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[Sulla prima linea] «Ci sono una serie di limiti e problemi che questo sistema ha sempre avuto»

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Per questa seconda puntata di “Sulla prima linea” abbiamo parlato con un medico d’urgenza della Molinette di Torino impegnato nella crisi sanitaria da covid-19. A partire dalle condizioni nelle quali il maggiore ospedale piemontese sta affrontando praticamente l’emergenza, abbiamo avuto l’occasione di approfondire alcuni problemi più generali del modello attuale di sistema sanitario. Problemi che esistono da tempo,  che in questa crisi diventano tragicamente evidenti e che rimarranno ancora sul piatto quando (e se) sarà finita l’emergenza. Il rapporto tra personale sanitario e paziente (e la sua famiglia) disumanizzato in una logica da supermercato, nel quale il medico si trova a essere un “meccanico del corpo” spinto a risolvere i problemi velocemente e secondo procedure spersonalizzate, tralasciando la cura complessiva della salute che necessiterebbe anche di un’attenzione ai fattori sociali ed economici. L’inefficacia di un sistema sanitario basato su pochi poli di eccellenza con una grande concentrazione di tecnologia, competenze e personale, che però si dimentica di un’assistenza diffusa sui territori. La direzione sanitaria degli ospedali che lavora secondo direttive economiche e burocratiche di quadratura del bilancio, di tagli e di spartizione politica delle posizioni di potere, anziché svolgere il ruolo di coordinamento e facilitazione necessario affinché le strutture sanitarie lavorino al meglio per la salute delle persone. 

Qui la prima puntata: Intervista dalla terapia intensiva

Qual è il tuo inquadramento nel sistema sanitario nazionale e che ruolo hai? 

Medico d’urgenza ormai da 3 anni, lo faccio da più di 5 contando il lavoro precedente, il mio lavoro si divide tra pronto soccorso, ovvero la porta d’ingresso di tutti i pazienti che accedono in ospedale per motivi acuti o urgenti e il lavoro consiste nel cercare di fare una diagnosi, impostare le cure o impostare se c’è una vera urgenza e un’ulteriore fase diagnostica consigliando esami ecc… oppure terapie di stabilizzazione, decidendo per ricovero e dove, il luogo, il settore specialistico appropriato per ricoverare la persona. L’altra parte del lavoro è in medicina d’urgenza, dove sono ricoverate persone o dal pronto soccorso o trasferite dall’interno dell’ospedale, persone che sono in una fase di malattia caratterizzate da instabilità respiratoria o del circolo sanguigno allora hanno bisogno di una terapia intensiva in tutto e per tutto, Noi non gestiamo le persone con intubazioni di cui si parla tanto perchè è  competenza più anestesiologica rianimatoria..

  • Rispetto all’organizzazione interna dell’ospedale, qual è il rapporto con la terapia intensiva? Si trova in un altro spazio o è qualcosa che avviene negli stessi luoghi in cui lavorate voi?
  • Sono spazi separati, noi gestiamo anche supporti alla respirazione meccanica, che è un tipo di ventilazione che è definita non invasiva perche non implica anestesia del soggetto e intubazione e connessione a ventilatore meccanico, sono respiratori che supportano il respiro spontaneo diciamo. E fisicamente queste due modalità si svolgono in ambienti completamente diversi, il nostro è un reparto che ha un’apparenza un po’ più tradizionale in cui i parenti prima dell’epidemia avevano un accesso abbastanza libero, mentre in rianimazione propriamente detto, che sono le terapie intensive di cui tanto si parla con pazienti intubati, sono ambienti diversi, più piccoli anche di posti letto perchè ogni paziente richiede un’intenstià di cure molto piu alta, tante attenzoni, tanti monitoraggi, la persona non si muove quindi ha una serie di problematiche che devono essere gestite da tanto personale, l’ambiente è più chiuso, l’accesso più limitato, ci vuole un’attenzione più maniacale per motivi medici per l’igiene perchè il paziente è molto più esposto a agenti infettivi.

    Come è cambiato il tuo lavoro rispetto a prima e come è stato riorganizzato?

    Il lavoro è cambiato nella misura in cui sono cambiati in maniera impressionante i pazienti, da un lavoro estremamente vario in cui vedevi tante persone di cui tantissime non particolarmente urgenti come tipo di presentazione, però con una presentazione con malattie estremamente varie, siamo arrivati ad avere quasi una mono problematica che è quella respiratoria. Anche perchè in persone che avevano già sottostanti molte malattie ha prevalso il timore di contagiarsi, di venire in ospedale, e probabilmente è anche una riduzione effettiva di tutta una serie di situazioni di  stress che ha fatto calare una serie di problematiche cardiologiche, respiratorie… Possibile, andrà studiato dopo… Le ha completamente ridotte in maniera drastica rispetto a cosa facevamo negli stessi periodi un anno fa o anche solo qualche mese fa. Il lavoro si è riorganizzato in più tappe e per quanto riguarda i presidi che usiamo, il percorso che fanno i pazienti, non tanto per quello che facciamo noi, noi siamo lì alle porte e aspettiamo le urgenze man mano che arrivano quindi da quel punto di vista non è molto diverso però, sicuramente questa malattia e la facilità del contagio e i danni che fa per le persone ricoverate per vari motivi, ti impongono di stabilire da subito un livello di sospetto, cercare di separare il piu possibile chi può avere il covid e chi ha bassa probabilità di averlo e fare percorsi separati, il pronto soccorso è stato diviso in due anche come spazi e semplicemente (semplicemente no, perchè non è banale farlo) si è stabilita la corsia per i sospetti coronavirus. C’è stata una prima fase di assestamento di scarsa attenzione sia da parte dell’azienda per quanto riguarda i dispositivi di protezione, sia un po’ di leggerezza da parte degli operatori, me compreso, adesso tutti quelli che vengono visistati vengono visitati con il massimo dei presidi che abbiamo, perche poi arrivano [i dpi] un po’ a singhiozzo, altre volte cambiano un po’, sono un po’ più sicuri altre meno, finisce un tipo di camice e ce n’è un altro che sembra dare meno sicurezza e si va avanti un po’ cosi… Questa è un po’ la diversità del lavoro. L’altra cosa che è cambiata in maniera drammatica, è il problema del rapporto con i parenti i cari, con chi assiste i malati perchè non sono ammessi nel pronto soccorso, né nei reparti quindi bisogna informarli telefonicamente, spesso loro chiamano in pronto soccorso per sapere che fine hanno fatto papà, mamma, fratello ecc… e anche comunicazioni particolarmenete delicate, almeno in Pronto Soccorso, vengono fatte telefonicamente talvolta anche con un po’ di ritardo perche si è presi dall’assistenza di qualcun altro… Quello è una cosa che stiamo vivendo tutti i giorni… Abbastanza pesante da affrontare perche se è gia difficile parlare di gravità, di rischio e di prognosi dal vero per telefono è ancora piu penoso…

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    Tendenzialmente i casi covid arrivano autonomamente? Percorso all’interno dell’ospedale: puoi descrivere come funziona il percorso dei pazienti sospetti anche a seconda delle diagnosi?

    Riguardo al primo aspetto, sicuramente l’idea di non recarsi in pronto soccorso per tutte le persone con sintomi lievi o che non c’entrano con la sindrome influenzale o problema respiratorio è necessaria come raccomandazione per evitare di sottoporre le struttutre a un carico insostenibile e quindi aumentare l’affollamento e di conseguenza avere difficoltà di gestione, va da sé che in caso di sintomi gravi e preoccupanti le persone arrivano con il 118, adesso un po’ meno con mezzi propri, anche se è giusto così, se uno sta male deve venire in Pronto Soccorso, non c’è la possibilità di gestire diversamente… Una delle cose che saltano all’occhio è la mancanza di un sistema territoriale efficace, ovviamente la grave insufficienza respiratoria a casa non puo’ essere affrontata, ma tante persone potrebbero essere visistate da personale con opportune protezioni a casa e anche rassicurate che la malattia non stava avendo un decorso grave, però questo ovviamente non c’è e non è certo l’epidemia che l’ha fatto venir fuori.

    Per quanto riguarda il secondo aspetto tecnicamente la separazione degli spazi in questo momento funziona così: c’è un pre triage che stabilisce dei sintomi, sgrossa quelli che sono i sintomi del paziente, se respiratori e febbre il paziente è automaticamente assegnato a percorso “sospetto covid”. Il triage continua a essere fatto su parametri come sempre è stato fatto: se c’è già un’evidenza di insufficienza respiratoria o insofferenza al paziente viene assegnato codice giallo o rosso, chi ha la febbre ma respira bene riceve un codice verde, come sempre. Però poi si attende in una sala predisposta per i sospetti una volta visitati tendenzialmente in questo momento tutti quelli che hanno la febbre, problemi respiratori che emergono alla visita clinica ricevono il tampone, o un esame diagnostico, almeno ciò che succede da me, e quindi si attende la conferma che adesso è un pochino più veloce. C’è stato un periodo in cui, una settimana fa circa, c’erano grossi problemi di tempi di processazione del tampone, ora ci siamo un po’ velocizzati e migliorati. In alcuni casi, se la persona ha insufficienza respiratoria dev’essere ricoverata quindi la conferma della polmonite covid ti autorizza a spostare il paziente. Si fa una sorta di coorte, si raggruppano i pazienti positivi, abbiamo qualche stanzetta piu isolata per eventualmente isolare chi magari è piu a rischio, o c’è un dubbio che quella febbre possa essere legata a situazioni diverse piu classiche, la polmonite classica o infezione urinaria che ci sono sempre, non possiamo pensare che tutti quelli che hanno la febbre hanno il covid, quindi per evitare di contagiare chi non è positivo e di avere delle situazioni più appartate per ridurre il rischio di infettare chi ancora non lo è. Se il tampone è negativo di una persona con febbre si sposta rapidamente nell’altra parte di pronto soccorso che gestisce urgenze cardiologiche pure e tutto quello che non ha a che fare con possibile infezione. Dopodichè, quando decidiamo per il ricovero ci sono reparti dedicati al problema covid e dove vengono ricoverati esclusivamente pazienti covid, sono sempre di più, ora sono 3 reparti in medicina generale per pazienti che non hanno bisogno di cure intensive, invece 2 reparti semi-intensivi uno è il mio in cui ci sono persone con bisogno di supporto respiratorio non invasivo, sono svegli, coscienti, lucidi ,si possono muovere, poi ci sono le rianimazioni che sono 3 strutture che si occupano escusivamente della gravissima insufficienza respiratoria da polmonite covid. Naturalmente puo capitare che le persone vengano assegnate direttamente dal pronto soccorso a uno di questi livelli oppure, cosa che capita frequentemente magari prima ricoverati in assistenza normale e poi salgano nel livello di intensità perchè si aggravano e saltano da semi intensiva a intensiva, oppure fanno solo semintensiva. Le traiettorie sono molto difficili da predirre e imprevedibili nel tempo di evoluzione, alcuni rapidissimi, altri 2 o 3 giorni, è molto complicato farsi un’idea chiara di come finirà quel caso lì. Così è come funziona da me, a quanto ne so altri ospedali hanno più o meno pensato dei percorsi simili, poi ogni struttura è fatta a suo modo ma il principio è sempre quello.

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    Sulla questione della sanità territoriale e che se fosse maggiore permetterebbe un’assistenza anche domiciliare... Hai letto la lettera dei medici di Bergamo in cui dicevano che il sistema sanitario in Lombardia concentra l’attività in grandi poli ospedalieri ed è anche ciò che deficita il territoriale perchè questi centri potrebbero essere stati centro del contagio?

    Si la lettera l’ho letta e mi sembra un contributo molto lucido e molto lungimirante perche viene fuori in una situazione di emergenza che è chiaro che è particolare, che avrebbe creato difficolta anche al migliore dei sistemi, il problema è che non siamo nel migliore dei sistemi e alcune problematiche fanno spesso capolino nella pratica di tutit i giorni di tutti quanti, sicuramente il sistema ospedalocentrico è tutto focalizzato, anche rispetto all’attenzione mediatica, sui grandi poli dell’ecellenza, poli concentrati di tecnologie, di competenze, ha qualcosa che in questo momento mostra dei limiti importantissimi. Concentrare i pazienti in una situazione del genere è molto rischioso perche una delle poche cose da imparare dalle infezioni coronavirus, di cui la capostipite è stata la sars, era che negli ospedali queste malattie facevano stragi. Cosa centra il territorio, centra nella misura in cui tu hai bisogno di un sistema che ti consenta di controllare le persone al domicilio nella sicurezza sia delle persone che stanno male sia degli operatori, hai bisogno di un territorio che sia integrato e armonizzato con il sistema ospedaliero in cui ci sono le conoscenze le tecnologie dei consulenti. Non si puo pensare come ora che ci sono medici di base che dovrebbero essere un po tuttologi ma che di fatto non lo sono, con migliaia di pazienti, pochissimi rapporti con i centri di eccellenza che a cosa servono se non a far ricadere le conoscenze sul territorio ? Questo crea grossi problemi di conoscenze e anche di aggiornamento. E poi altro problema che avrebbe dovuto fare il territorio, era seguire in maniera efficente chi veniva mandato a casa, perche noi vediamo continuamente persone che dopo quelle 6 – 12 ore in cui le osserviamo possono essere dimesse ma non è detto che gli stessi criteri valgano 48 ore dopo.. il territorio efficente avrebbe avuto il compito di seguirli a casa passo passo. Alcuni andrebbero solo rassicurati, controllati ogni tanto e rassicurati che la situazione è sotto controllo, altri avrebbero avuto bisogno che il loro peggioramento venisse monitorato e identificato in maniera piu precoce e tempestiva. I mmg contano tra le loro fila numerosissimi contagiati e un certo numero di gravi e morti, non mi risulta fossero molto preparati né per i dpi, poi hanno strutture di ricezione dei pazienti che sono abbastanza rischiose per la diffusione di queste malattie, se pensi cosa succede quando c’è il picco influenzale negli studi dei medici di famiglia. Ci sono una serie di limiti e problemi che questo sistema ha sempre avuto e in una fase del genere vengono fuori in maniera un po’ drammatica. L’assistenza gli anziani è un’altra ferita aperta ma che era aperta sempre e ora sanguina in maniera copiosa…

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    Qual è la situazione emotiva tua, dei colleghi, come vivete la cosa? Quali sono le pulsioni, le domande.. com’è il sentire all’interno del personale?

    Credo che in alcuni gruppi di lavoro in cui anche il nostro rientra, anche se siamo tanti e tante teste diverse, sicuramente c’è un che di stanchezza, della fatica di lavorare in un certo modo, tutti coperti, bardati, perche è davvero faticoso ma va fatto così, un po’ di timore di farsi la polmonite, timore di portarsela a casa dai suoceri, da moglie, marito, figli, siamo preoccupati di questo,. In linea di massima il gruppo dove lavoro sta rispondendo bene, con decisione, parecchie discussioni, ci sono continuamente idee sulla chat di come migliorare l’assistenza anche nella fase in cui c’era da pensare come organizzare spazi e strutture, con una certa tensione ma si è discusso con idee buone per gestire la cosa, sicuramente adesso che ci siamo dentro forse alcune cose non vegono ancora fuori in maniera così esplicita ma uno degli aspetti piu problematici sicuramente dal punto di vista dell’etica e della morale sono quelli a cui accennavo prima, legati alla comunicazione dell’aggravamento della situazione ai parenti, il rapporto con i pazienti, che comunque è mediato da tutta l’interfaccia per respirare, la tua maschera, la tua faccia completamente coperta, anche una certa anonimità del vestiario, siamo tuti uguali, il fatto che si sente anche uditivamente ci si sente pochissimo si deve urlare per sentirsi, il rapporto con il paziente è molto difficile da instaurare e c’è il problema del colloquio con i parenti che è un altro nodo pesante abbiamo tantissime persone che vanno male, che muiono, molte piu di quelle che siamo abituati a vedere tutti i giorni e poi c’è il problema che è venuto fuori recentemente sui giornali, della selezione delle persone che devono accedere a trattamenti piu intensivi, che non prendiamo direttamente noi perche non ci occupiamo dell’intubazione, ma comunque anche noi facciamo delle scelte perche abbiamo un braccio della terapia semintensiva quindi comunque anche su quello dobbiamo, siamo costretti a operare delle scelte. Non tutti i pazienti hanno accesso, questo accadeva anche prima però ora accade piu spesso e quello è una scelta che costa molto. A volte non ci sono dubbi, cosi come prima con una frequenza minore, e ora con la frequenza di molte persone in gravi condizioni aumentano le volte e vengono i dubbi sulla correttezza della decisione c’è anche meno occasione di confronto per forza di cose quindi ci si trova piu da soli a dover decidere queste cose. Meno interlocutorie. Soprattutto in pronto soccorso, magari in reparto è ancora un po meno accentuata perche è una situa un po più tranquilla, quindi si riesce a fare con un po piu di serenità e testa lucida, comunque costa molta fatica.

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    Hai la sensazione che ci sia stato un deficit sia rispetto alle conoscenze, quindi alla formazione con cui siete stati preparati a lavorare in questo settore, sia rispetto alla prevenzione e dove individui questi deficit?

    Sicuramente un deficit c’è e probabilmente ci sarebbe stato comunque perchè obiettivamente delle 6 o 5 emergenze sanitarie internazionali che sono state dichiarate dall oms negli ultimi anni è l’unica che ha interessato in maniera massiccia il mondo occidentale, le altre hanno toccato in maniera marginale, hanno acceso i riflettori su malattie viste come esotiche, qualche caso, la grande paura per ebola alla fine non ha portato nessun caso qua.. questa malattia ha colpito duro, sta colpendo duro, e non eravamo preparati. Abbiamo grossi limiti nella formazione nella misura in cui le nostre strutture non fanno quasi mai momenti di formazione strutturata che venga fatta come simulazione di situazioni di emergenza come viene fatto regolarmente in moltissimi ospedali, almeno da un certo livello in su in Inghilterra, in Germania, l’unica cosa che ti puo preparare a delle situazioni del genere è simularle con una certa frequenza, chiaro che la realtà non è la simulazione, ma sicuramente aiuta, in quel contesto li, rinfrescato da una prova pratica per quanto simulata, su questo siamo tanto indietro. Dopodiche credo che la percezione della gravità dell’impatto che avrebbe potuto avere e che sta avendo, l’epidemia inizialmente è stata un po sottovalutata, mi sembra molto plausibile, dopodiche non saprei cosa si possa fare di piu in termini preventivi, diciamo che il sistema deve avere dei piani B da attuare piu velocemente perche queste cose hanno bisogno di rapidità di azione, sicuramente non è semplice bloccare l’attività ordinaria, ristrutturare, ricondizionare le strutture se non hai un piano prestabilito per farlo e ovviamente era complicato prevedere i numeri che ci sarebbero stati.. anche se in Lombardia abbiamo visto come sono rapidamente cresciuti e ci si poteva aspettare che anche qua ci sarebbero state le stesse dinamiche epidemiche e se avessimo avuto qualche piano più strutturato avremmo affrontato meglio la situazione.. con tutte le difficoltà, ovvio, ma i piani servono a quello, affrontare situazioni di difficoltà. Mi sembra abbia molti limiti questa struttura aziendalistica ospedaliera in cui ognuno se la deve un po’ sfangare da sé, poi il grande ospedale pur con delle inerzie notevoli da parte dei vertici gestionali dell’azienda ha sicuramente più margine per sistemare le cose, la piccola struttura se colpita duramente soccombe, non è che puo mettere i tendoni fuori dal reparto, evacuare i pazienti ma dove, cmq gli devi trovare un posto, strutture che hanno sempre problemi di ricovero figuriamoci adesso come se la vivono. Sicuramente vengono fuori dei problemi che ci sono sempre stati e adesso diventano drammmatici.

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    Questa crisi sta facendo emergere tutto un discorso sul rapporto tra società, sanità, salute. Da un lato c’è uno scoprire pratiche di sanità di massa che dovrebbero essere di buon senso, ma che tutti stanno scoprendo adesso, c’è un domandarsi rispetto alla qualità della vita, rispetto al ruolo dei medici... Il discorso dei medici e infermieri come eroi. Per quanto in questa situazione molto complessa tu percepisci questa riscoperta o scoperta dell’aspetto della salute? Secondo te in qualche modo è possibile che quello che sta succedendo riapra una possibilità di relazione tra pazienti e medici che non sia più quello tra clienti e erogatori di un servizio? 

    Bella domanda! Non saprei nel senso che probabilmente adesso quello che mi sembra è che prevalga un po di spavento tra le persone… Non lo so se in questo momento c’è una vera rimessa in discussione di una serie di nodi e problematiche a cui tu accennavi, la logica da supermercato: vengo qui sono tuo cliente, mi devi dare una risposta possibilmente entro le 4 o 5 ore perche poi me ne devo andare, io medico ti tratto freddamente come ti tratta al casello autostradale e questa è un po un’escalation che porta a dei parossismi.. ci sono pazienti e parenti che malmenano operatori sanitari, dall’altro lato anche os che fanno degli errori che considerano che dall’altra parte ci debba essere qualcuno da allontanare il più in fretta possibile dal pronto soccorso.. è un sistema che vorrebbe e ha l’illusione di occuparsi sempre solo di un aspetto tecnico, riparare un corpo e poi se ne occupera qualcun altro degli altri problemi.. poi è evidente che la malattia fa sempre venir fuori fragilità sociali, economiche e il sistema in cui lavoriamo se ne fa poco carico di questo.. una volta riparato il corpo si cerca di farlo uscire dall’ospedale il piu in fretta possibile.. dall’altra c’è una pressione a ricoverare sempre di più e con minori tempi di degenza il che ha anche un razionale clinico ma a volte non si puo perche ci sono problemi socioassistenziali a valle di cui l’ospedale non riesce a farsi carico e quindi porta a delle ospedalizzazioni del tutto incongrue.. e questo è un altro circolo vizioso che logora i rapporti tra il personale, tra medici e pazienti, tra parenti degli utenti perche da una parte c’è la spinta alla missione ma dall’altra la frenata di “ma come facciamo a gestire la cosa”..la logica del cliente e del prestatore d’opera non ti aiuta a risolverla, non so però se questa situazione sarà in grado di portare nuovo rapporto. In parte credo che ci sia una rinnovata attenzione verso il comparto della salute come uno degli elementi cruciali di uno stato sociale e di una società che cerca di tenersi bene.. dall’altro bisogna tenere conto che per questa malattia non c’è una terapia, c’è grande incertezza anche da pare di chi dovrebbe portare le conoscenze e delle sicurezze piu che incertezze e quindi non è scontato l’esito..dipende da tutti noi credo che comunque ci sarà tantissimo di cui discutere e su cui lavorare in un poi. Per cercare di ricucire in primis il rapporto tra il sistema sanitario e i suoi utenti in modo che non siano piu semplicemente degli utenti ma siano partecipi della cosa pubblica, compresa la salute, beh per fare questo probabilmente ci sarà anche da lottare non ci sarà solo da mettersi davanti a un tavolo o in un’aula di un auditorium per sentire qualcuno che ci spieghi che cosa è cambiato ecco bisogna fare qualcosa per cambiarlo. Non penso di aver tanto risposto ma è una cosa che si pensa, a cui pensiamo continuamente però non lo so se in questa fase si intravede una risposta però l’occasione c’è nel senso che nel bene o nel male il sistema salute è centrale in questo momento quindi su quello si deve parlare.. anche se non solo parlare ma anche lottare perche poi le cosidette ristrutturazioni che vengono fuori da qualsiasi crisi spesso si aggrappano a dei pretesti.. cioè a delle effettive tare del sistema per poi ristrutturarlo in senso peggiorativo quindi bisogna stare molto attenti.. forse sarebbe bello non aspettare le contromosse.. muoversi prima che ci siano mosse da parte dello stato o dell’UE a mettere mani sul funzionamento delle strutture sanitarie.

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    Secondo te le misure prese in ambito sociale, autoquarantena, isolamento e anche la gestione del virus in casa per i casi meno gravi, stanno avendo efficacia? Perché non hanno avuto un’efficacia su dei tempi più ristretti visto che il picco epidemico sembrava dovesse raggiungersi piu in fretta?

    In linea teorica le misure sono quelle per contenere una diffusione e soprattutto appiattire un po’, spalmare la quantità di malati che non necessariamente sarà minore rispetto all’assenza di misure, ma probabilmente sì di molto, però la misura di per sè di distanziamento ha la finalità di appiattire il picco di malati e di malati gravi per evitare il collasso delle strutture sanitarie. Quindi in quel senso credo che un certo effetto si sia visto nella misura in cui, con tutte le difficoltà, almeno in Piemonte che è una regione abbastanza disastrata mi sembra che abbia beneficiato quindi non è al collasso. C’è la difficoltà di un livello di malati che sale però in qualche modo ci si riesce ancora a gestire… 

    Perchè è cosi rallentato il raggiungimento del picco: credo ci siano due fattori fondamentali, uno che le misure di contenimento hanno tenuto e continuano a tenere fuori parecchi lavoratori che lavorano in contesti che implicano una certa concentrazione di persone che non possono non andare a lavorare e in una fase piuttosto lunga anche lavoratori che non erano così fondamentali, che poi anche lì se i lavori strategici sono tipo costruire caccia da guerra e uno non può stare a casa.. Due, sono le caratteristiche della malattia, del virus che ha un’incubazione potenzialmente lunga, ha dei sintomi iniziali blandi o lievi e presenta però poi complicanze in una fase anche decisamente avanzata quindi dall’effettivo contagio al ricovero possono anche passare tre settimane e questo ovviamente pone dei problemi perche sposta necessariamente i tempi, li postpone; l’altra cosa è che come è stato anche calcolato matematicamente e come sembra anche da dati biologici è che i vettori, il virus circoli in forme molto poco sintomatiche, molto di piu di quanto siano i casi che vengono diagnosticati e quindi ci siano gia molti contagi latenti che stanno venendo fuori in questo periodo e poi non possiamo neanche far finta di niente che i fortunati che possono isolarsi in una casa con molte stanze, con una stanza in cui possono stare da soli, non sono poi tanti in contesti famigliari in cui ci sono figli, parenti anziani in una stessa casa non sono pochi, quindi le misure di isolamento per queste persone è limitato solo agli esterni al nucleo famigliare. Quindi questi credo siano i fattori che piu incidono da non esperto di queste tematiche qua, perchè sicuramente ci saranno anche altre cose da analizzare però sono queste che mi vengono in mente di più.

    Sono emerse secondo te delle conflittualità sulle decisioni che vengono prese tra personale e direzione dell’ospedale o anche tra personale sanitario stesso?

    Direi qualcosa si è visto nel senso che da subito si è chiesto alla direzione di prendere il massimo delle precauzioni e protezioni a tutto il personale, che fossero adeguate in base al ruolo che svolgeva, l’impressione che ho avuto è che al di la delle inerzie che ci sono state la cosa è stata goveranta piu da alcuni responsabili delle strutture direttamente impegnati nella gestione dei malati, il direttore del pronto soccorso che si interfacciava con chi lavorarava, con chi fa il coordinatore infermieristico, più da loro che poi andavano nella direzione a dire come andava fatta una cosa più che in maniera preventiva e organizzata direttamente dalla direzione stessa.. proprio perche come dicevamo prima, non c’era un grande piano quindi è stato tutto deciso in questo modo qua. Conflitti veri e propri non ce ne sono ma mi sembra che ci sia quel poco di credibilità dei vertici se lo stanno giocando in una serie quotidiana di scarsa capacità di fare quello che è il loro ruolo di coordinamento amministrativo, di rendere le cose piu fluide, piu omogenee questo è cio che devono fare ma non mi sembra lo facciano molto bene, ho visto un grande impegno per esempio del nostro direttore di reparto che praticamente da un mese entra alle 8 esce alle 20 dal lunedì alla domenica, ha cercato sempre di stare dietro a tutto, al personale, chi aveva contatti a rischio cercare di capire come farci fare il tampone se era da fare, quando farlo, anche nell’ottica di perdere il meno possibile di elementi che lavoravano, quello sicuramente era l’obiettivo ma comunque che non fossimo mai senza dpi adeguati ecc. Da quel punto di vista l’impegno c’è stato, rispetto alle direzioni ospedaliere che non mi sembra stiano brillando di efficenza e sicuramente più che conflitti ci sono fasi di tensione, soprattutto credo più nel comparto infermieristico e socioassistenziale che oggettivamente è quello che ha più esposizione perchè passano più tempo vicino agli infetti, magari in situazioni difficili, il paziente agitato, chi si toglie la maschera, la necessità di stargli vicino per tanti minuti di seguito, per pulirlo, mettere terapia quindi loro si sentono, e lo sono, molto più a rischio e giustamente reclamano anche il massimo dell’attenzione e delle tutele e credo che anche per loro dovrà esserci una fase dopo in cui visto il loro ruolo così fondamentale e impegnativo e poco riconosciuto, sia in termini economici che generali, sia necessario che anche loro facciano sentire la loro voce. Anche per loro la crisi da covid ha messo allo scoperto dei problemi strutturali che c’erano già prima.

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    Quali sono i motivi per cui i vertici della dirigenza non sono stati efficienti nei loro ruoli di amministrazione, coordinamento e gestione? 

    Sinceramente una risposta su questo non saprei darla… Perchè vediamo questa difficoltà, gestiamo questa scarsa efficienza ma non so se si tratti di impreparazione… Credo che sia un po’ legato a una gestione della cosa sanitaria molto centrata su bilanci, su una serie di parametri così solo meramente economici e poco su una gestione e un’idea di organizzazione che abbia sì un occhio all’uso corretto delle risorse, al risparmio e che ci sia una ricaduta su quello, ma senza dimenticarsi che i percorsi ospedalieri, alcuni percorsi diagnostici assistenziali se ben strtutturati e coordianati in realtà nel brevissimo periodo ti fanno spendere di più, ma poi nel medio lungo ti fanno pure risparmiare dando qualità e servizi quindi da quel punto di vista c’è sempre stata una miopia. E poi anche che comunque è una sttuttura la nostra, è un grosso ospedale, ospedale universitario in cui pesano molto i vari direttori del caso che sono anche grossi professori universitari e che hanno forse talvolta un potere eccessivo e su cui chi nel organigramma aziendale dovrebbe avere ruolo di coordinatore poi di fatto non riesce a incidere nemmeno a interloquire ognuno se la decide come vuole e pero poi quando c’è da cantare tutti la stessa canzone si fa molto difficoltoso. Immagino ci siano problemai di questo tipo poi forse ci sono anche problemi di formazione, di capacità gestionale, o semplicemente si è perso di vista l’orizzonte giusto in cui muoversi. Non saprei dirtelo per certo però quello che si vede in tante aziende è questo c’è poca lungimiranza, poca capacità organizzativa da parte chi dovrebbe darti quel tipo di ruolo.

     

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    Sabato 28 settembre una straordinaria ed imponente manifestazione ha attraversato le vie di Mestre per ricordare Jack e stringersi forte alla sua famiglia e a Sebastiano. Oltre 10000 persone, forse di più, si sono riprese le vie della città, una città che ha risposto nel migliore dei modi alle vergognose dichiarazioni di Brugnaro e dei suoi assessori. Comitati, associazioni, centri sociali, collettivi studenteschi con la rete “riprendiamoci la città” e una marea di cittadine e cittadini, hanno trasformato una parola d’ordine in una pratica collettiva.

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    Per Jack, per noi, per tutt*. Riprendiamoci la città, sabato la manifestazione a Mestre.

    Mestre (VE). “Per Jack. Per noi. Per tutt*”. Manifestazione in ricordo di Giacomo, compagno 26enne del centro sociale Rivolta ucciso venerdì a Mestre mentre – con un altro compagno poi rimasto ferito – cercava di difendere una donna da una rapina. Il 38enne aggressore si trova in carcere.

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    MESTRE: UN COMPAGNO UCCISO E UNO FERITO NEL TENTATIVO DI DIFENDERE UNA DONNA VITTIMA DI RAPINA

    La scorsa notte un compagno è stato ucciso ed un altro ferito a Mestre nel tentativo di sventare una rapina nei confronti di una donna. Come redazione di Infoaut esprimiamo la nostra solidarietà e vicinanza nel dolore ai compagni e alle compagne di Mestre.

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    Cosentine in lotta per il diritto alla salute

    Il collettivo Fem.In Cosentine in lotta nasce nel 2019 e da allora si occupa del tema dell’accesso alla sanità pubblica, del diritto alla salute, con uno sguardo di genere.

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    Lecco: Condannato delegato sindacale per aver denunciato i guasti della malasanità

    Il Tribunale di Lecco ha condannato a 8 mesi di reclusione Francesco Scorzelli delegato sindacale dell’ USB Unione Sindacale Di Base. Aveva denunciato su Facebook e non solo all’inizio della pandemia di Covid-19 la disastrosa situazione della Sanità lombarda – nello specifico della ASST di Lecco – accusando l’operato di una dirigenza manifestamente e volutamente […]

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    Il virus della disuguaglianza

    Il rapporto Oxfam: cresce in Italia e nel mondo la concentrazione delle ricchezze, aumenta il numero dei poveri Da PopOff Quotidiano di Checchino Antonini La pandemia, spiega la Ong Oxfam, «ha aggravato le condizioni economiche delle famiglie italiane e rischia di ampliare a breve e medio termine i divari economici e sociali preesistenti. Nel primo […]

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    CARCERE E COVID: AUMENTA IL NUMERO DI DETENUTI POSITIVI. SOVRAFFOLLAMENTO AL 114%

    Nelle carceri, secondo i dati aggiornati a ieri dal report ministeriale gestione Coronavirus, siamo a circa 4.300 positivi tra personale penitenziario (1.646) e detenuti (2.625) rispetto ai 2.300 complessivi del 7 gennaio quando i detenuti positivi erano 1500. Secondo l’associazione Antigone “la variante Omicron ha portato ad un’impennata dei contagi anche in carcere, dove la […]

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    +/ UN INVITO/+ /IL/SISTEMA/E/L/IMMUNITÀ/

    Riprendiamo, con un po’ di ritardo, questo interessante scritto di Azione Antifascista Roma Est, che sebbene venga da un substrato teorico leggermente dissimile al nostro, ci pare convincente nell’analisi dei fenomeni pandemici, mantenendo i livelli di complessità con cui ci troviamo ad interfacciarci. Il testo è frutto di un’inchiesta sul campo come si può notare […]

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    Napoli: la salute non è un privilegio

    Blitz degli attivisti all’Ordine dei Farmacisti di Napoli in via Toledo contro la speculazione sulla pandemia che prosegue da due anni sulla pelle dei cittadini. A partire dai test antigenici che in Inghilterra, Germania e Francia sono gratuiti, mentre qui vengono fissati a qualsivoglia prezzo. Con l’ultimo decreto del governo, le ASL hanno appaltato in […]

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    Formazione

    Analisi dei dati per oltrepassare la polarizzazione scuola si o scuola no

    La riapertura delle scuole da due giorni a questa parte ha significato il venire alla ribalta di una nuova forma di polarizzazione nel dibattito pubblico rispetto alla pandemia: i difensori dell’apertura vs i difensori della chiusura. In realtà non si tratta di prendere una posizione ma di andare a leggere i dati reali che compongono […]

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    Bisogni

    Insostenibilità e inazione davanti a Omicron

    Premesse Partendo dal presupposto che la responsabilità dell’attuale stato pandemico è da imputare alla governance globale che ha come sola priorità non porre limiti gli interessi del capitalismo, come rapporto che regola il sistema mondiale, e che quindi si rifiuta qualsiasi tentativo di scaricare la responsabilità su un livello individuale, di seguito alcune considerazioni sulle […]

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    Formazione

    COVID-19: SCIOPERO STUDENTESCO PER CHIEDERE LA DAD FINO AL 31 GENNAIO

    Lunedì 10, studenti in sciopero nelle scuole superiori nell’alto milanese e in provincia di Varese tra Rho, Parabiago, Legnano, Busto Arsizio , Castellanza e Saronno. La ragione è dovuta all’atteggiamento del governo, perchè, “nonostante l’elevato numero di contagi, ha deciso di riaprire le scuole, con nuove direttive che non ci fanno sentire sicuri” sostengono gli […]

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    Bisogni

    Lettera aperta di un dipendente pubblico sullo smart working

    Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta proveniente dal sindacato di base Cub Pubblico Impiego Chi si aspettava, a torto, il ritorno allo smart working come misura per contrastare i contagi potrà ricredersi leggendo la circolare sul lavoro agile firmata, nella serata del 5 Gennaio, dai ministri Brunetta e Orlando. La circolare dissipa ogni dubbio sulla […]

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    Editoriali

    Quarta ondata: la barbarie del governo dei “migliori”

    Due milioni di positivi al Covid, la curva dei contagi in ascesa con il picco previsto intorno a febbraio, strutture ospedaliere sotto stress e trasporti, scuole e servizi essenziali di fatto ridotti per mancanza di personale. Questo è il bilancio della gestione (o non gestione meglio) della pandemia da parte di un governo dei migliori […]