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Il quotidiano assalto alla Manica: tra reti, tubi, mura e spugne

 

Seguire i percorsi migranti attraverso lo spazio europeo comporta il mappare una condizione mobile, che attraversa paesaggi plurali segnati da una eterogenea moltiplicazione di confini. Confini che visivamente ripercorrono le antiche vestigia dello Stato, innalzando mura, come nell’Est Europa, o reti di filo spinato, come tra Ceuta e Melilla. Lungo le coste mediterranee sono distribuiti confini che funzionano come imbuti, convogliando e canalizzando i flussi irregolari di corpi e memorie verso punti definiti. Attorno a luoghi dismessi, no man’s land, si sviluppano confini come pieghe territoriali, in cui lo spazio è una sacca tra due territori protetti. Si attraversano paesaggi di confine, dalle tonalità insolite, nei quali masse di viandanti valicano incessantemente tali spazi per trarne vantaggi economici. Qui il confine si espande, s’ingravida, e funziona come quelli metropolitani. Spesso descritti come spugne, che assorbono popolazioni in attesa di passaggio e insediamenti di pendolari, per poi riespellerli quotidianamente. Nell’Europa d’oggi si moltiplicano anche i confini come recinti, di cemento e ferro come quelli per i campi profughi, immateriali e controllati da fotocellule per governare i sottosistemi delle reti bancarie. E si incontrano confini come tubi.

In questi giorni quest’ultima tipologia è quella che è finita sotto gli occhi della stampa mainstream. Migliaia di migranti stanno, da moltissimi mesi, tentando di attraversare il mare tra Francia e Inghilterra tramite il tunnel della Manica. Se negli ultimi mesi il tentativo di forzare gli accessi aggregava alcune centinaia di persone, nella notte del 27 luglio c’è stato il tentativo più grosso: oltre duemila persone hanno provato ad accedere al tunnel, provando a salire sul treno per merci e passeggeri che collega Calais a Dover, le due estremità del tragitto. Nel classico riemergere di immagini coloniali, la polizia dichiara che oltre 1900 persone sono state “respinte” verso la “Nuova giungla”, l’accampamento dove si sono stanziati i migranti. Alcune centinaia sono state invece fermate, una quindicina arrestate per interrogatori. Molte altre probabilmente ce l’hanno fatta. Ore e ore di disordini attorno al perimetro di questa infrastruttura ne hanno sfidato il dispositivo di protezione. La risposta pubblica a questo assalto è stata la congiunta dichiarazione di Francia e Regno Unito che, oltre ai 15 milioni di euro stanziati negli ultimi mesi, dicono che altri ne aggiungeranno per rafforzare e meglio controllare questo spazio di una ventina di chilometri di perimetro.

Ieri notte c’è stato un nuovo assalto. In circa 1500 hanno ritentato di accedere all’Eurotunnel. Anche questa volta si sono prodotti scontri e forsennate corse fra treni e auto in movimento. Purtroppo però questa lotta, che va avanti “in silenzio” da mesi, è tornata alla cronaca perché un giovane ragazzo di provenienza eritrea è morto schiacciato da un camion in uscita dalle navette che trasportano i veicoli attraverso la galleria. E’ il nono morto da giugno. Il gruppo Eurotunnel che gestisce la connessione ferroviaria parla di 37mila migranti “intercettati” da inizio anno e di “incursioni” che avvengono ormai ogni notte. Ma i tentativi di forzare il confine si dipanano anche su spazi più ampi, ed è ancora la tragica cronaca di un decesso a darne l’idea. Un secondo uomo è infatti deceduto in contemporanea, alla Gare du Nord di Parigi. Morto fulminato dai fili di trasmissione elettrica tentando di saltare da un treno ad un altro, diretto a Londra, attraverso il tetto.

Le migrazioni verso l’Europa sono in una fase di ebollizione. Laddove infatti i processi insurrezionali del 2011 avevano avuto anche l’effetto di rompere il controllo delle frontiere, determinando un picco di spostamenti rispetto agli anni precedenti, questa tendenza si sta ingrossando anno dopo anno. Secondo i dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, rispetto ai 70mila corpi in moto nel 2011 si è passati a oltre 200mila nel 2014, e la previsione è che tale dato (per quanto sia terribile leggere l’umanità tramite cifre statistiche) verrà ampiamente superato nel 2015. Numeri che contengono altri tragici numeri: se l’anno scorso si sono contati 3500 morti nell’attraversamento, anche su questo dato la progressione pare inesorabile. Come noto, gli spostamenti si stanno incanalando soprattutto tramite la Libia, ma è evidente come essa sia semplicemente il temporaneo pertugio più semplice da imboccare. Anche chiudendo tale tratto, mille altri ne nascerebbero sotto la spinta di questo corpo sociale in movimento. Il problema di questi dati è tuttavia che essi restituiscono un’immagine che tende a riprodurre un’idea di Europa come territorio chiuso e analizzabile entro una griglia seccamente articolata sul dentro/fuori.

I racconti di Calais e della Manica ci rendono invece un quadro differente. L’aumento esponenziale dei tentativi di sfondamento della moltitudine di confini che abbiamo in precedenza descritto non produce una sintesi, quanto la forma che assume la nostra esperienza quotidiana. Quella di una città sempre più larga e diffusa che ormai ricopre l’intero spazio europeo, urbanizzando anche i mari, all’interno di un testo la cui punteggiatura poliforme di confini descrive una sintassi di relazioni che al contempo spezzano e uniscono, suddividono ed estendono. Viviamo in un arcipelago di sottosistemi che si informa dell’immagine della Fortezza Europa, ma al contempo rovescia sull’intero territorio questa muraglia. Questo crollo controllato dei confini “dall’esterno all’interno” si nutre di un doppio processo: da un lato il tentativo, con la sua mole spesso inavvertita di violenza, di inclusione differenziale, ossia ordinata, dei migranti come forza-lavoro gerarchizzata; dall’altro i sommovimenti soggettivi che questi producono scuotendo lo spazio europeo. Un quotidiano assalto che erode il sogno di uno spazio liscio e governabile, producendo enclave informali, buchi nel territorio, zone temporaneamente appropriate che fungono da basi per organizzare lo spostamento. Dominio e libertà vengono dentro questo movimento a raffigurarsi in un’immagine di estrema polarizzazione, articolandosi sulle onde del mare, librandosi nell’aria di treni che sfrecciano, costruendo villaggi come “Nuova foresta”, organizzando reti nelle metropoli. Disegnando nuove geografie che, lungi dalla mitizzazione, definiscono lo spazio di contesa di una forma contemporanea della lotta di classe. Come intrecciare percorsi di conflitto, come trasformarsi organizzativamente dentro questo movimento sociale migrante è una delle poste in palio più concrete per immaginare la possibilità di una rottura reale col nostro tempo.

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