Le parole del potere: la “bonifica” della premier e l’”assedio militare” di De Luca
Meritano quantomeno una riflessione le espressioni “bonifica” e “bonificare” usate da Giorgia Meloni in seguito al terribile fatto di cronaca, lo stupro avvenuto nei giorni scorsi a Caivano nell’area del Parco Verde.
di Francesca Fiorentin e gvs, da Codice Rosso
Ora, come si è osservato in un articolo di qualche tempo fa, questo governo di destra, fin dal suo insediamento, effettua un particolare utilizzo del linguaggio che rimanda allusivamente alle politiche autoritarie messe in atto nel ventennio. Si era notato come a questo universo semantico non rimandassero solo i termini “merito”, “sovranismo” e “natalità”, presenti nel nome di alcuni ministeri, ma anche l’istituzione del ministero del “mare e del Sud” e di quello “dello sport e dei giovani”. L’espressione “bonificare”, utilizzata dalla Meloni in senso metaforico (il verbo indica infatti il risanamento di zone paludose o improduttive per riconvertirle in sfruttamento agricolo) non può non farci venire in mente le famose bonifiche agricole messe in atto dal regime mussoliniano, espressamente volute dal duce. Perché la premier non ha utilizzato verbi come “riqualificare”, “risanare” o, se proprio vogliamo essere securitari, “mettere in sicurezza”, che sarebbero stati più appropriati, più chiari, diretti? Perché la sua comunicazione politica è stata sottilmente creata per parlare soprattutto agli elettori di destra e in quelle parole – “bonifica” e bonificare” – si nasconde un chiaro e allusivo significato storico relativo al background politico della premier e della sua squadra. Certo, la parola “bonificare” riecheggia di miriadi di significati, rimanda in forma sottile ed allusiva alle bonifiche mussoliniane. La strategia comunicativa della squadra del centro-destra è infatti sottile ed intelligentissima, e la vaghezza del termine “bonificare” confonde le idee, non porta il problema al suo vero centro.
Non dobbiamo neppure dimenticare che dietro alle bonifiche del ventennio si nascondeva una retorica bellica neanche troppo velata: il regime, nella sua propaganda, parlava infatti di una bellicosa “guerra alle acque” (cfr. F.L. Cavallo, Terre, acque, macchine. Geografia della bonifica in Italia tra Otto e Novecento, Diabasis, 2011, p. 100). Nelle aree bonificate, poi, come nell’agro pontino, la politica eugenetica del regime perseguiva l’immissione di popolazioni di diversa provenienza geografica trasformando l’area in un “grande laboratorio di biologia umana” (ivi, pp. 107-109). Può voler dire dividere i lavoratori maschi dalle casalinghe recluse in casa dalla quale possono uscire a braccetto di marito o sorella, pena essere delle svergognate. Questo ci trasmette pensieri penosi e siamo gettati improvvisamente in un tempo fascista, dove le donne erano le “produttrici” di figli e addette solo alla loro cura. Può anche voler dire il solito luogo comune: chi violenta le donne è solitamente un immigrato. Allora bonificare diventa pulire, volere fare una pulizia degli spazi.
“Bonificare” è un termine che attribuisce la colpa dello stupro alla zona dove avviene la violenza sulle donne, non ai figli maschi a cui non va attribuita nessuna responsabilità. Bonificare una zona è una stupidaggine, perché è un’utopia senza capo né coda. Gli stupri sono avvenuti alla stazione centrale di Milano come nel centro di Livorno, o nelle metropolitane piene di gente. Allora non si può fare confusione tra le cause degli stupri e le zone da rendere più sicure, perché queste zone esistono solo nel cervello di chi sposta il problema, per non volere toccare il problema centrale: stupri e femminicidi sono in aumento. E non possiamo confinare le donne in zone sicure, delle specie di gabbie. Tutto questo è assolutamente ridicolo e umiliante per ogni donna.
Leggiamo la definizione di “bonificare” nel dizionario della lingua italiana Devoto Oli: “Prosciugare e risanare terreni con opportune opere tecniche e idrauliche allo scopo di renderli produttivi e capaci di accogliere l’insediamento umano”, con ulteriore estensione del significato: “risanare”, “recuperare”; oppure “liberare campi e terreni da mine od ordigni bellici inesplosi oppure da residui inquinanti”. La premier ha utilizzato il termine “bonificare” in senso metaforico, con riferimento al significato di “risanare”, “recuperare”. Ma nel significato principale del verbo è insita una modifica radicale del territorio, una sorta di distruzione e ricostruzione di quello stesso territorio. La “bonifica” della premier è perciò a doppio taglio: da una parte, questo significato metaforico che sta per “riqualifica” si rivolge tra le righe agli elettori della destra e ai nostalgici del ventennio; dall’altra, però, esso possiede in sé anche un riferimento al significato proprio: eradicare, distruggere tutto per ricostruire in modo “eugenetico”, facendo – e l’espressione calza a pennello – di ogni erba un fascio.
Se la destra vuole bonificare a Caivano, cosa vuol fare la sinistra? Ebbene, lo ha detto chiaro e tondo il governatore De Luca: bisogna “istituire un vero e proprio stato d’assedio militare”, aggiungendo inoltre l’auspicabile durata, “per un anno”. Anche considerando il fatto che il governatore della Campania non è estraneo all’uso della boutade, pure in forma iperbolica, non bisogna dimenticare che chi ha detto queste parole è un esponente di spicco del PD. Allora, ricapitoliamo: se la destra, in modo più sottile e allusivo, vuole bonificare il territorio, la sinistra vuole porre quello stesso territorio sotto assedio militare, come ai tempi della legge Pica del 1863, che mise sotto assedio intere zone del Meridione per eliminare il brigantaggio.
Il potere, insomma, per fronteggiare il degrado, per contrastare situazioni e avvenimenti terribili e testimoni di profondo disagio come quelli avvenuti a Caivano, vuole bonificare, cioè distruggere dalle fondamenta e ricostruire, vuole fare guerre e istituire stati d’assedio militarizzando il territorio. Nel 2023 come nel 1863. Possibile che in centosessant’anni non sia cambiato niente? Possibile che, davvero, non si voglia affrontare il problema di quest’aggressività e violenza – figlie di disagio sociale – che pesantemente colpiscono le donne? Possibile che non ci siano altre soluzioni?
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