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Cronache dalla Sardegna in emergenza sanitaria

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Il caso sardo è emblematico di quello che sta succedendo in seguito alla pandemia del Coronavirus. La popolazione viene messa sotto la lente dell’inquisizione poliziesca per sviare dalle gravi responsabilità delle istituzioni dello stato Italiano nella diffusione della pandemia. Nell’isola infatti il 40% dei contagiati (494 al bollettino di ieri) sono tra gli ospedalieri, una cifra spropositata, quasi inverosimile. In piena emergenza abbiamo visto tanti reparti e, a tratti, interi ospedali in isolamento preventivo per via di focolai esplosi proprio all’interno dei presidi medici, i quali avrebbero dovuto garantire le terapie ai malati.

La pandemia è arrivata in Sardegna nonostante i metodi di contenimento sembrassero efficaci, bisogna dirlo, soprattutto per la conformazione geografica. I punti di accesso all’isola sono pochi e sono stati fatti i controlli su chi arrivava già da inizio marzo sino al 14 marzo, data dalla quale è stata decretata la pressoché totale chiusura degli arrivi in Sardegna ed è stato disposto l’autoisolamento per le quasi 14mila persone rientrate nell’isola.

Quello che è avvenuto dopo è il caos. Proprio mentre le misure del contenimento entrano in vigore su tutto il territorio nazionale in Sardegna in maniera esponenziale crescono i contagi, più 400% in dieci giorni. L’epicentro è l’area del nord Sardegna, nelle provincie di Sassari e della Gallura, la prima reazione è stata la caccia all’untore, infatti la responsabilità viene attribuita a una quota molto limitata di persone residenti in Nord Italia arrivare in Sardegna.

Successivamente diventa sempre più evidente che i casi si diffondono principalmente all’interno degli ospedali, con la grave postilla che i contagiati sono per la stragrande maggioranza componenti del personale medico-sanitario. Solo da ieri, 26 marzo, in tarda serata abbiamo avuto dei dati chiari sul numero degli operatori contagiati il 40% 200 casi sul totale di 494. Le stime precedenti parlavano del 60% con punte sino al 90% nella provincia di Sassari, solo tra i lavoratori del comparto sanitario. Ora il numero si è sensibilmente abbassato anche in ragione della diffusione della pandemia, i numeri con forte probabilità sono stati diffusi ieri perché le percentuali si sono sensibilmente attenuate. Una mossa strategica quella del governo regionale per evitare di perdere completamente la faccia, tuttavia non abbiamo il numero di contagiati totali nelle strutture ospedaliere e sub-ospedaliere dove probabilmente si è diffuso maggiormente il virus. Un cocktail micidiale soprattutto perché mette a rischio i più deboli già ospedalizzati, gli ospiti delle strutture mediche come le case di cura, e sguarnisce gli ospedali del personale sanitario necessario. La situazione è talmente drammatica che in una nota congiunta del 19 marzo gli ordini dei medici delle provincie sarde denunciano di “operare in massima insicurezza” la nota prosegue così:

“Se dovesse davvero arrivare il picco, ci auguriamo che la ‘faraonica’ organizzazione predisposta dalla Regione sia in grado di reggere l’urto […] Non si è riusciti neppure a mettere a disposizione di medici e infermieri i necessari Dpi, mascherine e guanti soprattutto, e non si è proceduto alla sanificazione preventiva degli ambienti di lavoro, soprattutto quelli che in cui si concentra maggiormente il rischio della presenza del virus, guardie mediche comprese […] non è in atto alcuna iniziativa concreta sulla individuazione dei portatori asintomatici e non è stata data alcuna indicazione comportamentale specifica alle strutture sanitarie private.”

La risposta del governo Sardo non si fa attendere e con una legge regionale, già rinominata dai medici legge bavaglio, la giunta si arroga il diritto di essere l’unica fonte consultabile dagli organi di informazione. Come dire le uniche notizie che devono circolare sono quelle ufficiali, quelle di regime, un passo avanti alla Cina. Attraverso una nota privata inviata per mail si minaccia tutto il personale di ritorsioni e provvedimenti disciplinari nel caso filtrassero informazioni non autorizzate dall’ufficio stampa della regione. Tale limitazione è valida anche per l’utilizzo di strumenti di comunicazione privati quali social-network o chat private.  L’ordine dei medici ribatte “è inaccettabile ci mettono il bavaglio quando mancano le mascherine per il personale medico”.

Il caos e la confusione continuano ad essere le sole a governare l’isola. La situazione negli ospedali di Sassari è talmente tragica che obbliga i medici militari ad un intervento immediato per sostituire il personale medico mancante nel capoluogo turritano. Rispetto all’accaduto l’assessore alla sanità Mario Nieddu, quota lega, ha tentato rocambolescamente di rivendicare l’operazione come un risultato del lavoro della giunta regionale. Lo stesso assessore, in un’intervista all’emittente locale Videolina ha affermato: “Risulta che in tutte le aziende sanitarie ci siano giacenze di mascherine”, e per quanto riguarda l’elevato numero dei contagi fra il personale sanitario ha commentato “ci può stare”. Volendo si può scavare ancora nelle bugie e nelle inadempienze dell’assessore che per esempio almeno una settimana ha mentito all’opinione pubblica su un ordine di test per il covid-19 mai effettuato. Tuttavia preferiamo sorvolare su cotanta miseria politica.

Vista la totale inefficienza degli organi dello stato la giunta regionale e diversi comuni ripiegano sulle misure restrittive. I politici sardi dopo essere comparsi in fotografia in una stanza da soli davanti agli schermi muniti di mascherine, le quali probabilmente sarebbero servite ai presidi medici, sono solo in grado di diffondere la paura tra la popolazione e inasprire inutilmente le misure di restrizione, cercando di imporre di fatto il coprifuoco per tutta la popolazione.

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Il presidente della Regione Christian Solinas in videoconferenza con una mascherina

La giunta regionale con la delibera di ieri impone tra le altre misure l’obbligo di stare non oltre i 200 metri dalla propria abitazione per chi porta l’animale domestico a espletare i bisogni fisiologici e di far uscire al massimo una volta al giorno un componente del nucleo familiare. Inutile dire che il contagio non avviene in spazi aperti se si rispettano le distanze di sicurezza come ricordato quotidianamente da tutte le autorità sanitarie nazionali ed internazionali.

A Cagliari la situazione diventa grottesca, il sindaco Paolo Truzzu con una campagna mediatica scellerata punta sulla costruzione del senso di colpa in seno alla popolazione che in una situazione esasperata cerca un momento di aria nel portare il cane a spasso, andare a fare una passeggiata da soli oppure prendere un po’ di sole fuori dalla propria abitazione. Infatti non sempre le persone comuni abitano quelle ville scintillanti dei Vip che si mostrano felici e riposati nelle proprie case con giardino, attrezzate per tutto ciò che serve e soprattutto vivono senza porsi i problemi economici che angosciano la gente comune.

Tra le altre misure il sindaco propone di vietare di uscire a tutti quelli che non indossano la mascherina, seppure queste non sono a disposizione nemmeno del personale medico che ne avrebbe realmente bisogno. Gli epiteti con i quali vengono descritti i concittadini del sindaco sono: “i furbetti della passeggiata” contro i quali schierare i droni della polizia municipale per filmare e denunciare i sospetti che si muovono per la città. In ultimo una campagna pubblicistica oscena, sponsorizzata dal comune di Cagliari recita così:

“Quando hanno intubato mio padre, ho pensato a quella passeggiata che dovevo evitare”

“Quando ho visto trasportare le bare, mi sono vergognato di essere uscito senza ragione”

“Quando hanno portato mia madre in ospedale, ho capito che dovevo rinunciare alla corsa”

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Un manifesto affisso dal comune di Cagliari e il sindaco Paolo Truzzu

Forse il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, nel suo delirio da mancato sceriffo, non ha capito che in Sardegna le strade sono più sicure delle corsie di ospedale. Il sindaco del capoluogo ha immaginato farneticando che invocare il santo patrono e sollecitando l’esercito per le strade si potesse contenere un’epidemia che si diffonde per l’inefficienza sistemica del servizio sanitario nell’isola non per l’incoscienza della popolazione. L’allucinazione dei politici, che come abbiamo visto in Italia sono bipartisan, risiede nella convinzione che con la forza delle armi e non con la capacità di cura si combatta una pandemia virale. La crisi dell’epidemia, come ogni crisi alla quale deve far fronte lo stato esercitando il potere sulla popolazione, si trasforma in un problema di ordine pubblico prima che, per esempio pensare all’esigenza di bloccare le industrie e il profitto.

 Basti ricordare quello che abbiamo saputo della Lombardia, dove ci si è accorti già in piena crisi che le persone si assembravano e circolavano anche per lunghe distanze unicamente per recarsi sul posto di lavoro. Per bocca del vicepresidente della regione Lombardia abbiamo scoperto che, attraverso il monitoraggio dei cellulari della popolazione, quasi tutte le persone si spostavano prevalentemente in settimana e crollavano il week end, quindi riconducibili ai lavoratori e alle lavoratrici che sono state esposte al rischio del contagio per continuare a garantire il profitto degli industriali.

L’inefficienza sanitaria in Sardegna è invece una storia a se, dovuta a mezzo secolo di gestione clientelare e più di un decennio di spending review in nome del pareggio di bilancio. Infatti vogliamo sottolineare che l’assenza della voce dell’opposizione del PD nell’isola è prima di tutto una questione di pudore. La scorsa giunta dei ‘democratici’ guidata dall’economista Pigliaru ha puntato tutto sul “ridimensionamento” delle strutture sanitarie pubbliche nell’isola. L’ex presidente di regione infatti ha sviluppato un piano di chiusura degli ospedali territoriali in una regione carente di infrastrutture di collegamento stradali, compresa l’assenza totale di autostrade. Sproloquiando sullo sviluppo della medicina a distanza e della sopraggiunta inutilità degli ospedali dislocati nei territori. Infatti per quanto sia sotto gli occhi di tutti che il governo regionale sia inadeguato al ruolo di gestione e coordinamento, non bisogna accodarsi alla richiesta di maggiore efficienza e di una guida tecnica oltre l’emergenza. Il definanziamento e la progressiva distruzione della sanità pubblica, non solo in Sardegna, non è figlia incompetenza tecnica quanto più di scelte politiche deliberate, le quali hanno puntato alla distruzione della sanità pubblica per trasformare la salute in merce e in profitto, seguendo i diktat dell’ideologia neoliberista. Così è il caso dell’ospedale di Tempio che si sarebbe voluto chiudere in favore di quello privato di Olbia, finanziato dai Qatarioti in cambio delle concessioni in spiagge per il turismo di lusso. Senza voler difendere l’incompetenza, al limite del patologico, dell’attuale governo Sardo occorre ricordare che se in questi giorni negli ospedali mancavano i dispositivi per lavorare in sicurezza è soprattutto per la violenza dei tagli al bilancio della sanità regionale che nell’ultimo decennio è stato bipartisan e sbandierato come “politica di modernizzazione”.

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Protesta contro la chiusura dell’ospedale di Lanusei Novembre 2019

Da questa crisi bisognerà quindi uscire a testa alta e non con il senso di colpa che lo stato Italiano e i governanti locali ci vorrebbero marchiare addosso perché abbiamo preso, in solitudine, una boccata d’aria. Occorrerà uscire da questa emergenza ricordandoci che i tagli ai servizi per la collettività non sono l’unica via possibile come anche l’austerità imposta dall’Europa. Occorrerà rivendicare con forza che serve una sanità gratuita garantita a tutte e tutti anche attraverso i piccoli presidi ospedalieri nei territori non metropolitani. Occorrerà riconvertire la produzione per le esigenze collettive e non per le richieste del mercato. In Sardegna in particolare, ma non solo, la produzione industriale è in grado di costruire bombe e armamenti per le guerre in giro per il mondo ma non macchinari sanitari e dispositivi per la tutela della salute. In Sardegna i territori possono essere sfruttati dallo stato Italiano per garantire esercitazioni belliche degli eserciti di mezzo mondo ma non siamo pronti a far fronte a un’emergenza sanitaria. Si è creduto, in Sardegna come altrove, al sogno della turistificazione rendendo l’isola una colonia di quei ricchi che vengono a distruggere il territorio per due, tre mesi all’anno in cambio dell’elemosina o di un lavoro di cameriere sottopagato. Ci siamo svegliati di soprassalto e sappiamo che da questa crisi bisognerà uscire ripensando cosa vogliamo per i nostri territori e non quello che vuole il mercato o lo stato.

Ci teniamo a chiudere con un messaggio che sta girando insistentemente sulle chat in questi giorni:

Penso che l’assessore Nieddu e il presidente Solinas stiano pregando che la quarantena duri ancora, ca sa die chi nos dant su via libera pro ‘essire dae domo, si devent chircare logu a currere.

#aforas #daecozzones”

Che tradotto suona più o meno così: “perché il giorno che ci danno il via libera per uscire di casa, si dovranno cercare spazio per correre.

#fuori #daicoglioni”

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