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Egitto: la vendetta dello Stato di Polizia

 

Mentre la violenza in corso in Egitto ha contribuito ad uno stato di confusione e polarizzazione, una cosa è certa: il più grande pericolo che affronta l’Egitto rimane il ritorno dello stato di polizia. Più nello specifico, il pericolo riguarda non solo la ricostituzione di uno stato di polizia – che non se ne é mai andato davvero dalla cacciata di Mubarak – ma anche il ritorno dell’implicita, se non aperta, accettazione delle pratiche repressive dell’apparato coercitivo. Riguardo a ciò, l’attuale fronteggiamento tra lo stato ed i Fratelli Musulmani possiede un potenziale veramente dannoso. Il diffuso sentimento anti-Fratelli Musulmani sta attualmente fornendo allo stato la legittimità dell’uso della forza contro la Fratellanza e, in futuro, una potenziale copertura per usare simili tattiche anche contro altri oppositori.   C’è un problema nel modo in cui le forze di sicurezza hanno violentemente disperso i sit-in in favore di Mohamed Morsi, persino nelle affermazioni che entrambi i sit-in di Nahda e Rabaa fossero armati. A prescindere dal fatto che si sia d’accordo o meno con i Fratelli Musulmani o con gli obiettivi dei sit-in, l’assassinio di oltre cinquecento persone va contro ogni senso della decenza e della moralità umane. L’utilizzo di individui disarmati come scudi umani da parte dei manifestanti armati è altrettanto spregevole e riprovevole. Oltre le serie considerazioni morali in gioco, restano altri problemi.   La dissoluzione forzosa di Rabaa e Nahda segna il trionfo delle soluzioni securitarie su quelle politiche – un trend che ha caratterizzato buona parte dell’era di Mubarak. Le soluzioni securitarie raramente risolvono un problema senza il supporto di un percorso di azione politico, che sembra mancare nel nostro attuale contesto. Non c’è dubbio che i leader dei Fratelli Musulmani abbiano una lunga storia di inadeguato comportamento negoziale, mostrando un’estrema testardaggine, e mancando di ottemperare ai propri obblighi concordati in molte occasioni, al potere ed all’opposizione. Ma ciò è esattamente il motivo per cui avere a che fare con loro richiede un approccio politicamente avveduto, invece di affidarsi alle soluzioni securitarie, che rafforzeranno solamente la rigidità della Fratellanza, per non parlare dei pesanti costi umani associati a tali misure.   Al contrario, l’esercito ed il governo suo protetto hanno scelto un percorso aggressivo e securitario. Questo percorso non farà altro che potenziare ulteriormente l’apparato coercitivo senza garantire alcun risultato in termini di stabilità politica e pace sociale. Mentre i gruppi estremisti vengono spinti nella clandestinità, i leader securitari troveranno scuse per impiegare misure invasive di sorveglianza, interrogare, torturare ed abusare, tutto ciò senza alcuna trasparenza e responsabilità. I sostenitori della repressione tra coloro che si oppongono alla Fratellanza lo accetteranno con piacere. A rinforzare questo trend c’è il fatto che la repressione ha evidentemente potenziato gli elementi radicalizzati tra i sostenitori del deposto presidente.   Alcuni potrebbero dire che l’influenza crescente del settore securitario sarà limitata solamente all'”antiterrotismo” ed ai gruppi estremisti islamisti che sposano la violenza. Vi sono chiari segnali che non sarà questo il caso. Ad esempio, immediatamente prima del giro di vite contro i sit-in dei Fratelli Musulmani, i generali in pensione hanno preso il controllo delle cariche di governo in una maggioranza schiacciante di province. Per molti, questo è un chiaro segnale che lo stato ha optato per “securizzare” la governance, e le fila politiche.   In aggiunta, coloro che credono che il settore securitario non oltrepasserà i propri limiti sottovalutano chiaramente la lunga storia d’intrusione dello stato egiziano negli affari politici e privati nel nome dell’antiterrorismo e della sicurezza nazionale. Data quella ricca storia, potremmo concludere con sicurezza che oggi le agenzie d’intelligence nostrane stiano rapidamente ottenendo un assegno in bianco per intromettersi nei nostri affari per il bene della sicurezza nazionale. Presto agli egiziani verrà richiesto di sostenere il loro governo rispetto a qualsiasi decisioni prenda, sulla base che esso sia in prima linea nella lotta contro “gli islamisti violenti”. Gli oppositori politici di tutti gli orientamenti saranno vulnerabili all’accusa di essere arrendevoli con il “terrorismo” o in favore degli “islamisti radicali”. Importerà a qualcuno nello stato confuso di insicurezza?   L’Egitto, in altre parole, è su una strada pericolosa. Ci sono molte ragioni per credere che le forze di polizia impiegheranno le loro pratiche brutali su scala paragonabile all’epoca di Mubarak. L’establishment poliziesco stesso non è cambiato in nessun modo, non è mai stato riformato e mai tenuto a riferire dei suoi crimini passati. Il Ministro dell’Interno Mohamed Ibrahim ha persino segnalato che un tale regresso sia imminente, promettendo che “la sicurezza sarà ripristinata in questa nazione come e più che prima del 25 Gennaio”.   I taciti sostenitori dello stato securitario risponderanno che non c’era altro modo, che non c’era spazio per negoziare con la Fratellanza, e che la dissoluzione forzosa dei sit-in fosse necessaria.   Tale risposta, tuttavia, sottovaluta i grandi limiti della soluzione securitaria al problema sottostante, vale a dire che invocare la polizia – non riformata e carente di addestramento appropriato – per risolvere lo stallo tra la Fratellanza ed il governo è come chiedere ad un macellaio di fare il lavoro del cardiochirurgo. In aggiunta, si potrebbe controbattere e domandare: era necessario che la polizia prendesse di mira civili disarmati muniti di fotocamere? Era necessario che le forze di sicurezza sparassero alle folle disarmate? Era necessario che la polizia lasciasse sguarnite tutte le chiese che hanno subito attacchi in seguito alla dissoluzione dei sit-in?   Ma mettendo da parte le analisi di ciò che la polizia avrebbe potuto fare in modo diverso, resta che la recente violenza ha solamente approfondito l’affidamento della gente sullo stato securitario ed esenterà i politici dall’escogitare soluzioni alle differenze politiche. Con l’aumento del conflitto sociale, particolarmente lungo linee settarie, i servizi di sicurezza riotterranno ancora una volta il loro ruolo tradizionale di arbitro di questi conflitti, oltre alla loro licenza di impiegare tattiche violente e repressive. Questo sostenuto senso di insicurezza farà solamente divergere l’Egitto dalla giustizia reale. Con il potenziamento del settore securitario, non ci sarà alcuna ragione o motivazione per spingere per rivendicazioni rivoluzionarie per riforme reali all’interno dell’establishment poliziesco. Sarà anche facile che l’escalation della violenza e della retorica pro-sicurezza su cui lo stato ha continuato ad insistere rendano difficile per gli oppositori politici, che sono egualmente opposti ai Fratelli Musulmani ed all’esercito, di impiegare l’azione di strada.   In un certo senso, l’approccio polemico dei Fratelli Musulmani, volente o meno, sta rendendo all’apparato coercitivo la sua licenza di uccidere e reprimere nell’impunità, ma così fanno tutti quelli che stanno esultando davanti al giro di vite delle forza di sicurezza contro la Fratellanza. Molte voci del genere hanno criticato Mohamed El Baradei per essersi dimesso dal suo ruolo di vice presidente subito dopo le recenti violenze. Ma in realtà non c’è ruolo per un politico in uno stato pronto a scegliere una soluzione securitaria nell’affrontare qualsiasi sfida impellente.   Nell’affrontare la domanda del se l’Egitto vedrà o meno il “ritorno” della polizia dell’epoca di Mubarak, sovviene una serie di quesiti critici, quali: è rimasto un minimo di fervore rivoluzionario per resistere a questa rotta? O i propositi rivoluzionari sono stati prosciugati da tutto il sangue ed i tentativi falliti di istituire un ordine politico democratico?   Che emerga o meno una nuova ondata di mobilitazione rivoluzionaria per respingere il crescente potere dello stato securitario è una domanda aperta. Ma è chiaro che la persistenza dello scontro tra lo stato ed i Fratelli Musulmani non farà altro che approfondire la securizzazione della politica, rinforzando le richieste di soluzioni securitarie. Ciò che occorrà per sventare il ritorno dello stato di polizia, per resistere al quale gli attivisti rivoluzionari hanno lottato duramente, non è chiaro. Si potrebbe argomentare che le ingiustizie brutali che la polizia continua a commettere renderanno sempre la resistenza strutturalmente inevitabile. Ma questo suggerisce che rivivere la resistenza arriverà ad un prezzo alto, uno che Khalid Said, Jika, Mohamed al-Guindy, e molti altri hanno pagato.

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