Brasile: Cinque anni senza Marielle, cinque anni di impunità
Il 14 marzo si compiono 5 anni dall’assassinio di Marielle Franco e dell’autista Anderson Gomes. Ho presente l’impatto che fu ricevere da Rio, il messaggio straziante di mia figlia Julieta, sua amica e compagna di militanza: “Papà hanno ucciso Marielle”. Aveva 36 anni.
di Schachter Silvio
Dopo la sua morte, migliaia di brasiliani e persone intorno al mondo hanno conosciuto e cominciato ad amare e stimare Marielle Franco. Solo dopo la sua morte. Coloro che ebbero la possibilità di conoscerla sanno della forza che trasmetteva con il suo sguardo e il suo sorriso franco e contagioso, la sua tenacia nell’affrontare le più diverse sfide.
Nacque e visse nella Maré, il complesso di favelas nella Zona Nord di Rio, vicina alla Bahía de Guanabara. Nel 1998 a 19 anni ebbe sua figlia Luyara Santos, che aveva la stessa età di quando assassinarono sua madre. Nelle reti sociali lei si presentava come “Marielle Franco, candidata a vereadora do Rio de Janeiro, e mãe da Luyara”.
La favela della Maré, cominciò ad essere occupata con maggiore intensità verso la metà del decennio del 1940. E alcuni anni dopo, fu creata la prima associazione di abitanti per fare migliorie al luogo. Così, la storia della Favela della Maré e dei suoi abitanti è anche una storia di lotta e organizzazione collettiva. E questo si rifletté direttamente nella traiettoria di Marielle. Gli stessi abitanti furono quelli che riempirono buona parte del terreno dove si trova la favela, attualmente un’area di più di 400 ettari. Fu l’organizzazione collettiva degli abitanti che costruì le strade, portò l’elettricità nelle case, tra le varie migliorie. E fu anche l’organizzazione collettiva degli abitanti della Maré che creò, nel 1988, il Pre-Vestibular Comunitario della Maré. Il Vestibular è un esame annuale che, a quell’epoca, ciascuna università faceva per selezionare i suoi futuri studenti. Lì si conobbero Marielle e Julieta.
Marielle si laureò come sociologa nella PUC-Río de Janeiro e conseguì il dottorato in Amministrazione Pubblica nell’Università Federale Fluminense (UFF). “Sono sempre stata politica, nel senso più ampio che può avere la parola. Quando entrai nella PUC, nel 2002, il mio posto era reclamare diritti, in quel momento solo per la mia comunità. Andai alla PUC molto scontrosa, ancora pervasa dal sentimento di appartenenza alla favela. Mi distanziai molto dalle ragazze e dai ragazzi nobili, perché alla fine erano di un’altra classe. Ma lì appresi anche a confrontarmi con la diversità”.
Si definiva come “donna femminista, madre sola, nera e figlia della favela”. Fu una conseguente difensora dei Diritti Umani, particolarmente delle donne nere che vivono nelle favelas.
Marielle era una militante del PSOL, fu eletta vereadora (consigliera) della Camera Municipale della città di Río de Janeiro con 46.000 voti. Fu tra le cinque più votate. Fu la sua prima presentazione come candidata. Lei stessa mostrò il suo stupore per il sostegno ricevuto, “Speravo come massimo 5 o 6.000 voti”. Prese il suo mandato per trasformarlo in un generoso atto collettivo, che offriva una nuova forma di fare politica, dove si rifletté un universo militante che conteneva un’ampia diversità di voci e temi. Considerava che le persone devono partecipare alla politica “demistificando l’idea di eroi ed eroine”. Nel gruppo consiliare del PSOL di sei vereadores, lei era l’unica donna.
Nella stessa Camera all’inizio del suo mandato, quando un consigliere della destra volle interromperla, si impose gridando “Dovrete sopportare che noi trans, lesbiche e nere occupiamo tutti gli spazi senza essere violentate né violate”.
Quando nel 2016 si insediò come vereadora disse: “Lo stato d’emergenza si è trasformato in una politica regolare dello stato”. A Río de Janeiro, dal 2003 fino alla fine del 2016, furono 12.623 le morti provocate da azioni di polizia, meno del 5% sono indagate e quasi tutte rimangono impunite. Quel anno, ci furono approssimativamente tre casi di morte al giorno per interventi di polizia. Quella drammatica situazione era al centro dell’attività di Marielle.
Pochi giorni prima del suo assassinio, il giorno 10 marzo 2018, aveva denunciato dei poliziotti del 41° Battaglione della Polizia Militare per abusi d’autorità contro gli abitanti della favela di Acari. “La Polizia Militare terrorizza gli abitanti. Questa settimana due giovani sono stati assassinati e gettati in un fosso. La polizia percorre le strade e minaccia. Questo succede da sempre, ma dopo l’intervento militare tutto è peggiore”. Il 13 marzo si domandava nella rete sociale Twitter a proposito della morte del giovane Matheus Melo: “Quanti altri devono morire affinché finisca questa guerra?”. Lei, come la sua compagna, anche lei attivista, Mónica Tereza Benicio, furono oggetto ricorrente di molteplici minacce.
La sua attività tanto nella legislatura come nelle favelas fu incessante. Nell’agosto del 2018, cinque mesi dopo il suo assassinio, la Camera Municipale della città di Río de Janeiro approvò cinque progetti di legge che furono promossi dalla Franco. I temi a cui si riferiscono sono: programma notturno di accoglienza infantile di creature le cui persone responsabili lavorano o studiano, instaurazione del Giorno della Donna Nera, campagna di sensibilizzazione sulle molestie e la violenza sessuale negli spazi pubblici e nel trasporto collettivo, dossier Donna Carioca (politiche pubbliche nelle aree di salute, assistenza sociale e diritti umani), ed esecuzione di provvedimenti giudiziari per gli adolescenti in regime aperto di libertà assistita o prestazione di servizi alla comunità.
Il suo pensiero si può leggere nei suoi testi: Laboratorio favela, violenza e politica a Río de Janeiro e in Una riduzione della Favela a tre lettere, un’analisi delle politiche di sicurezza pubblica a Río de Janeiro, dove Marielle mostra con molto rigore teorico e abbondante informazione, la politica di sterminio praticata dallo stato brasiliano contro comunità vulnerabili, prima e dopo l’installazione delle UPP in 38 favelas dello stato di Río. “Nel campo della sicurezza pubblica, si presenta la necessità di modificare il modello sostenuto dalla polizia con uno sostenuto da un’altra pratica, in relazione allo spazio pubblico, con una nuova visione della città basata sui diritti e sulle persone”.
A cinque anni dalla sua morte, la domanda che ancora vogliono silenziare è: chi ordinò di uccidere Marielle e Anderson? Quale fu il motivo del crimine? Fu un crimine politico, un’esecuzione che volle mandare un messaggio a tutte quelle che lottano, alle donne nere, alla comunità LGTB, a chi rifiuta questo sistema di oppressione di classe, razziale, patriarcale e maschilista. Un atto feroce che non deve rimanere impunito.
L’indagine lenta e manipolata, punta solo sui sicari che quella notte spararono contro Marielle e Anderson. Due membri della Polizia Militare dello Stato di Río de Janeiro, che operavano in un’organizzazione criminale di miliziani con sede a Río das Pedras conosciuta come “Ufficio del crimine”. I due uccisori, Ronnie Lessa ed Élcio Vieira de Queiroz, continuano a stare in prigione in attesa del processo che sarà realizzato con la partecipazione di una giuria popolare. Sono gli unici due processati. Nonostante che sia stato dimostrato il forte legame che c’è tra questi due esecutori e la famiglia Bolsonaro, finora la Polizia Federale e la Giustizia non hanno raccolto le prove necessarie e sufficienti che permettano di condannare coloro che sono i mandanti del crimine, né di stabilire in modo probatorio la partecipazione del Clan Bolsonaro alla pianificazione e al finanziamento dell’assassinio.
Il presidente Lula ha promesso di intervenire per dare una svolta all’indagine.
Da quel 14 marzo Marielle si è convertita in un simbolo della lotta contro la violenza istituzionale e l’abuso della polizia, per i diritti delle donne e della comunità LGTB, non solo in Brasile, il suo esempio attuale ha oltrepassato le frontiere.
Marzo 2023
14/03/2023
Herramienta
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