La democratica difesa dei fascisti di Caselli e Zagrebelsky
Negli ultimi giorni sulle colonne di diverse testate locali e nazionali abbiamo assistito ad una trasversale levata di scudi in difesa del FUAN torinese, dopo che martedì mattina la loro ennesima apparizione blindata in Università è stata sonoramente contestata e allontanata da un gruppo di studenti e studentesse antifascisti. Tra i commenti più in vista figurano quello di Gianfranco Caselli e Vladimiro Zagrebelsky che, in nome di una non meglio precisata “libertà d’espressione”, difendono a spada tratta i fascisti.
Di seguito riportiamo alcune nostre riflessioni, che dovevano essere pubblicate sulle pagine de La Stampa in replica al corsivo di Zagrebelsky ma che ci sono poi state rifiutate a cose ormai fatte. Ve le proponiamo lo stesso qui sotto:
Partiamo dai fatti. Nella mattinata di martedì un gruppo di appartenenti al FUAN (Fronte universitario d’azione nazionale), giovanile del partito Fratelli d’Italia diretto erede del MSI, organizza un volantinaggio nella sede Universitaria della Palazzina Einaudi. Il presidio, organizzato da studenti che sono soliti firmasi con la croce celtica e che si autodefiniscono “estremisti, populisti e pericolosi”, è accompagnato, come al solito, da un ingente schieramento di forze dell’ordine in assetto antisommossa. Due studentesse, ricevuto un volantino del FUAN, in segno di disapprovazione lo gettano in terra: in risposta calci e pugni da parte dei giovani neofascisti. Vengono quindi prelevate dagli agenti della DIGOS e portate in questura, dove – sotto la minaccia di essere arrestate per “resistenza” – restano in stato di fermo fino a pomeriggio inoltrato.
Nel frattempo decine di studenti, come tutte le volte che sotto elezioni il FUAN si presenta nelle sedi universitarie per racimolare voti, si radunano nel cortile della Palazzina riuscendo a impedirne il volantinaggio; nel corso della giornata viene poi imbrattata l’aula in cui si riunisce l’organizzazione di destra dedicata alla memoria di Paolo Borsellino – non sappiamo se per pura casualità o per una sinistra volontà dei neofascisti di richiamarsi alla figura del magistrato dell’antimafia per costruirsi un’integrità politica facendo buon viso a cattivo gioco.
Abbiamo poi appreso dai quotidiani degli scorsi giorni di un’alzata di scudi in difesa della “libertà d’espressione” da parte di insigni giuristi ed esponenti della magistratura che, prendendo le parti dei neofascisti del FUAN, si sbilanciano fino a definire “squadristi” gli studenti che martedì si sono opposti al volantinaggio razzista e xenofobo (o come altro si potrebbe definire un programma che richiede borse di studio “Prima agli italiani!”). Lungi da noi voler dare lezioni di democrazia a coloro che se ne professano paladini (da che pulpito, poi? Quello da cui si difendono gli eredi della Repubblica Sociale pur di criticare la pratiche dell’antifascismo militante? Ma di quale democrazia stiamo parlando se non di quella prodotta dal sacrificio – antifascista, ma sopratutto militante e militare – della Resistenza?) ma ci permettiamo di sorridere di fronte ad un Gianfranco Caselli che, dopo avere cercato di mettere a tacere con il carcere ogni forma di espressione eterodossa e “dissidente” – in ultimo il caso del movimento No Tav – accusa noi di non permettere la pluralità di punti di vista.
Il corsivo a firma V. Zagrebelsky comparso l’altro ieri su La Stampa (qui e qui) arriva persino a contraddirsi (forse nella fretta dettata dall’ansia di accorrere in aiuto del collega?) tanto da farci sospettare che il magistrato abbia bisogno di rispolverare il manuale di Diritto Costituzionale, magari con l’aiuto del fratello Gustavo, poiché sembra dimenticarsi che, pur nel salvaguardare la libertà d’espressione, anche la nostra Carta riconosce apologia di reato nel professare idee fasciste. Anzi, tocca vette di paradosso costruendo parallelismi acrobatici tra l’attentato a Charlie Hebdo (non a caso, divenuto baluardo di civiltà anche per coloro che diffondono islamofobia e razzismo) e la fugace apparizione del FUAN in Università.
Al netto delle critiche, riteniamo che a post-fascisti e neo xenofobi di qualsiasi risma non si debba lasciare alcuno spazio di propaganda – e rispediamo al mittente le accuse di barbarie che ci vengono mosse, a meno che, per osmosi, non si voglia sostenere che l’antifascismo ne sia un esempio. Se Zagrebelsky è pronto a sdoganare il pensiero di chi una volta gestiva la libertà d’espressione con il confino e l’olio di ricino in nome di una non meglio definita “guerra alla barbarie” (che, ci dispiace dirlo, ma a noi puzza fin troppo di “scontro di civiltà”) si faccia avanti. Ma sappia che sta sbagliando campo di battaglia.
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