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Il lavoro uccide. E arriva la ripresa: + 15,3% in un anno

Le morti sul lavoro hanno visto una tendenza secolare alla diminuzione, grazie alle conquiste dei lavoratori sulle nocività, sulla sicurezza e sugli infortuni ma anche al progressivo spostarsi dell’impiego dal secondario verso il terziario (dove le nocività, anche mortali, esistono ma in parte cambiano). Una tendenza che è virtualmente continuata in questi ultimi anni come illusione statistica. In realtà, la progressiva decomposizione del sistema economico italiano, che sopravvive sempre più solo nelle sue tentacolari declinazioni estrattivo-mafiose, sembra aver destrutturato il già blando sistema di controlli della sicurezza del lavoro italiano. In effetti, dal governo Berlusconi in poi, tagli alle ASL e all’ispettorato del lavoro si sono moltiplicati, senza però che gli effetti fossero visibili al netto del rallentamento generale dell’attività economica generato dalla crisi: semplicemente meno lavoro uguale meno morti sul lavoro. Un processo di smantellamento dei controlli che non sembra arrestarsi ma che, anzi, ha avuto un ulteriore acceleramento col jobs act di Renzi, che prevede la nascita di un’ispettorato generale del lavoro dall’accorpamento di tutte le attività di vigilanza e di controllo (comprese INPS e INAIL). Ne dobbiamo ancora vedere gli effetti ma in ogni caso si prosegue sulla stessa linea: col pretesto di semplificare le ispezioni ed eliminare “i troppi controlli” si andrà di fatto verso une gestione ancora più flessibile delle normative sulla sicurezza del lavoro.

Dato ancora più significativo è che nel rapporto Inail di quest’anno ci sono 100 “morti bianche” in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, marcando un tragico incremento di + 15,3%. I due settori più colpiti sono costruzioni e manifatturiero, e seguire il comparto della logistica (non c’è traccia invece, del comparto forze dell’ordine nonostante lo starnazzare dei sindacati di polizia sul lavoro dei “nostri eroi in divisa” che si pretende essere tra i più pericolosi).
In sostanza, la timida ripresa di alcuni settori, come il sempreverde mattone, avrebbe generato questo aumento delle morti sul lavoro: un “tragico sintomo della ripresa del comparto” come ha chiarito Federico Maritan, direttore dell’Osservatorio Scurezza Lavoro di Vega Engineering, commentando i dati a La Stampa.

Un dato drammatico in sé e soprattutto riflesso di una tendenza più generale che impone una domanda che dovremmo iniziare a farci: anche se in Italia ripartissero la crescita (poco probabile) e l’impiego (ancora meno), cosa vorrà dire “lavorare” dopo il passaggio del ciclone crisi, durante il quale, con la complicità dei sindacati, tutte le conquiste dei lavoratori sono state svendute in nome dell’emergenza?

Infine, un dato che ci parla del rapporto solo apparentemente paradossale tra crescita economica e morte, per altro assolutamente inevitabile nel sistema tardo-capitalista in cui ci muoviamo. Ciò che viene presentato come buona notizia (“il rilancio economico”, “la crescita”, “la luce in fondo al tunnel”) è accompagnato dal suo carico di sofferenza sul lavoro, infortuni e decessi per far girare l’inutile macchina dell’economia e ingrassare chi ne è a capo.

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