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Une colére toujours jaune! Reportage dall’anniversario dei gilet gialli

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Gilets Jauniversaire!

Uno dei tanti festosi slogan che hanno accompagnato il week-end appena concluso, nel quale decine di migliaia di persone – con e senza gilet, ma le motivazioni eccedevano il simbolo– hanno invaso strade e piazze delle città francesi, riservando una partecipazione eccezionale a Parigi. Nella capitale i concentramenti sono iniziati dal mattino presto: già dalle 9 s’intraprendeva un tentativo di blocco del periferico a porte Champerret, in contemporanea all’occupazione di Place d’Italie. Nel giro di pochi minuti Champerret veniva violentemente sgomberata, ma le persone defluivano in un corteo che si sarebbe disperso parecchie ore dopo a Bastille per via di una contromossa molto cara ai flics che consiste nel creare cordoni tutt’attorno la piazza sottoponendo ad una piogga di gas chi si trova al suo interno.

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A Place d’Italie questa dinamica si è data dall’inizio. La polizia, evidentemente messa in allerta dalla partecipazione in termini di numeri e di entusiasmo, ha infatti chiuso la piazza prima che le persone arrivate lì potessero muoversi in corteo, saturato ogni spazio di gas, con l’aggiunta di idranti e GLI-F4.

La prefettura ha chiamato i responsabili del corteo per comunicare di avere annullato l’autorizzazione a partire e generando così una reazione estremamente combattiva: i manifestanti hanno immediatamente iniziato a dare fuoco ai materiali di un cantiere, incitando i pompieri a raggiungere le loro file (“la polizia mena anche voi!”); contemporaneamente prendendo d’assalto la banca HSBC. Gli scontri diretti con la polizia venivano accompagnati da canti contro Macron ripetutamente rinnovati in qualsiasi parte della piazza, diventato un corpo vivo, nonché rappresentazione di rivendicazioni che arrivavano fin dai paesi di provincia, dove per molti individui ogni mese si rinnova la preoccupazione di non riuscire a pagare il riscaldamento.

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Alcune interviste di media indipendenti hanno testimoniato la presenza di attivisti di XR (Extinction rebellion), i quali, pur avendo sposato il diktat della non-violenza, hanno dovuto riconoscere il comune fine della loro battaglia con la lotta dei gilets jaunes. Dice un loro attivista: “dal momento che combatti le multinazionali che sono responsabili del 75% dell’inquinamento mondiale, sei ambientalista”. Alcuni rimettono in discussione i termini dello stesso diktat, come un’attivista che inizialmente si dichiarava non violenta per poi interrogarsi sull’efficacia di questa pratica e sulle violenze perpetuate dal sistema contro cui ogni sabato va a manifestare. La gestione incredibilmente violenta da parte del dispositivo di repressione è stata riconfermata e anzi inasprita in questi due giorni di conflitto, in cui la polizia ha fatto un gran numero di feriti tra i manifestanti: ve ne sono alcuni colpiti alla testa mentre chiacchieravano con l’equipe medica, altri rimasti sfigurati sempre per aver ricevuto lacrimogeni esplosivi in faccia. Ciò che bisognerebbe allora riconoscere è che la violenza che in questo fine settimana è venuta dalle strade e dalle piazze era un incanalamento dell’ingiustizia subita da parte di chi, detenendo il potere, conduce una politica di violenza costante e individualizzata sotto la forma del reddito, dei servizi pubblici, dell’inquinamento e della stigmatizzazione. In questo senso, ogni tentativo di depoliticizzare la violenza criminalizzandola e relegandone la messa in atto a fantomatici gruppi di facinorosi altro non è che un gioco mistificante che tenta di garantire la conservazione del potere in un momento di estrema debolezza di quello stesso. Conosciamo bene questa strategia in Italia; in Francia essa si è sbizzarrita seguendo le stesse dinamiche nella narrazione e conseguente tentativo di stigmatizzazione dei gilets jaunes. Che la violenza di piazza sia un modo per rendere visibile la più sottile, quotidiana e omicida violenza del sistema di governance capitalista è uno dei punti su cui i gilets jaunes sono risultati estremamente convincenti anche agli occhi di chi con quel tipo di pratica non aveva mai avuto a che fare. E anche se non tutti comprensibilmente si sentono di mettere in atto forme di protesta che implicano impiego di forza, non per questo si genera una rottura nel movimento; significative a riguardo le parole di una commerciante dei pressi di Place de la Republique: “certo non mi sento di rompere le vetrine, ma anche io mi sento gilets jaunes tanto quanto”.

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Nel pomeriggio di sabato, fino a sera, le tattiche di piazza apprese e affinate in un anno di mobilitazione hanno fatto veramente la festa, bloccando il centro città tra Chatelet, il forum di Les Halles, il Palais Royal e la Senna – cuore pulsante del consumo parigino, a due passi dal Louvre. Migliaia di gilets jaunes che attraversavano strade affollate di passanti e di negozi, irriconoscibili fin quando non si riunivano in gruppi (il gilet è stato lasciato a casa), pronti a far partire cortei selvaggi dalla durata media di pochi minuti. Tattica che per la sua imprevedibilità rende praticamente impossibile alla polizia sedare definitivamente la mobilitazione, che diventa reticolare, allo stesso tempo effimera e ciclica nella sua insorgenza, diffusa e sostanzialmente ingovernabile. La mancanza di un “soggetto-corteo” ha messo a tal punto in crisi la gestione poliziesca da aver imposto, nell’ultimo anno, la necessità di mettere a punto una strategia anti-GJ ad hoc, quella che abbiamo visto sabato pomeriggio: cardine è la brigade anti-terrorisme (BAC), corpo di picchiatori estremamente mobili armati di manganello, gas, flashball, si aggirano a piedi e in borghese o in moto con il compito di reprimere immediatamente con ogni mezzo necessario ogni corteo selvaggio che si agglutina. La compagnie républicaine de sécurité (CRS) e le camionette sono invece statiche e hanno il compito secondario di difendere obiettivi sensibili.

In quelle ore, il momento centrale è stata l’occupazione del Forum de Les Halles verso le 18, la quale si è mantenuta almeno fino alle 20.

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Il giorno seguente, alla mattina, l’azione centrale tra le molte previste era l’occupazione di un “tempio del consumo”. Così è stato: sono bastati una cinquantina di gilets jaunes a chiudere per tutta la giornata le storiche Galeries Lafayette. Una volta entrati nella galleria, indistinguibili dagli altri componenti della folla, un gruppo di persone ha indossato il gilet giallo, ha iniziato ad intonare cori (La, lalalalalalales gilets jaunes!) e ha dichiarato al megafono l’occupazione del “tempio”. Il tutto è durato pochi minuti, ma tanto è bastato a far decidere al gestore della galleria di chiudere per l’intera giornata tutto il centro commerciale.

Le lunghe giornate di conflitto sembravano ormai finite, e invece il pomeriggio di domenica in molti si sono sorpresi di vedere su media manif apparire una marea gialla che invadeva Place de la République. Ancora un’occupazione di una piazza, ancora scontri con la polizia che, in quella che sembra ormai una reazione nevrotica, si riversa in massa sulla piazza, militarizzandola per ore dopo la fine delle rivolte temendo il ritorno dei gilets jaunes, mettendo in scena una piece dal gusto fascistizzante, con tanto di marce avanti e indietro da parte di plotoni armati di manganello.

In questa occasione abbiamo raccolto delle interviste. La prima a Vivian, una signora sulla sessantina. È una gilet jaune della prima ora e partecipa al movimento dal primo dicembre; racconta con entusiasmo dell’operazione metro Montreuil gratuit a cui ha preso parte la mattina – un gruppo di GJ ha mantenuto aperti i tornelli della stazione di Montreuil. Alla domanda se il movimento sia cambiato risponde di sì: ad esempio, si sono cacciati i fascisti e anche questo ha comportato una maggiore unione tra tutti i militanti; persiste però un fattore che lei considera originario, ovvero rompere l’isolamento delle persone che venivano dalle campagne. Sottolinea poi l’incomprensione generalizzata delle caratteristiche del movimento, tanto da parte dei grandi media quanto da parte della maggior parte degli esperti che vorrebbero spiegarlo.

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Abbiamo poi parlato con Anne, insegnante di sostegno. Anche lei partecipa al movimento dall’inizio e ci tiene ad informarci che in un anno la rabbia è grandemente montata, le posizioni politiche si sono precisate e le rivendicazioni sono diventate ben più vaste. Le motivazioni della larga partecipazione che lei rintraccia sono inequivocabili:“Ne abbiamo le palle piene di questo sistema di merda dell’organizzazione sociale dell’ingiustizia! Qui a Parigi vediamo povertà ovunque, gente che dorme per strada” ci dice indicando una persona sdraiata sul cemento. “Si dice che Parigi sia una delle città più ricche del mondo, ma sono solo poche persone che si arricchiscono sempre di più”; le sue rivendicazioni sono radicali e non mediabili: “Vogliamo un altro mondo, un’altra vita e non pensiamo sia una pretesa infantile, non vogliamo il loro mondo, società, violenza, organizzazione, depressione. Lo vedi come siamo capaci di autorganizzarci? Un mondo dove ciascuno può vivere bene in funzione dei propri bisogni e col proprio lavoro”.

Sembra che adesso, ancora di più dopo questo fine settimana, tutta la Francia veda come i gilets jaunes siano capaci di autorganizzarsi, almeno a giudicare dalle notizie confezionate dai grandi media. I tentativi dell’ultimo mese da parte di Macron di minimizzare il problema gilets jaunes, trattandolo come una questione sostanzialmente superata e sostenendo che non ci fosse da temere per il compleanno, si infrangono contro un’evidenza talmente palese da non poter essere taciuta: seppur trattata sotto il segno della ben nota “violenza intollerabile”, la rivolta dei gilets jaunes si prende ogni spazio della comunicazione di attualità e di politica, mettendo ancora una volta profondamente in questione il governo Macron: ancora una volta per la sua larga partecipazione e radicalità, ancora una volta per la sua durata ormai annuale che non sembra accennare a sedarsi. I segni sono piuttosto di maturazione tanto individuale quanto collettiva, senza concedere un millimetro alle manovre da qualcuno definite “liberal-fasciste” del presidente, che ammantano sotto concessioni democratico-liberali (come il ritiro della famosa tassa sul carburante o le misure del Grand Debat) una repressione durissima la quale, volendo fiaccare il movimento, finisce invece per renderlo sempre più radicale e consapevole, finisce per divenire insomma vettore di soggettivazione politica; la guerriglia di Place d’Italie ne è solo l’ultima prova.

Maturazione che potrebbe fare un salto il prossimo cinque dicembre, giornata in cui è previsto uno sciopero generale contro la riforma delle pensioni. Le cifre che si annunciano della mobilitazione sono alte e lasciano intravedere la volontà di non far finire la festa.

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