Non si può più fumare e giocare a Pes
Con un ritardo di diversi anni rispetto agli anni roventi della serie videludica, i Club Dogo nel 2012 dedicarono un vero e proprio innno a Pro Evolution Soccer. Li si vede in un video balordo, del genere coatto di importazione da spiaggia, dove recitano il grido di battaglia “accendo e dico: Ooooh Yesss/fumo un po’ e dopo gioco a Pes”.
La propaganda renziana, alla ricerca del nazionalpopolare in ogni dettaglio, ha anche regalato la foto di Renzi e Orsini che giocano a Pes, per ostentare tranquillità in un momento di tensione della politica. Il punto è che la serie Pro Evolution Soccer è in declino come l’economia italiana. E i continui tentativi di rianimarla con recensioni favorevoli, marketing e previsioni di ripresa non aiutano molto. Mentre i pochi decimi di punto di ripresa nei mercati tengono in vita lo zombie di qualcosa che fu. Vale per l’economia italiana come per PES, naturalmente.
Se andiamo a vedere la crisi di Pes, sul serio, non facciamo che trovare alcune della caratteristiche tipiche del capitalismo digitale e dell’industria dell’entertainment. Pro Evolution Soccer è stata, dalla metà degli anni ’90 al 2006, la migliore serie di simulazione calcistica per videogiochi. Entro un fenomeno, quello dei videogiochi calcistici, di una complessità antropologica simile a quella del calcio che imita. Un fenomeno che genera economie informali complesse come la modalità FUT presente nella serie calcistica rivale di PES, FIFA , che ha prodotto veri e propri processi di speculazione di massa nella compravendita online di calciatori digitali. Si parla di mondi che generano linguaggi, e comportamenti, che la politica non conosce e, vista la politica oggi, c’è solo da aggiungere meno male. Eppure se capisci questi mondi, che toccano la velocità di formazione del legame sociale, sai fare comunicazione politica. Altrimenti, come si è visto, ti tocca camminare scalzo a reclamare diritti nella canicola, tra selfie di autocompiacimento ed indifferenza generale.
Pro Evolution Soccer non è solo stata, almeno fino all’avvento di grafiche (diciamo) 3d, la serie calcistiche migliore. Ma anche la più modicata, con l’aggiunta di miriadi di patch che miglioravano, in ogni aspetto, il già eccellente prodotto di base. Anche queste patch meritebbero un lavoro etnologico a parte ma, si sa, questo è un paese che ama leggere solo su pochi argomenti. In queste condizioni, una egemonia sul mercato indiscussa, e legioni di utenti pronti a migliorare gratis il prodotto di base, PES è declinata in pochi anni. Motivo? Niente è più transitorio delle modalità di produzione di valore nel capitalismo digitale. Diciamo che le ragioni del rapido declino di PES sono le stesse del suo successo. Negli anni ’90 le simulazioni calcistiche diventarono un vero fenomeno di massa, nel consumo ma anche nel modding (la modifica e la personalizzazione di un gioco, vero e proprio valore d’uso socializzato), grazie a tante piccole avventurose software house. Pro Evolution Soccer si impone con gli investimenti della Konami, gigante del videoludico, facendosi forza, più che sulla pubblicità, sul gradimento degli utenti. Ma la forza degli investimenti nella grafica, vero e proprio bene economico nel mondo digitale, stava tutta da parte della Konami rispetto a tante piccole case di software degli anni precedenti.
Negli ultimi anni questa forza è diventata debolezza: i giochi detti AAA, quelli che richiedono un alto investimento proprio nella grafica, sono diventati molto costosi. Ci sono videogame che, per essere di successo, richiedono investimenti ben superiori a un film di Hollywood. Oltretutto, la legge della caduta del saggio di profitto esiste anche nel capitalismo digitale, i forti investimenti non generano i profitti del passato. Meglio così dedicarsi ad altri mercati che richiedono minori investimenti e promettono profitti maggiori : le app, i giochi arcade, i prodotti per il fitness. Ecco poi che la Konami, per i giochi come PES, produce il proprio Jobs Act: contratti che saltano a discrezione, lavoratori con peggiori condizioni sia di lavoro che di ingaggio. Per disinvestire sui “rami secchi” dell’industria digitale.
Ne risente, ovviamente, la qualità del prodotto. In modo tale che gli utenti che fanno miriadi di modifiche, gratis, al prodotto finale non riescono a supplire al deteriorarsi del prodotto. Oggi PES è una ciofega in caduta libera, esempio plastico delle leggi che governano il capitalismo digitale (e non solo). Altre serie sono sopravvissute modificando prodotto e modi di produzione come l’approccio ai social media, essenziale per produrre valore.
Ma PES, come è stato l’esempio di una storia di capitalismo digitale di successo lo è per evidenziare le caude del declino di un modo di produzione. Il resto è noia: da oggi, dopo il fallimento delle ultime produzioni Konami, fumare e giocare a PES non è più possibile. Giusto Renzi, trendsetter sempre con un lustro di ritardo (esibiva Apple quando ormai montava Samsung ma parla giusto ad un pubblico che accoglierebbe come novità anche l’allunaggio dell’Apollo 11) si può far fotografare mentre gioca a PES. Ma questa è un’altra storia, quella dell’Italia che accoglie il renzismo (una antologia di nuovi già accaduti e defunti), come se fosse una cosa seria. Storia che l’etnologia dei giochi digitali, purtroppo, ci spiega meno.
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