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Papi e madonne

Nessuno mette in dubbio le molte competenze di Laura Boldrini, attuale presidente della Camera. Ci limitiamo a sottolineare brevemente come un sistema completamente al collasso, vada affidando le tribolazioni del dopo elezioni alle brave persone, meglio se donne, ai buoni pensieri e alle parole semplici quasi fossero piccoli atti di purificazione simbolica per avvezzarci a sopportare i mali del momento. “Buona sera, fratelli e sorelle”, dice al microfono il neo-papa Francesco e a noi pare già di sentirci meglio.

La cura è proseguita, appunto, con l’elezione sullo scranno della Camera di una donna dai solidi meriti. Bella, buona, sa tutte le lingue, sempre con la valigia in mano, in giro per tutti i paesi disperati del mondo. Dacci una mano anche tu che sei stata in tanti luoghi di crisi, tra cui ex Jugoslavia, Afghanistan, Pakistan, Iraq, Iran, Sudan, Caucaso, Angola e Ruanda. Lei, nel primo discorso, non dimentica nessuno:  “la difesa dei diritti degli ultimi… l’impegno per chi ha perso certezze e speranze… la lotta contro la povertà e non contro i poveri… le donne che subiscono violenza travestita da amore… i detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante… i pensionati che hanno lavorato tutta una vita e che oggi non riescono ad andare avanti… chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di perdere la Cig, ai cosiddetti esodati… ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi… alle vittime del terremoto…”.

Qualche commentatore si è emozionato e ha sentito allora di poter destare il fantasma di Enrico Berlinguer, cioè di quella vecchia e rassicurante sinistra che di solito sta chiusa a chiave in un cassettone. Sterminata (altro che rottamata) dai suoi stessi delfini dalla fine degli anni Ottanta, può tornare utile nei momenti critici e questo è certamente il caso. Porta aliti di etica, responsabilità, moralità, serietà, onestà e altre cose con l’accento sulla “a”. Inoltre contribuisce fortemente a innalzare nel sangue i valori “senso dello stato, giustizia, eguaglianza, libertà”: “Oggi più di ieri con la Politica”, ha scritto, dopo la dose, un bloggaro del Fatto Quotidiano.

La politica e la sinistra vivono il loro momento più buio e deprimente, dunque si inventano di apparecchiarci una piccola orchestra per suonare le note di una buona ninna nanna. Pietro Grasso, il magistrato inflessibile, veglia su di noi che ci addormentiamo mentre i deputati del M5S scappano via dai microfoni, non hanno nulla da dire, si sono annoiati, trascinano i loro trolley verso il week end. La ricetta del Pd è mostrarsi sereni, evocare amabili sentimenti, idee edificanti: si segue la linea del papa, “camminare, edificare, confessare”, perciò distanziarsi da quel manigoldo di Berlusconi costretto a mettersi gli occhiali neri per la vergogna. SeL, intanto, prova a diseppellirsi aggrappandosi alla Boldrini: “La politica deve tornare a essere una speranza e una passione”.

Francesco e Laura, ognuno per  le competenze assegnate dal ruolo, ci promettono un cammino nel buio, oltre la siepe. Lui, negli ultimi giorni, ha rassicurato: “è il poverello di Assisi il mio ispiratore”. Lei, ricorda subito il nuovo papa: “Anche i protagonisti della vita religiosa ci spingono a fare di più, per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente “dalla fine del mondo”. Cammino, percorso iniziatico, fede, speranza. Le armi della ragione annaspano, quelle della lotta non le conosciamo e non vogliamo conoscerle, ci restano la devozione e l’obbedienza, la rassegnazione e la pazienza. Con il conforto di un abbraccio istituzionale di altro profilo, commovente, che ci accoglie e ci indica la strada.

Parole gentili, gesti rasserenanti, che aiutano a trasformare gli avvenimenti più complessi della storia in una favoletta semplice e facile da digerire, con tanto di buoni e di cattivi, scelti per noi in un assortimento di valori morali che sembra tirato giù dallo scaffale di un supermercato. Si amplifica così la nostra passività, in questo ricorso ai buoni sentimenti, alla difficile situazione e a una promessa di eventuale resurrezione. Situazione d’emergenza che richiede grande senso di responsabilità. Da tempo si è capito che il richiamo alla responsabilità è la misura precisa della nostra impotenza e debolezza rispetto ai problemi: ingigantisce totalmente la sensazione di totale inadeguatezza a esprimere un giudizio sensato sui fatti che accadono, detto che lo scopo della “chiamata in correità” è quello di bloccare, inibire, eliminare qualsiasi forma di azione. Come ci ha ricordato Maurizio Lazzarato nel suo ultimo libro, la ricerca di Foucault sulla governamentalità del liberalismo ci mostra come sia determinante indagare sulle relazioni di potere e sulle tecniche di governo, fortemente connesse al capitale e alle sue logiche, che diventano parte integrante delle strategie attuali di gestione dello Stato. Bersani traduce queste indicazioni, pragmaticamente, a modo suo: “Se non diamo un governo al paese, avremo le piazze in rivolta”.

E noi? Che cosa abbiamo da guadagnare da questo sempre più assurdo, ingiusto e pericoloso “patriottismo sociale”? Per quale motivo la nostra naturale mitezza, la nostra sincera empatia, il nostro abituale cooperare dovrebbero restare, ancora una volta, incantati da queste retoriche, accettando di assumere nuovi sedativi, in quantità ancor più massiccia e proprio mentre le voragini si sono aperte, i precetti dell’austerity faticano reggere e la recessione evidente ci fa finalmente scommettere sulla resistenza e sul conflitto? Per quale motivo non dovremmo accorgerci del vero scopo di tutto questo buonismo e dei suoi appelli, della “boccata d’aria fresca” evocata dal segretario del Pd parlando di Boldrini e di Grasso, che è quello di un ennesimo controllo, di una repressione, di un’ingerenza sul nostro agire? Ci chiameranno disfattisti se diremo che il gioco di istituzioni fallite, dopo un’elezione fallita, di una classe dirigente inadeguata che prova a giocarsi la carta della vicinanza al popolo, del rinnovamento, dell’essere perbene non ci convince più? Penseranno a noi come dei traditori perché l’inganno del farsi scudo dei poveri, dei rifugiati, degli ultimi, in questo contesto di tensione sociale estrema, di mancanza di soldi, di idee, di coraggio, di verità non ci persuade?  Siamo proprio noi quei “poveri”, quei precari, quei proletari, che sabato scorso, in più di 30.000, hanno sfilato in carne e ossa in una Milano militarizzata. Risposta curiosamente contemporanea agli apparati di un sistema che cerca di mostrare il volto buono, serio, ragionevole, dopo aver organizzato, in tutti questi anni, la rapina progressiva delle nostre vite. Siamo invecchiati, forse diventati cinici, siamo in cerca di risposte e non di discorsi: reddito, casa, piacere. Siamo stanchi delle vostre lacrime.

Penso alla tesi di Elisabeth Noelle Neumann e alla sua “spirale del silenzio”. I media, soprattutto la televisione, possono condizionare fortemente l’opinione pubblica. Il soggetto è disincentivato dall’esprimere apertamente e riconoscere a se stesso un’opinione contraria alla maggioranza, per paura di riprovazione e isolamento da parte della presunta maggioranza. Di fatto noi dobbiamo oggi, sempre più precisamente, trovare il coraggio di combattere una percezione collettiva completamente sbagliata che aumenta il silenzio di chi si pensa minoranza quando è in realtà parte di una maggioranza che non sa di esserlo.

E infine va aggiunta l’abiura del politically correct che ci impone di non criticare in alcun modo le donne. Una cappa, ammantata di dignità, diritti, corrette opportunità, eguaglianza. Difesa delle donne “in quanto donne”, tout court, essenzialista, generalista, a-politica, debole, vittimista, che non infastidisce affatto il potere maschile ma viceversa, forse senza volerlo nel migliore dei casi, lo rafforza. Rappresenta una barriera a salvaguardia della controparte e non nostra. A differenza di ieri, oggi è proprio questa una delle garanzie più efficaci e sofisticate da usare, per il potere, all’interno delle modificazioni e delle complicanze della contemporaneità.

 

da: Uninomade

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