”. Ed è un vero peccato, visto che da anni ci confrontiamo apertamente, rispettando quella pluralità di punti di vista necessaria alla crescita delle soggettività e all’altezza della sfida corrente. Queste puntualizzazioni, si badi bene, non vanno inserite in una sorta di apologia del democraticismo di maniera (per chi ci conosce, sa bene che sarebbe offensivo anche solo credercene capaci!). Siamo tutti consapevoli delle differenze che ci contraddistinguono, a partire dalle aree politiche di riferimento. Siamo altresì piuttosto lucidi e smaliziati nel non trasalire a fronte di una logica e pur sempre legittima battaglia politica e di posizione all’interno del dibattito sul e del progetto-Uniriot. D’altronde l’abbiamo sempre fatto tutti e non è mai parsa all’ordine del giorno una qualche forzosa volontà di frazionismo. Rimane però un assunto di fondo per la stessa sopravvivenza di Uniriot, che è sempre stato tacitamente ed implicitamente condiviso tra le realtà che lo compongono. E’ questo la non omologazione forzata dei punti di vista o, peggio ancora, l’annessione di Uniriot ad un altro soggetto politico.
Per quanto ci riguarda, vorremmo poter pensare in positivo, ribaltando queste considerazioni. Assumiamo la necessità di produrre narrazione e punti di vista ma al contempo rigettiamo, tutt’al più rimandando ad un futuro incontro vis a vis, la presunta velleità “costituente” e non semmai costitutiva ( per non dire già “costituita”) del documento di Anomalia Sapienza.
“Tumulto” ed “istituzioni”: ambivalenza o ambiguità?
Quello di quest’autunno è stato sicuramente un movimento più maturo e forte, rispetto a quello dell’Onda. Innanzitutto perché a differenza di due anni fa ha avuto la capacità di farsi portatore di un discorso maggioritario, non solo all’interno dell’Università, riuscendo ad accettare il piano della sfida su un terreno più vasto, non perimetrato dalle mura accademiche, riportando il terreno dello scontro sul piano generale, e tutto politico, della crisi. Quella tensione, già presente nell’Onda e testimoniata dalla massificazione dello slogan programmatico “noi la crisi non la paghiamo”, ha definitivamente rotto gli argini del giustizialismo, della retorica meritocratica e del terrore per un presunto isolamento (ricordiamoci quella costante ricerca dell’appoggio nel baronato e nei rettori).
Persino i tempi di vita del movimento si sono piegati ad una pragmatica logica del perseguimento dell’obbiettivo (assemblee veloci di mobilitazione, occupazioni temporanee, blocchi ed assedi in funzione dell’offensiva della controparte, flash-mob…ecc.) piuttosto che alla ricerca di una qualche inutile convergenza identitaria ed ideologica.
Si diceva: un movimento che ha avuto contenuti e pratiche radicali!
Ed è partendo da questa consapevolezza che vogliamo problematizzare le vicende legate al 14, alla sua preparazione e gestione, ai giorni successivi, per arrivare infine alla questione Napolitano.
Il documento dei compagni e delle compagne di Roma ha certamente un merito, quello di riaprire un confronto per troppo tempo rimandato dentro le file di Uniriot, per mancanza di tempo, urgenze di mobilitazione, quieto vivere.
Il modo in cui questo confronto si pretende di impostare però, non può non apparirci sospetto… a pochi giorni da un meeting deciso in ambiti molto ristretti (non doveva essere quello il seminario di uno dei due tronconi in cui si è divisa l’esperienza di Uninomade?), senza alcun passaggio intermedio esplicito, discusso e condiviso dentro le file di Uniriot.
Quattro pagine in cui gli spunti di discussione più interessanti non vengono minimamente sviluppati: la comunanza di orizzonti tra il movimento cui abbiamo partecipato e le sollevazioni maghrebine, la composizione tecnica e politica di questi, i progetti di inchiesta e conricerca in seno ad esso. A questi potremmo aggiungerne altri ma non è su questo piano che intendiamo qui misurarci, perché non lo si fa in 48 ore sotto un’improvvisa urgenza ne è quello l’argomento della missiva romana.
Come ad esempio la questione referendum, che certamente meriterebbe altri tempi e spazi di confronto. Ci vediamo ben poca utilità se non quella di legittimare la presunta necessità strategica di coordinarsi con Uds-Link. Considerata l’assenza di spinte sociali in tal senso e le perplessità diffuse tra molte realtà organizzate della rete, la proposta ci sembra appiattire la progettualità di Uniriot su uno strumento quantomeno ambiguo. Veramente crediamo che un referendum abrogativo del ddl Gelmini potrà avere la stessa forza, anche solo evocativa, di quello per l’acqua pubblica?
Piuttosto varrebbe la pena interrogarsi su come dispiegare la resistenza e la battaglia contro i decreti attuativi della riforma, al contempo elaborazione strategica e riattualizzazione del percorso dell’autoriforma. Qui risiede la pratica conflittuale e la possibile spinta costituente.
Il tratto più significativo di quel documento è che proprio sulla vicenda-Napolitano si sprechi più inchiostro, scomodando categorie e scienza politica alte per legittimare un momento almeno “discutibile”. Si insinuano “piccole polemiche di corridoio” e “ripiegamenti identitari” senza che nessuno abbia (finora) accennato alcunché. Un’ansia di mettere le mani avanti che ci sembra tanto tradire sentimenti paranoici e sensi di colpa.
Ci chiediamo: quale compattezza istituzionale sarebbe stata incrinata dall’incontro con Napolitano? E precisiamo che il problema non sta tanto nell’aver incontrato il Presidente della Repubblica (scelta che resta legittimo commentare anche se il tono perentorio della mail sembra soltanto asserire e pretendere, rimuovendo il nocciolo della questione) quanto nell’aver rilasciato l’indomani un’intervista a dir poco problematica… soprattutto se si parla a nome di una rete organizzativa che ha l’ardire di chiamarsi Uniriot.
Rottura su quel piano (con una certa dose di ricaduta mediatica) ci sarebbe stata se si fosse giocato anche l’incontro al colle con un minimo di piglio critico-conflittuale (ad uso e misura di giornali, s’intende). Niente di tutto questo! La mattina seguente invece abbiamo avuto il piacere di leggere un’intervista in cui si riconosceva nel Presidente una figura tristemente paterna, elogiata per la sua capacità di comprendere ansie e problemi della generazione “No future”. Scusate ma in tutto questo non arriviamo a scorgere davvero nulla di incisivo o mediaticamente penetrante quanto un non dovuto regalo alla controparte.
Era evidente a tutti che il 22 non poteva in alcun modo ripetere il 14. Ma era altrettanto chiaro che l’allestimento del solenne incontro al colle era una bella confezione-regalo ad uso e consumo di quanti (Repubblica, Saviano, Pdl e questura romana) erano stati politicamente minacciati dalla forza d’urto di quella giornata.
La quadratura del cerchio arriva con la firma apposta dal presidente dopo neanche una settimana, ma a quanto pare neanche questo gesto sembra fornire lo spunto per una pur minimo abbozzo di autocritica. Niente, si ha anzi l’ardire di affermare che «le osservazioni del presidente della Repubblica alla legge Gelmini sono una piccola conquista del nostro movimento» e questo il giorno dopo che Napolitano aveva approvato, senza colpo ferire, una legge contro cui ci siamo battuti per tutto l’autunno! Siamo in preda alle allucinazioni?
L’aspetto più triste del documento è che per giustificare uno scivolone (se ne fanno tanti, non è questo il problema) si tirano in ballo riflessioni aperte e interessanti su cui Uniriot potrebbe continuare a essere terreno di confronto e sperimentazione forse insostituibile.
Diamo per buono il binomio tumulto-istituzione, fecondo però se lo assumiamo problematicamente, nella sua interna tensione tra un consolidamento sempre precario e la sua costante rimessa in discussione dai divenire dei movimenti; nel necessario e costante lavorio che lo trasforma, riposizionandolo ad un grado più alto. Lo stesso vale per l’autoriforma, che può diventare pratica di conflitto importante anche in vista del sabotaggio all’attuazione del Ddl Gelmini, ma solo a patto di pensarla come pratica di antagonismo e costruzione di autonomia dentro e contro i rapporti di produzione e potere dell’università esistente.
Il 14 dicembre. Oltre la retorica dell’evento (e le tinte impressioniste)
Se sgomberiamo il campo, dietro tanta urgenza di giustificare un fatto in fondo secondario come lo scivolone su Napolitano, c’è forse anche la fretta di rimuovere un po’ troppo sbrigativamente alcuni nodi che la giornata del 14 ha lasciato irrisolti e di cui sarebbe invece necessario discutere. Nel rievocarla i compagni di Roma ne valorizzano la radicalità dei comportamenti ma si premurano di criticarne qualsiasi imbalsamazione eroicizzante. Siamo ben d’accordo! Se gli archivi dei vari siti di movimento non ci tradiscono, ci pare di essere stati tra i più sobri e nel narrarne le gesta, per quanto a quella giornata avessimo dato un bel contributo.
Cos’è stato il 14 dicembre? Una straordinaria giornata di conflitto, la nascita di una nuova generazione politica, un giorno infausto per gli amministratori della governamentalità, un precedente di riferimento per ulteriori tappe di lotta dentro e contro la crisi. Non ci dimentichiamo però che solo una bella dose di fortuna (senza scomodare il Machiavelli) ci ha evitato di dover gestire (come movimento) la caduta in coma di un 15 enne colpevole di aver gettato un po’ di verdura. Ci ricordiamo anche le dinamiche della riunione preparatoria della sera prima…
Per fortuna la nuova composizione precaria quel giorno si è fatta sentire, allargando il campo del possibile.
Certo, leggere qualche giorno dopo su alcuni quotidiani del mainstream – a nome di Uniriot – che in quella piazza sono successe “cose molto gravi” agite da “professionisti della rivolta” è stata un’altra di quelle scoperte spiacevoli e ben poco utili a un “confronto schietto e non edulcorato”.
Siamo assolutamente d’accordo nel rifuggire le letture riduttive ed evenemenziali di quella giornata. E proviamo anche noi un certo fastidio nelle cronache mitizzanti di chi ha interpretato quella giornata come un punto d’arrivo quando desidereremmo tanto fosse solo una feconda linea di sviluppo. Sappiamo molto bene che dietro un appuntamento riuscito ci sono energie e intelligenze al lavoro che lo preparano e lo rendono possibile, cercando di tenere insieme la dimensione consensuale-sociale che la legittima e la pratica di rottura che ne verticalizza lo scontro con la contro parte.
Su Uniti contro la crisi… e altri appuntamenti
Rispetto ad Uniti contro la crisi non contestiamo l’importanza dello spazio politico che ha aperto né sottovalutiamo la sfida di un possibile terreno comune di ricomposizione tra soggetti e condizioni differenti. Ci sembra però doveroso non sopravvalutarne la presunta funzione strategica sul movimento dell’autunno, a partire proprio dalle considerazioni in merito alla data del 14 dicembre e soprattutto non sovrapporre un coordinamento (Uniti contro la crisi) con una rete a progetto (Uniriot) senza contare la problematicità di un rapporto/relazione con le altre strutture (non di movimento) quali Uds/Link.
L’apertura di uno spazio politico non coincide col suo riempimento. Se il 17 ottobre ha tracciato una via percorribile, il movimento riversatosi dalle facoltà e scuole ha mostrato un ampliamento ad esso non sussumibile. Il 14 poi ha visto il manifestarsi (finalmente!) di un’eccedenza sociale molto concreta e palpabile, che faceva impallidire tutte le nostre prefigurazioni. Un editoriale serale sul portale di Uniriot aveva avuto il pregio di mostrare un po’ di quella sorpresa e gioia che in molti avevamo provato in quella piazza. Che ne è di quelle domande, di quella novità? Troveremo quelle giovanissime soggettività a Marghera?
Ci domandiamo quale sia l’urgenza di giungere ad una stretta organizzativa proprio laddove una ben più problematica necessità di confronto ci viene lasciata in eredità dalle giornate di dicembre. Anche tralasciando le questioni, pur rilevanti di metodo (chi ha scelto come e quando?) su Marghera, rimane quanto mai presuntuoso voler dettare la linea cinque giorni prima dell’appuntamento. Ancor più sconvolgente è la convinzione di poter liquidare con un colpo di spugna le ricadute sulla rete di scazzi interni mai esplicitati per quel che concerne il quadro internazionale, l’appuntamento di Parigi e i rapporti con Edu-Factory.
Quando e perché si è deciso di rompere con Edu-Factory?
Per quale motivo si vuole snobbare, se non apertamente sabotare, l’appuntamento di Parigi? Appuntamento, tra l’altro, che vedrà la partecipazione di numerose realtà provenienti da molti paesi europei, anche dell’Est e forse pure dal Maghreb.
Ebbene, così come non consideravamo opportuno opporci aprioristicamente a Uninomade ieri, ritenendola uno strumento utile, tra gli altri, per e non contro il movimento, così non riteniamo utile farlo oggi. Tanto più forzando un’ipotetica quanto incomprensibile contrapposizione tra EUniriot ed Edu-Factory. Ci siamo sempre dialettizzati partecipando il più possibile ad ogni appuntamento che avesse lo scopo di agire domande rispetto alla tendenza e gli scenari di lotta trans-nazionali, pur mal digerendo a volte qualche inclinazione a voler giungere a tutti i costi a sintesi di discorso.
Altresì oggi più che mai valutiamo come occasione da cogliere la possibilità che il meeting di Parigi offre. Per cui, sgombrando il campo da possibili fraintendimenti vi parteciperemo come Uniriot-Torino e sosterremo la sua promozione all’interno del portale. Così come, pur con tutte le problematicità che esprime, abbiamo partecipato all’assemblea del 17 ottobre e parteciperemo all’appuntamento di Marghera.
UniRiot Torino
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