25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne e di genere.
Il 25 novembre è la data della giornata internazionale contro la violenza di genere e oggi, in numerosissime città, si sono svolte iniziative per condannare e indicare tutte le molte facce della violenza di genere. Si è voluta sottolineare l’intenzione di lottare contro ognuna di esse e di non arredersi alla violenza strutturale che queste rappresentano nella quotidianità di tutte le donne e soggetti non normati. Dal sud al nord gli obiettivi e i responsabili sono ben precisi : la violenza dei media nella narrazione dei femminicidi, la violenza dei tribunali, le violenze istituzionali e strutturali proprie dell’organizzazione della società tutta e che investono la scuola, la sanità, i servizi assistenziali.
Molti nodi della rete nazionale di Non Una Di Meno e collettivi femministi hanno organizzato iniziative e flash mob. A Cosenza alcune aree della città sono state recintate per evidenziare gli spazi in cui quotidianamente viene agita la violenza maschile, a Napoli è stato lanciato per questa sera un presidio in Piazza Dante a seguito di una campagna chiamata Corpinrivolta, per dare centralità ai corpi sotto attacco ma che allo stesso tempo si ribellano alle violenze. Una campagna per rompere il concetto di norma e di corpo che dev’essere utile alla società: nel lavoro, nel lavoro di cura, nell’essere desiderabile. A Pisa dalle prime ore del mattino è stata costruita una mappa cittadina dei luoghi di violenza di genere, con la partecipazione di tant* che hanno preso parola in un percorso a tappe: dal tribunale, dove “ma lei non ha gridato” è la risposta più frequente ai processi intrapresi da donne contro i propri mariti, compagni o semplicemente incontri casuali che hanno agito violenza contro di esse, a Confindustria, simbolo reale della totale priorità data al profitto a scapito della salute, all’Ospedale luogo in cui la violenza di non poter ricevere le cure adeguate, di lavorarci da sfruttate o di vedersi vietare l’aborto dal crescente numero di obiettori è all’ordine del giorno, concludendosi sotto al Comune, istituzione incapace di sostenere le famiglie in difficoltà, di accomoagnare le donne nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, di non fornire servizi adeguati all’infanzia e all’educazione. A Torino sono state colpite le sedi di famose testate nazionali che costantemente si riconfermano senza dignità nel raccontare la violenza di genere: titoli come “il gigante buono”, “il padre amorevole”, “il povero marito respinto” o che descrivono la donna come troppo ubriaca, troppo provocante, troppo imprudente, rappresentano una doppia violenza per le donne e soprattutto non possono essere accettati. La Stampa e la Repubblica hanno inizialmente risposto all’attacco indicando l’area anarchica come l’autrice delle iniziative alle sedi torinesi del proprio quotidiano, probabilmente facendo un copia incolla da un articolo di qualche giorno fa. Emblematico dell’incapacità dei suoi redattori nonchè del becero macismo di personaggi come il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte.
Oggi è stata anche giornata di sciopero per alcuni settori come la scuola e la sanità e, così come viene evocato dai testi e dai materiali di vario tipo in circolazione sul web, “Se ci fermiamo noi si ferma il mondo”. La pandemia ha reso evidente come il corpo delle donne e gli ecosistemi siano per il sistema capitalista, patriarcale e razzista i terreni su cui fare profitto e da utilizzare come risorse inesauribili e gratuite. In particolare il lockdown e le misure che impone rappresenta un modello di legittimazione della violenza e della dominazione di genere, di razza e di classe. Non si è tutti e tutte sulla stessa barca ad affrontare la pandemia, la sua gestione, la propria esistenza e quella di cui ci si deve fare carico. Dalla difficoltà di accedere ai centri antiviolenza, ai presidi territoriali di cura e prevenzione, al supporto psicologico e pscichiatrico, al rischio di perdere una casa perchè senza possibilità di pagare un affitto o a trovarne una in cui vivere in maniera sana e sicura, sono i vissuti che mostrano come le conseguenze del lockdown non siano affatto le stesse per tutti e tutte. I settori lavorativi – con funzione riproduttiva e dunque essenziale – ad essere più colpiti dalla crisi scaturita dalla pandemia e dalla sua gestione sono la scuola, la sanità e i servizi. Questi sono gli stessi ambiti in cui ad essere maggiormente impiegate sono le donne e il lavoro da svolgere è reso ancor più precarizzato, invisibile e occasione di sfruttamento dall’emergenza in corso: dalle donne delle pulizie degli ospedali, alle maestre, alle infermiere, alle oss, il proprio ruolo nella società della pandemia ricopre l’essenzialità di un lavoro violento e necessario per il profitto di altri.
Sabato 28 novembre in molte città italiane sarà una seconda giornata di lotta per tutto questo.
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