Dire fascismo confonde e depoliticizza
Proponiamo questa traduzione di un articolo di Raul Zibechi apparso sul sito de “la Jornada” il 9 novembre 2018. Si propone un interessante lettura sulle ultra-destre contemporanee a partire dal concetto di “Società estrattiva” proposto nei suoi lavori cercando di rintracciarne le matrici sistemiche e proponendo al “pensiero critico”di smarcarsi da facili quanto inefficaci parallelismi con il passato.
Dire “fascismo” confonde e depoliticizza – Raul Zibechi
L’estrema destra contemporanea è figlia dell’estrattivismo/quarta guerra mondiale [come dicono gli Zapatisti], mentre il fascismo era stato partorito dal capitalismo monopolista in disputa per i mercati mondiali, dal colonialismo e dall’imperialismo nella sua deriva razzista, come segnalava Hannah Arendt ne “Le origini del Totalitarismo”.
Posso comprendere che nei dibattiti appassionati, contro questa destra maschilista e razzista che cresce esponenzialmente, parliamo di “fascisti” o “fasci” o utilizziamo aggettivi simili. Molti lo fanno con l’obiettivo di colpirli. Senza dubbio l’analisi serena che richiederebbe il pensiero critico dovrebbe andare più a fondo nella questione.
Una porzione importante di questi analisti distacca la crescita di questa ultradestra dalla realtà economica, sociale e culturale che viviamo, e attribuisce questo processo all’influenza dei media, alla carta dell’imperialismo e ad altre questioni generali che non riescono a spiegare il fenomeno e lo attribuiscono a cause esogene o a fenomeni come i social network, che però non spiegano nulla. La Rivoluzione Francese non fu la conseguenza della diffusione della stampa, né quella russa fu figlia dell’elettricità o del cinema, nonostante questi sviluppi tecnologici ebbero la loro influenza.
D’altro canto, il capitalismo non è sempre stato uguale. Non ha sempre preteso di eliminare strati interi della società, come sta aspirando a fare di questi tempi. Ci furono dei periodi nei quali le classi dominanti cercarono di integrare le “classi pericolose”, con quella che chiamano politica del welfare. Oggi si tratta di spiegare perché si è passati dall’integrazione alla segregazione, per fantasticare poi sullo sterminio.
Per comprendere il nazismo ed il fascismo, Karl Polanyi si rifece all’Inghilterra dei secoli XVIII e XIX, analizzando nel dettaglio la divisione dei terreni comunali (enclosures) a favore dei terratenenti. Questo processo fu la chiave per promuovere la modernizzazione, “liberando” i contadini dalla terra dalla quale furono espulsi, senza altre opzioni se non offrire le proprie braccia alla nascente industria.
Però la proletarizzazione del contado fu un processo traumatico, che disarticolò la società inglese, come sottolinea Polanyi ne “La Grande Trasformazione”, pubblicato nel 1944. Con dati economici, sociologici e antropologici, l’autore conclude che il liberismo economico e il suo “mercato autoregolato”, distruggono le fondamenta materiali e spirituali della società precedente.
Nelle sue stesse parole, l’economia di mercato procedette alla “demolizione delle strutture sociali per ottenere mano d’opera”, e dalle rovine della vita comunitaria sorse la tentazione fascista.
Le ultradestre contemporanee hanno un’altra genealogia, nonostante sia evidente esistano dei punti in comune. Voglio sottolineare alcuni aspetti che mostrano la differenza con il fascismo degli anni ‘30 del secolo passato e che segnalano anche la necessità di rovistare tra le nostre società contemporanee per capire la deriva in corso.
Primo, l’estrattivismo allontana metà della popolazione mondiale (in alcune regioni più, altre meno) da una vita degna, escludendola dalla salute, educazione, casa, acqua e necessità minime. Questa popolazione lasciata all’addiaccio, deve poi essere controllata in nuovi modi: massificazione delle camere di sicurezza, militarizzazione, femminicidi, bande di narcotrafficanti, milizie paramilitari, tra le forme legali e illegali più conosciute.
Secondo, il tipo di stato che corrisponde a questo sistema di accumulazione per saccheggio/quarta guerra mondiale, è lo Stato di Polizia, con i suoi corrispondenti, campi di concentramento per “los de abajo”. Chi crede che stia esagerando, guardi con attenzione i dintorni delle grandi miniere, dei mega-progetti di infrastrutture e della monocultura, dove questo già succede. Cosa sono le baraccopoli della periferia urbana, senza acqua ma con un’abbondanza di uomini armati, se non campi di concentramento?
Terzo, questo sistema trasuda da tutti i suoi pori una violenza strutturale, maschilista e razzista. Suggerisco due letture. Il reportage di Katrin Beenhold del New York Times sugli uomini d’estrema destra nella Germania dell’est, qui la violenza maschilista ha una chiara origine sistemica; e “Il Laboratorio sociale della Cina a Xinjiang”, su Il Manifesto, dove il potere esercita un “controllo capillare” e diabolico sulla popolazione. Gli uomini, dalla Germania fino al Brasile, non diventano attori di femminicidi per genetica, ma perché hanno perso molte cose, come conseguenza di un modo di accumulazione che non riconosce frontiere. Tra quello che hanno perso, c’è il “mandato di masculinità”, come analizza Rita Segato.
Quarto, questo sistema estrattivo basato sulla guerra non può essere smontato pezzo per pezzo, dall’interno, perché le sue istituzioni non funzionano a favore della società, ma contro di questa. Non sono le istituzioni che abbiamo conosciuto durante il periodo della fede nello sviluppo e dello stato del benessere che proteggevano i cittadini. Quelle di ora sono parassitiche, soprattutto nei confronti di chi vive nella zona del non-essere: poveri, indesiderabili, donne e giovani.
Traduzione a cura di BC
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