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Gigi di Maio, o del M5S al tempo della normalizzazione

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Con la scelta di Luigi di Maio come candidato premier, elaborata dal M5s attraverso un mix originale di dirigismo plebiscitario e strumenti democratico-elettoralistici, e l’inizio della personale campagna elettorale di quest’ultimo, sembra aprirsi una nuova fase nello sviluppo del partito pentastellato. Con questo breve articolo ci proponiamo di avanzare alcune considerazioni che possano essere d’aiuto allo sviluppo di un dibattito finalizzato a consentire una comprensione il più lucida possibile di questo fenomeno.

II Movimento 5 stelle, da quando ha fatto il suo prepotente ingresso nello scenario politico italiano, ne ha sempre rappresentato il suo elemento più controverso ed enigmatico, costituendo in qualche modo la sua specificità anomala nonché il suo perno imprevisto e, allo stesso tempo, ineludibile; una sfilza di sociologi, politologi e statistici si sono per anni affaccendati con l’intento di fare emergere la genealogia degli elementi che ne costituiscono la innegabile eccezionalità, senza riuscire, nella maggior parte dei casi, a riabilitare chiavi di lettura abbastanza rigide da permettere di ricondurre il fenomeno 5 stelle all’interno di paradigmi consolidati e preconfezionati.

D’altronde lo stesso percorso del Movimento è stato tutt’altro che esente da una serie di sterzate e singulti che ne hanno influenzato la traiettoria fino ai nostri giorni: impennate improvvise e bruschi crolli nei consensi e nell’efficacia sul piano elettorale, sommati a cambiamenti repentini di alcuni elementi del discorso pubblico e delle pratiche politiche di vario livello – dai più azzeccati posizionamenti a veri e propri disastri comunicativi – hanno segnato lo sviluppo controverso del progetto Grillo-Casaleggio fin dalle sue origini.

Proprio per queste ragioni, il fatto stesso che, a differenza di quanto era stato proclamato dagli esperti della prima ora, il fenomeno 5 stelle non possa in alcun modo essere considerato come effetto di una vampata caduca, legata a questioni congiunturali di breve termine, ma sia ormai da considerarsi come elemento endemico della politica italiana per ancora diverso tempo, non ci autorizza a trattarlo come un mero dato di fatto, ma ci stimola anzi a elaborare categorie in grado di darci ragione della sua mutevolezza e liquidità.

In virtù di questa constatazione riteniamo che per comprendere effettivamente lo stato dell’arte attuale sia necessario partire dal considerare alcune contraddizioni di fondo con cui ha dovuto più volte confrontarsi la variopinta galassia del Movimento e rispetto alle quali la configurazione appena emersa risulta essere, rispetto alla fase precedente, un nuovo e originale stadio di equilibrio provvisorio.

– L’evoluzione del M5s attraverso le sue principali contraddizioni.

La prima grande questione che fin dall’exploit delle elezioni politiche del 2013 è stata al centro del dibattito sul m5s riguarda l’ambivalenza che contraddistingue quest’ultimo nel suo oscillare tra l’essere il partito della protesta e un potenziale partito di governo. Questo tema, a patto di considerarlo al di là di tutta la retorica che ne hanno fatto gli ambienti governativi e governisti legati ai partiti tradizionali, costituisce un elemento chiave.

Da un lato infatti il m5s rappresenta senza ombra di dubbio il partito della protesta per eccellenza. Primo nel suo genere nell’Europa post-crisi, in ragione della sua malleabilità organizzativa e duttilità ideologica, ha saputo più di ogni altro nel continente raccogliere il dissenso diffuso tra varie categorie di estromessi e impoveriti generati dalla recessione; a questo proposito, tra l’enorme varietà di tematiche su cui si è concentrata in varie congiunture la protesta dei grillini, dalle spesso sacrosante battaglie ambientali alla molto più scivolosa polemica sui vaccini, spicca senza dubbio la durissima campagna anti-casta.

Elemento costitutivo del m5s fin dalla prima ora, la crociata contro gli impuniti e i corrotti, eredità della sezione legalista dell’anti-berlusconismo, è sempre stata uno dei suoi principali cavalli di battaglia, costituendo tuttavia in alcuni casi, specie negli ultimi anni, la punta di un’arma a doppio taglio che ha dato argomenti a vari contestatori, sia dall’esterno che dall’interno.

Questo ci porta all’altra faccia della medaglia: se infatti può essere semplice inveire contro le mele marce del sistema, non sempre è altrettanto scontato comprendere come spesso gli elementi di corruzione siano molto più profondi di quel si potrebbe pensare e, tanto più, risulta difficile sottrarsene quando ci si trova ad avere a che fare con quegli stessi ambiti istituzionali le cui disfunzionalità erano state attribuite a responsabilità personali. Sotto questo profilo è evidente come col tempo, alla prova della complessità reale degli apparati politico governativi, la purezza grillina sia stata decisamente scalfita.

Le prime esperienze civiche su piccola scala, tutto sommato ben gestite, sembrano un ricordo lontano a confronto con il vaso di Pandora sollevatosi attorno all’esperienza romana e con gli strafalcioni di Genova e Palermo, per citare due dei più noti, che hanno segnalato la difficoltà da parte dei grillini di attestarsi al livello della propaganda all’aumentare della complessità dei fenomeni da gestire. Il civismo del primo m5s, ossia l’idea di governare il paese con la stessa trasparenza con cui si possono governare i comuni, è via via sembrato meno credibile; preservare intatte le regole nate per garantire la purezza dei membri interni, sempre più complesso.

A treno di questa contraddittorietà essenziale si è sviluppata, come noto, la disputa intestina tra ortodossi e realisti, gli uni convinti della necessità di perseverare in direzione delle parole d’ordine della prima ora, i secondi sempre più intenzionati a sporcarsi le mani e sacrificare la verginità originaria a beneficio di un bene superiore: il governo.

In questo ambito sembra si sia giunti ad una nuova fase: la scelta di Di Maio come candidato premier, per quel che significa in sé e per come ci si è arrivati, certifica l’intenzione dei vertici del Movimento di attestarsi sulla posizione realista, mandando un chiaro segnale ai detrattori. Se da un lato infatti la scelta di dI Maio è di per sé un inequivocabile endorsment in direzione dei pragmatici, di cui il senatore è da sempre il maggiore esponente, dall’altro non va sottovalutata l’importanza della forma con cui è avvenuta la contesa.

Gli anonimi rappresentanti delle esperienze locali, nell’ambito di quella che è stata da più parti definita una farsa elettorale, si sono infatti eclissati a confronto con il volto nazionale del partito; questo non significa altro se non che l’uomo qualunque, il cittadino onesto, forma antropologica a cui ha sempre rimandato l’ideologia grillina, d’ora in avanti potrà continuare a sussistere come richiamo propagandistico, come elettore o al limite come militante locale, ma ai piani alti la politica dovrà rimanere, anche nel partito del nuovo millennio, in ultima istanza appannaggio di professionisti.

Connesso molto strettamente a questo punto c’è un secondo grande dilemma entro cui hanno dovuto a lungo barcamenarsi i pentastellati, ossia il rapporto ambivalente tra la necessità di fare i conti con un ruolo di fatto partitico e l’ambizione di costituirsi come un movimento, fenomenologicamente evidente già dal contrasto tra il nome dell’organizzazione e il suo ruolo istituzionale. Anche su questo punto bisogna far attenzione a non limitarsi alla sterile polemica; per comprendere effettivamente questo aspetto è necessario infatti evitare di cadere in semplicismi: dire che il m5s è un partito che vuole chiamarsi movimento è fin troppo banale e, invero, occulta molti aspetti del problema. D’altro canto non ha neppure senso, almeno in questa sede, perdersi in troppi tecnicismi su quanto e come i due elementi si mescolino e se e fino a che punto sia lecito attribuire al m5s essenzialmente uno dei due.

Quel che ci interessa è segnalare qualcosa di più semplice e fondamentale: avere avuto entrambi gli elementi è stato, per i pentastellati, una fonte costante di problematicità e sconvolgimenti. Da un lato, infatti, l’aspirazione movimentistica ha dato opportunità ai grillini di aprirsi ampi spazi alla società civile, sostituendo di fatto le obsolescenze dei partiti tradizionali; dall’altro, a partire dalla necessità di riorganizzazione per far fronte ai crescenti disordini interni, si è creata nel tempo, a cominciare dalle prime espulsioni sommarie, una complessa articolazione verticistica a più livelli, che ha creato un sistema di gerarchie, punti di riferimento, correnti e blocchi di potere.

Allo stesso tempo, la necessità di confrontarsi con l’ostile mondo esterno ha dato vita, sia in parlamento che sulla scena pubblica, a una pluralità di nuovi ruoli che hanno ulteriormente contribuito a complessificare la stratificazione nel m5s, sia ai piani mediani dell’organizzazione che in relazione alla sua base sociale. Nel corso di questo lungo processo si sono sviluppate le più dure e spettacolari spaccature intestine, di cui il famigerato scontro tra integrati e dissidenti, che a più riprese ha messo in grave difficoltà i grillini.

Anche in relazione a questo scenario i recenti sviluppi sembrano segnalare un nuovo stadio: la scelta di Di Maio, non solo il principale rappresentante del partito dei fedeli della prima ora, ma anche l’uomo con il maggior potere istituzionale e il più marcato ruolo pubblico, non può che segnalare una deciso punto fermo posto dai vertici del Movimento in merito alla questione della critica e dell’organizzazione interna.

Il tema dell’organizzazione d’altro canto ci conduce immediatamente al terzo punto che ci è sembrato importante segnalare: la controversia tra le pretese totalizzanti del programma politico massimo e la necessaria parzialità entro cui il discorso politico può svolgersi. La democrazia diretta del web, vero punto ideologico del programma di Grillo e Casaleggio, per come è stata pensata dai suoi profeti, cioè un obiettivo da attuarsi tramite le opportunità offerte dalle piattaforme informatiche, presenta infatti come limite intrinseco il proposito di realizzarla al di là delle condizioni materiali, nell’autonomia dell’elemento politico rispetto alla realtà dei rapporti infrastrutturali. Questa pretesa ha dato il via alla feticizzazione del medium, e lo strumento democratico o, meglio ancora, la pratica elettoralistica si è presentata ai pentastellati come la strada maestra tramite cui costruire i presupposti di una società nuova.

Questo clamoroso abbaglio teorico non ha tardato a dare i suoi frutti e il vaglio del programma Ruoseaau, piattaforma web per l’esercizio della democrazia diretta dentro il m5s, è stato mandato per la prima volta in rete negli scorsi mesi, poco dopo la morte di Gianroberto Casaleggio, a coronamento dei sui sforzi in questa direzione. Al di là dei condonabili problemi di funzionamento, tuttavia, questo fantomatico strumento chiaramente non ha potuto e mai potrà di per sé consentire il superamento delle contraddizioni sociali profonde che determinano lo scontro politico, non più di quanto abbiano fatto i suoi predecessori. Al netto infatti delle pretese universalistiche dei 5 stelle, persino all’interno del Movimento si sono sviluppate controversie politiche tanto accese da far nascere entro esso delle vere e proprie correnti.

Quelle che sono state definite – impropriamente forse ma quel che importa è il significato che hanno e non il nome che le si dà – della destra e della sinistra. Al di là delle definizioni quello che conta è che all’interno del m5s ci sono state in questi anni delle posizioni ideologiche contrastanti che hanno fornito l’opportunità di diverse traiettorie politiche possibili; il fatto che, da tutto lo spettro degli schieramenti politico istituzionale siano arrivati ammiccamenti ai 5stelle non significa altro se non che i confini ideologici dei grillini sono mal definiti e che permangono all’interno del Movimento delle controversie potenzialmente esplosive.

Anche su questo la scelta di Di Maio sembra essere un punto decisivo; il parlamentare 5 stelle infatti, per le sue posizioni su vari temi, su tutte quella in materia di immigrazione, e i suoi ammiccamenti recenti alla borghesia nazionale – di cui si dirà meglio più avanti – rappresenta senza dubbio uno degli elementi di quella che è stata definita la destra dei 5 stelle, cosa che non può che risultare gravida di conseguenze per il futuro del movimento.

– Ancora due parole su chi è e cosa rappresenta Di Maio.

Queste considerazioni di fondo tuttavia non sarebbero ancora sufficienti alla costruzione di un abbozzo della fase che sta attraversando il m5s se non si aggiungesse qualcosa sulla figura chiave di questo cambio di corso: Luigi Di Maio.

Di soli 31 anni, Luigi di Maio è stato il più giovane vicepresidente della camera della storia della politica italiana. Canzonato a più riprese, spesso a ragione, dai media main stream e dai social network, è noto in gran parte ai non addetti ai lavori attraverso la figura caricaturale che gli è stata volutamente cucita addosso. La sua presunta ignoranza, emersa tramite le gaffe più svariate sugli argomenti più disparati, su tutto il suo spesso scorretto utilizzo dell’italiano, ne ha fatto una creatura prelibata per i detrattori di ogni genere. Tuttavia questa non del tutto lusinghiera immagine pubblica, che per altro lo colloca nella media dei politicanti nostrani, in gran parte oscura le sue abilità, che ne hanno fatto un ottimo carrierista nello scenario politico del nostro paese. Grazie ai privilegi annessi al suo ruolo, che gli consente di avere uno staff e una segreteria, egli ha infatti saputo costruirsi una fitta e solida rete di consenso nell’opinione pubblica e negli apparati istituzionali e di partito.

Tra le personalità più vicine al candidato vi sono infatti uomini di contatto con il mondo imprenditoriale, lobbisti di ogni genere ed esperti nella comunicazione, che in questi anni hanno collaborato alla costruzione della figura di Di Maio come centro di gravità del mondo 5 stelle. Questa rete di fiducia, composta in buona parte da abili professionisti del mestiere, ha consentito al giovane deputato di posizionarsi nel modo migliore sulla scacchiera politica all’interno e all’esterno del Movimento.

Sul piano delle controversie interne Di Maio è infatti stato abile a legarsi da subito con i vertici del Movimento, rappresentando da sempre la corrente più vicina a Grillo. Pragmatico e leale al leader è riuscito inoltre ad essere il volto pubblico più influente nel m5s, rappresentandolo nei momenti più delicati e sforzandosi di renderlo gradevole ai poteri interni e internazionali. Il mix di scelte politiche sagge e reti di relazioni costruitesi attorno gli ha quindi permesso di prevalere sui suoi concorrenti più temibili, su tutti Di Battista e Fico.

Per quel che riguarda invece il piano più direttamente politico, in vista delle ormai prossime consultazioni elettorali, il deputato sembra avere avanzato una strategia che gli possa consentire di sottrarre terreno ai suoi avversari principali, sfidando la lega sul piano del populismo e il pd sul piano della credibilità nei confronti delle lobby nazionali. Da un lato, nel tentativo di cavalcare l’ondata reazionaria alimentata dai sentimenti razzisti, ha da sempre rappresentato la linea dura del movimento in tema di sicurezza ed immigrazione, esponendosi in dichiarazioni abbastanza nette da dare adito, in un certo periodo, a voci di una possibile intesa tra m5s e Lega. D’altro canto, a questo genere di retorica pubblica, ha saputo legare un sapiente opera di avvicinamento ai poteri economici del paese, strizzando l’occhio al mondo imprenditoriale.

Le uscite sul piano internazionale degli scorsi mesi, finalizzate ad accrescere l’autorevolezza pubblica del deputato, sono state infatti il trampolino di lancio per un più delicato lavoro verso i rappresentanti del capitalismo nazionale portato avanti con particolare insistenza nelle ultime settimane. In proposito vale la pena menzionare il discorso tenuto dal neo candidato al Festival del lavoro di alcuni giorni fa, uno dei primi dopo la candidatura ufficiale, che può essere a giusto titolo collocato tra i peggiori atti propaganda neoliberale provenienti dall’universo grilllino.

La proposta di Smart Nation avanzata in quella sede, giustificata sulla base di un’ormai un po’ fuori moda fiducia sul ruolo delle piattaforme tecnologiche nella creazione di posti di lavoro stabile, accompagnata all’attacco alle organizzazioni dei lavoratori, fa trasparire nei fatti la disponibilità di Di Maio ad essere prosecutore, in caso fosse eletto, della linea dei suoi predecessori nel campo delle politiche del lavoro, nella direzione della precarizzazione, della riduzione dei salari e dell’erosione del reddito.

In sintesi possiamo dire che nella fase attuale, per equilibrare le pulsioni interne in vista dell’appuntamento elettorale, i 5 stelle hanno deciso di puntare sull’elemento più integrato nelle reti di potere istituzionali, in grado allo stesso tempo di parlare alla pancia più reazionaria del paese e a vari settori dell’establishment. La decisione di caricare su Di Maio le energie della vicina campagna elettorale rappresenta la volontà dei vertici del Movimento di solidificare ad un specifico stadio i rapporti di forza interni e orientare verso una direzione determinata il prossimo futuro del m5s. Questa scelta, che indubbiamente segnala un marcato spostamento a destra del Movimento di Grillo, tuttavia non vale di per sé a cancellare le tensioni intrinseche nel m5s, i cui effetti potranno nuovamente manifestarsi in qualunque momento dando il là a nuove possibili conformazioni.

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