Crisi del covid19: dare la priorità alla riproduzione sulla produzione
Dal sito Contretemps traduciamo un importante contributo della militante femminista Aurore Koechlin. Il colpevole ritardo dello Stato francese nell’affrontare l’emergenza sanitaria ha visto un rapido precipitare della situazione oltralpe. Dopo aver inizialmente minimizzato l’emergenza anche per permettere lo svolgimento del primo turno delle elezioni amministrative, Macron, il 16 marzo con un discorso alla nazione ha adottato alcune misure di prevenzione per arginare il contagio. “Siamo in guerra”, ha dichiarato. I ritardi, i tentennamenti nel chiudere le scuole e le università, la protezione delle attività produttive e tutte le iniziative contradditorie delle istituzioni francesi in questi giorni segnalano da un lato l’impreparazione degli stati occidentali davanti a questa crisi e dall’altro le loro prime priorità nell’affrontarla: proteggere la produzione, evitare il tracollo economico e pertanto tutelare l’umano come forza-lavoro necessaria alla riproduzione di sé stessa e quindi all’estrazione di valore. Chi tutela e per cosa la riproduzione delle dimensioni proletarie in questa crisi? Se il capitalismo non può risolvere da sé le proprie contraddizioni è ciò che dai suoi rapporti viene occultato – il lavoro riproduttivo – che in questa fase di crisi emerge come possibile variabile indipendente rispetto alle strategie di gestione capitalistica della crisi. Siamo lontani da fini di alterità ma nella stessa sopravvivenza vissuta come tendenziale autorganizzazione della riproduzione esiste un terreno di politicizzazione che già ora esprime concreti rapporti di forza nella società ostili alle esigenze di accumulazione capitalistica.
Nel libro I del Capitale, Marx paragona il capitalismo a un vampiro che non smette mai di succhiare la vita dei lavoratori e delle lavoratrici: con questa immagine, mostra come il movimento “naturale” del capitalismo sia quello di consumare al massimo la forza lavoro, poiché idealmente il lavoro, per generare profitti, non dovrebbe mai fermarsi, ed essere operativo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.
Secondo le testimonianze, tra le altre, di Marx ed Engels, per tutta una parte del XIX secolo, si trattava di lavorare fino alla morte. Storicamente, è stata la lotta di classe che ha contribuito a regolare l’appropriazione della forza lavoro da parte dei capitalisti. Ma ciò è dovuto anche ai limiti interni alla riproduzione [1] della forza lavoro: se i capitalisti “consumano” la vita dei lavoratori troppo rapidamente senza consentire alle nuove generazioni di raggiungere l’età lavorativa, allora assistiamo ad una crisi nella riproduzione della mano d’opera. E senza forza-lavoro, nessun plus valore…
Se esiste una contraddizione fondamentale tra produzione e riproduzione sotto il capitalismo (la riproduzione della forza lavoro richiede necessariamente la sua protezione, che riduce la produzione), tuttavia, quest’ultima è una sorta di limite che non può essere superato dal capitalismo. Vi è quindi davvero una necessità imperativa per il capitalismo di riprodurre la forza lavoro, oltre a produrre plusvalore. Ma, nella normalità delle cose, questa necessità viene occultata alla maggior parte delle persone, e – a ben vedere – agli occhi della maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici. Il lavoro riproduttivo, per lo più ancora fatto in casa, è invisibilizzato. Per estensione, diamo poca considerazione al lavoro riproduttivo, sebbene sia vitale per la nostra semplice sopravvivenza.
In questo momento, nel mezzo della crisi del coronavirus, quando l’intera economia è inattiva, e ci preoccupiamo per quello che mangeremo stasera, se saremo in grado di vedere i nostri genitori, i nostri figli, ecc. la domanda si ripresenta con chiarezza ai nostri occhi. Ma se diventa visibile e materiale su una scala individuale, è anche visibile ai capitalisti. Lo è sotto forma di una sirena di emergenza generata dalla progressione sproporzionata del neoliberismo, che mette in pericolo persino le condizioni stesse della nostra vita. Se la produzione è senza limiti, la necessaria riproduzione la sostiene. La crisi del coronavirus può essere interpretata in questo senso.
Così, le misure del governo per affrontare il coronavirus sono indicative della situazione di crisi che stiamo attraversando. Perché, anche se arrivano criminalmente in ritardo proprio perché i capitalisti hanno favorito per molti mesi la produzione rispetto alla riproduzione (qui, intesa come la salute dei lavoratori e delle lavoratrici), il loro livello di reazione è un indicatore dell’entità della minaccia.
Chiusura dei luoghi di istruzione, chiusura delle attività commerciali non essenziali, massima sostituzione del lavoro con il telelavoro, quindi inizio della quarantena … Le misure sono importanti e impressionanti. Inoltre, sui social network molti hanno ironizzato sulla svolta a “sinistra” di Emmanuel Macron: elogi per i servizi pubblici al di fuori della legge del mercato, sospensione dei licenziamenti, promessa di trarre successivamente “tutte le conseguenze” della situazione … In realtà, questa politica è rivelatrice di due cose.
Innanzitutto, questo “flash keynesiano”, come lo chiama Romaric Godin, è un duro colpo politico. Macron fa una scommessa: mentre è uno dei presidenti più odiati della Quinta Repubblica, se riesce a gestire la crisi, salva il suo mandato. Nulla gli costa quindi assumersi quei servizi pubblici che ha ereditato e che ha persino tentato in ogni modo di distruggere: ora che sono in atto, ha tutto l’interesse a difenderli a parole (perché i fatti sono un’altra cosa…). Se questo è ciò che consente alla Francia di gestire la crisi del coronavirus, potrà farlo valere come il suo bilancio: precetta in un certo senso i servizi pubblici.
È anche in questo senso che dobbiamo interpretare il pacchetto di questo nuovo volto di padre della nazione al di sopra dei conflitti sociali, Macron. Fa appello ai lavoratori e alle lavoratrici, fa appello ai padroni, in pura tradizione gollista. Promulga le linee guida generali sul contenimento, lasciando ai suoi ministri la cura dei dettagli pratici (piuttosto poco controllati): che importa, lui è al di sopra di queste questioni banali. Può persino, grande principe, permettersi di rimandare la riforma delle pensioni. Il che è intelligente, perché alla fine gli lascia la porta aperta per rimandarlo sine die, se considera il costo politico troppo alto: potrà sempre argomentarlo con il coronavirus.
In breve, per Macron, il coronavirus può essere un vantaggio politico e non dobbiamo lasciarci ingannare da questa messa in scena del salvatore. Al tempo stesso, dobbiamo riconoscere che la rappresentazione è ben eseguita. Mettere in atto misure progressive, basate innanzitutto sulla convinzione meno che sulla repressione (come evidenziato dal leit motiv di Castaner: “Il nostro obiettivo non è sanzionare”) è intelligente … Ma insufficiente. Queste misure avrebbero dovuto essere prese due settimane fa, come ha suggerito una Agnès Buzyn piena di rimorsi, rivelando una delle menzogne di Stato più terribili mai sentite. Prese solo ora (queste misure ndt), non evitano migliaia di morti, che altrimenti avrebbero potuto essere salvati.
Allo stesso modo, come possiamo spiegare l’incompetenza di un governo incapace di anticipare che la situazione che si prospettava con la pandemia in arrivo? Non ci sono state le grida di allarme dalla Cina e dall’Italia? Com’è possibile che ad ora non siamo in grado di mettere in atto quelle che i medici hanno ritenuto essere le azioni più efficaci: screening e trattamento di massa? Come mai ci manca l’attrezzatura medica di base, le maschere e il gel idroalcolico, e le attrezzature più necessarie, come gli apparecchi di rianimazione?
In secondo luogo, queste misure sono indicatori della portata della crisi. Sono, in un certo senso, misure di emergenza capitalistiche per prevenire una grave crisi riproduttiva su larga scala. Ma i limiti che il capitalismo incontra per salvare la riproduzione sono sempre gli stessi: sono quelli della produzione. Così, anche se Macron fa una chiamata alla responsabilizzazione di ognuno/a, intanto invia il segnale opposto, continuando a spingere le persone ad andare al lavoro, anche in settori non essenziali. E, dal lato dei settori essenziali, le misure non sono all’altezza degli operatori sanitari o delle persone che lavorano nel settore alimentare, settori che sono enormemente femminilizzati in quanto partecipanti alla riproduzione: sarebbe necessario fornire a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici maschere FFP2 e gel idroalcolici e dotare questi settori dei miliardi che invece andranno alle imprese.
Il capitalismo non può risolvere da solo le sue contraddizioni. Spetta ai lavoratori e alle lavoratrici imporre le proprie condizioni. Attualmente la priorità va rivolta alla riproduzione piuttosto che alla produzione. Il denaro deve essere destinato prima ai settori della sanità e dell’alimentazione. Bisogna nazionalizzare le aziende di fabbricazione di materiale medico indispensabile in questa situazione.
Infine, per aver tardato tanto nell’intervenire, riscontriamo limiti nelle nostre capacità mediche e tecniche; e per la velocità della propagazione del virus, un’altra misura centrale deve essere il confino totale di quarantena fuori dai settori indispensabili alla sopravvivenza collettiva. Chiaramente questo confino deve essere idealmente il frutto di una decisione collettiva, dal basso, e non imposto da una decisione imposta autoritariamente dal governo. Ma rinveniamo allo stesso tempo la doppia difficoltà di mobilitare in un periodo in cui la mobilitazione va contro la sicurezza e di innalzare il livello di consapevolezza delle persone davanti al pericolo.
Questo è anche il risultato di una ignoranza globale della medicina e della salute in generale, la quale non è considerata come un dominio di sapere generale e deve essere inculcata seriamente a tutti/e. Ne paghiamo ora i costi e questo deve spingerci a ripensare il rapporto che le nostre società intrattengono con i saperi medici in generale.
Non di meno, in questa situazione, noi, militanti e sindacalisti, non siamo disarmati/e. L’informazione, innanzitutto, è essenziale, soprattutto l’informazione documentata. Dobbiamo rendere disponibile e accessibile un’informazione affidabile per il nostro campo sociale. Inoltre, lo sciopero deve permettere di imporre la chiusura dei settori non essenziali, di pretendere condizioni di lavoro rispettose delle norme di sicurezza per i settori essenziali, come ci ha mostrato l’Italia.
Questo è già il caso di molti luoghi di lavoro, e si propaga come un incendio con gli sciopero nei settori dell’aeronautica, nei cantieri dell’Atlantico, nelle fabbriche di assemblaggio di Le Havre, la General Electric in Borgogna, la PSA a Mulhouse, Amazon… è su questa via che bisogna battere.
In ultimo, perché i settori della produzione sono chiusi, e dopo aver a lungo disprezzato questo modo di organizzazione, siamo allora obbligati a pensare l’autorganizzazione della riproduzione. È al livello dei condomini, dei quartieri che si hanno al momento delle iniziative di solidarietà. Può trattarsi di esperienze inedite, allo stesso tempo di crisi estrema come quella attuale e di riorganizzazione della riproduzione. Sono questi del resto gli ultimi spazi di politicizzazione a eccezioni dei social network e dei pochi luoghi di lavoro che restano aperti, perché i limiti della casa, del palazzo, sono i limiti ultimi dei rapporti sociali possibili, tutto al momento per certo secondo le regole di sicurezza.
Ora più che mai, il privato è politico!
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[1] Ci riferiamo qui alla teoria della riproduzione sociale. Definiamo come lavoro riproduttivo tutto il lavoro di (ri) produzione di forza lavoro. È distribuito in tre aree principali: famiglia (lavoro domestico), servizi pubblici (istruzione, salute) e servizi personali.
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