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Beppe Grillo, quando il topo si mangiò il gatto

Ma per quali motivi il gatto,  il movimento 5 stelle, si è fatto mangiare dal topo della politica istituzionale?
C’è un motivo forte di cui tener conto. Le elezioni amministrative sono un processo politico molto diverso da quelle per il parlamento. Anche nelle dimensione metropolitana romana.  Il  mainstream mediale, che nei mesi scorsi aveva giocato a favore di Grillo ingigantendone l’assenza dalle tv, per vincere sui territori è solo un’arma tra quelle a disposizione. Arma che non può essere usata da sola, pena il lancio di un canditato senza radici, e che deve essere sovrapposta ad una serie di processi di comunicazione territoriale. Per questo motivo candidature senza volto, anche se si accompagna a quello di Grillo, alle amministrative non funzionano più. E’ già una fase differente dalle amministrative 2012 quando il voto al M5S , trainato dal brand Grillo, funzionava come avvertimento complessivo al ceto politico che occupa la centralità della scena politica da due decenni. Le elezioni politiche sono passate, un’altra tornata non è ancora in vista, e quindi questo processo di comunicazione politica tramite avvertimento non funziona più. Candidare sui territori figure anonime , che non dicono niente ai processi di comunicazione territoriale, stavolta non fa scattare il processo di identificazione da folla solitaria che riconosce sé stessa. Magari in lotta contro “la casta”. Scatta piuttosto quello dell’astensionismo e del  distacco da personaggi, pratiche, proposte, linguaggi  nei quali il territorio non si identifica.

Perchè da una parte l’elettorato giovanile, richiamato in servizio alle politiche dall’ascesa di Grillo, letteralmente non vede la dimensione della politica territoriale. E se trova figure anonime si allontana.Dall’altra l’elettorato tradizionale, quello che rimane sul territorio a votare, non riconosce candidati che si presentano come “persone senza qualità”, medie e e della società civile, senza che oggi tutto questo sia riconosciuto come una qualità. Nella dinamica complessiva di astensionismo, prodotta a questi fenomeni, i residui, sociali ed umani, dell’elettorato Pd-Pdl finiscono per così per contare. E’ il destino di quelle che sono chiamate le democrazie mature. Quel modello anglo americano in cui vota un elettore su due, dove i ceti sociali più sono subalterni e più sono spoliticizzati,  nel quale una minoranza coagulata in una forma simulacrale di opinione pubblica diviene maggioranza elettorale e viene rappresentata come maggioranza politica e spesso come unico soggetto sul campo.

Sappiamo che nel M5S ci sono persone che lavorano per colmare il profondo gap esistente tra  conoscenze, competenze possedute nel movimento e realtà politica. Gap che, in alcuni casi, è impressionante. Ma non è colpa di nessuno. Anzi è indice che i saperi che contano, quelli che effettivamente danno competenza, non sono immediatamente a disposizione della società ma sono privatizzati, bene di mercato indisponibile al collettivo.Ma effettivamente la buona volontà non basta. Il  M5S può invertire la tendenza, che vuole privatizzati i saperi utili per l’emancipazione della società, sono se si contamina con pratiche, linguaggi, saperi politici complessivi e realmente radicati nella dimensione territoriale.  E se entra in una dimensione del lavoro politico maggiormente aderente a tutto lo spettro linguistico e comunicativo della dimensione locale. Se, culturalmente parlando, si imbastardisce.

A livello nazionale l’incedere della crisi potrebbe riportare in sella Beppe Grillo magari azzeccando le campagne di comunicazione. A livello dei territori per il movimento 5 stelle il lavoro è più difficile ma, se ben fatto, probabilmente più prezioso. Intanto però il topo si è mangiato il gatto. Il teatro delle ombre della politica vive di questi paradossi.

Per Senza Soste, Nique la police

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