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Weatherman New York

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Quaranta anni dopo, due ex dirigenti della Weather Underground Organization (WUO) commemorano i compagni caduti in un drammatico episodio che segnò la vita e le lotte di molti.

Un titolo sulla prima pagina del New York Times del 7 marzo 1970 annunciava: “Palazzina demolita da esplosioni e fuoco; trovato il corpo di un uomo”. L’articolo decriveva un’elegante costruzione in mattoni a vista nel Greenwich Village, distrutta da tre grosse esplosioni e da un fuoco furioso “probabilmente causati da una fuga di gas” verso mezzogiorno di venerdì 6 marzo.

Il corpo fu più tardi identificato come quello del 23enne Ted Gold, un leader dello sciopero del 1968 alla Columbia University, insegnante e membro di una “frazione militante del movimento Students for a Democratic Society”. Nei giorni che seguirono vennero scoperti altri due corpi -Diana Oughton e Terry Robbins erano stati entrambi dirigenti del movimento studentesco e attivisti per i diritti civili e contro la guerra- e il 15 marzo il giornale riportò che la polizia aveva trovato “tra le macerie 57 candelotti di dinamite, quattro bombe a tubo fatte in casa e una trentina di detonatori”, e definì per la prima volta la casa una “fabbrica di bombe”. Quel terribile evento annunciò in lungo e in largo l’esistenza dei Weather Underground, in qualche modo il più noto ma senz’altro non l’unico gruppo di Americani a usare in quel momento la lotta armata come mezzo di protesta -la storia partì da lì, crescendo, cambiando ed accelerando ogni giorno.

Pochi giorni dopo l’esplosione della palazzina, Ralph Featherstone e William ‘Che’ Payne, due ‘militanti neri’ associati allo Student Nonviolent Coordinating Committee, vennero, secondo Time magazine “uccisi quando la loro auto è volata in pezzi” per una bomba che, secondo la polizia, veniva trasportata a Washington D.C. per protestare contro il perseguimento del leader del SNCC, H. Rap Brown. La Black Liberation Army balzò sulla scena nazionale, ed emersero altri gruppi organizzati -indipendentisti Portoricani, militanti aborigeni ‘indiani americani’, separatisti Chicano (messicani)- chiedendo giustizia ed autodeterminazione.

Così inizia l’articolo ora pubblicato da Bernardine Dohrn e Bill Ayers (sul blog di Bill e sulla Monthly Review MRZine), che da quel giorno entrarono in clandestinità e ci rimasero fino all’inizio degli anni ’80.

E segue citando l’articolo della rivista Time (del 23.3.1970: qui), che rileva la crescita esponenziale nel 1969 degli atti violenti di resistenza, attentati classificati come politici pressoché sconosciuti e impensabili solo pochi anni prima.

Secondo l’FBI, tra l’inizio del 1969 e l’aprile del 1970 ci furono 40’934 ‘bombings’, riusciti, tentati o minacciati, di cui 976 esplosivi (non incendiari), insomma “una media di due bombe pianificate, costruite, piazzate e detonate ogni giorno per oltre un anno”. Le ragioni sono indicate nella guerra, “illegale e immorale”, in Vietnam, che, pur ormai senza prospettive di vittoria, continuava la sua escalation terroristica estendendo il campo d’azione a Laos e Cambogia. In quei paesi seimila persone venivano uccise dai bombardamenti ogni settimana. Che responsabile di quelle vittime fosse il governo amerikano era chiaro, ma come opporsi?, “nessuno sapeva esattamente come procedere”.

(…) milioni di persone mobilitate per la pace, e il nostro progetto, il nostro compito ed ossessione era così semplice da affermare e così atrocemente difficile da raggiungere: peace now, la pace subito. La guerra si trascinò in un oscuro e inaccettabile futuro, e le forze di opposizione alla guerra si spaccarono – alcuni di noi tentarono di organizzare un’ala pacifista nel Partito Democratico, altri si organizzarono in fabbriche e posti di lavoro, alcuni volarono in Europa o in Africa o in Canada, altri verso le comuni, la campagna o piccoli ma speranzosi progetti di organizzazione. Alcuni cominciarono a costruire una macchina per combattere i guerrafondai con altri mezzi, una forza clandestina che sarebbe sopravvissuta, così speravamo, a quello che vedevamo come un immanente totalitarismo americano.

Ogni scelta era contemplata, ciascuna sembrava possibile -e avevamo amici e famiglia in ogni campo- e nessuna scelta sembrava completamente oltre i limiti.

Questa l’origine della ventina di attacchi (esplosioni incruente contro proprietà e luoghi simbolici) che la WUO condusse durante la sua esistenza.

Malgrado l’esplicito riferimento alle vittime di guerra, l’argomentario evita il vittimismo e il discorso assomiglia molto a quello dei militanti della tedesca RAF, in particolare delle prime generazioni:

Cominciammo a pensarci come parte del progetto del Terzo Mondo -i movimenti di liberazione rivoluzionari che chiedono giustizia e si liberano dall’impero trasformeranno anche il mondo, questo credevamo. Pensavamo che chi come noi viveva nelle metropoli dell’impero avesse il dovere speciale di ‘opporsi al suo proprio imperialismo’ e di resistere ai sogni imperiali del nostro proprio governo. Alla fine giungemmo a pensare di poter fare una rivoluzione, e che in ogni caso avevamo la responsabilità di provarci.

Fu una forzatura, ma ogni rivoluzione è impossibile fino a quando non avviene; e dopo che è avvenuta, ogni rivoluzione sembra inevitabile.

Accadeva 40 anni fa, ed è vero che non è ancora stata scritta l’ultima parola sui movimenti di rivolta, né sull’occupazione del Vietnam; nel ‘fare memoria’ con la narrazione occorre dunque guardarsi dai rituali identitari ed essere coscienti dell’uso politico che si fa del passato.

(…) Perché il significato è costruito e ricostruito al tempo presente, i nostri sguardi all’indietro sono oggi necessariamente riflessi attraverso la sconfitta USA in Vietnam, il declino costante dell’impero, l’erosione militarista dell’economia, la distruzione del nostro sistema politico, la catastrofe ambientale prodotta dal capitalismo, gli attacchi terroristici dell’11 settembre e le susseguenti invasioni e occupazioni e guerre che continuano a definire la fisionomia della nostra vita nazionale. (…)

Il ricordo di Ted Gold, Diana Oughton, Terry Robbins, Ralph Featherstone e ‘Che’ Payne è vivo, e il 6 marzo è solo un’occasione più formale di commemorazione.

Con Bernardine Dohrn e Bill Ayers si può senz’altro concludere che quando si trasforma sé stessi in uno strumento di guerra, la prima vittima è sempre la propria umanità.

Guarda “The Weather Underground“:

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