
Al picchetto contro la Granarolo…
L’attacco istituzionale e padronale che abbiamo registrato in città non ci ha né stupiti, né colti di sorpresa. Le operazioni congiunte di stampa, padroni (che fanno rima con cooperative nel nostro territorio), e prefettura di attacco al movimento operaio della logistica seguono lo stile proprio del nostro territorio. C’è una specificità che le realtà politiche che vogliono prendere parte al movimento operaio della logistica a Bologna dovrebbero considerare e conoscere, magari con l’umiltà di chi fa domande prima di dare risposte utilizzando per l’occasione una sorta di “manuale Cencelli” delle lotte sociali. Per la prima volta e nel 2013 un movimento di lotta attacca con qualità e numeri considerevoli l’inferno del sistema cooperativistico locale e il modello di sviluppo, in crisi, emiliano. Si è dato un fortunato incontro tra soggettività operaia, coraggio di quadri sindacali, e consolidata presenza antagonista territoriale che ha permesso di stanare gli interessi di parte smascherandoli pubblicamente, a partire da una vertenzialità sul salario che immediatamente ha fatto emergere l’intrinseca politicità dello scontro, puntando oltre la rivendicazione del salario stesso. E questo accade in una città dove la CGIL festeggia il Primo Maggio in piazza insieme ad Unindustria e il padrone della Granarolo! Immagine simbolo e paradigmatica della strutturazione dei poteri cittadini che si è manifestata concretamente durante le trattative sull’ipotesi di accordo alla Granarolo in prefettura delle scorse settimane dove il prefetto ha allestito due tavoli separati, uno con Consorzi, cooperative, committenti, associazione Lega Coop, Cisl, Uil e Cgil, e l’altro con i S.I.Cobas che nei fatti rappresentano la stragrande maggioranza dei lavoratori interessati. L’interpretazione di questo ambito del contesto di lotta propone un’ambivalenza: da una parte emerge il modello della coesione sociale emiliana dall’altra ne emerge la sua crisi soggettiva, il movimento operaio della logistica e la vertenza aperta dai S.I.Cobas ha stanato e reso manifesto la strutturazione del potere locale. Li ha per così dire compattati pubblicamente agli occhi dei disoccupati, dei precari e degli studenti in un fronte ostile alle istanze di lotta per la dignità e la giustizia sociale. Per questa ragione non crediamo che si debba drammatizzare insistendo sulla questione della repressione ma al contrario bisognerebbe sforzarsi di analizzare lucidamente la messa in crisi della soggettività avversaria che per la prima volta nella demokratika Bologna della cooperative è stata costretta a mostrasi per quel che è anche nell’immagine simbolo dei due tavoli separati in prefettura. Drammatizzare la repressione inserisce nella lotta la prossimità della sconfitta, al contrario insistere nell’analisi della controparte, della sua crisi e delle sue prime debolezze, apre, unitamente alla considerazione politica dei ritmi della lotta, allo sviluppo delle sue potenzialità soggettive.
L’esagerata enfasi politica data alla repressione torna poi anche come pessima usanza nei picchetti, quando al posto di prendere parte all’iniziativa del movimento operaio della logistica, si preferisce farne i conti ai lati, abbandonandosi a ipotizzazioni, mal ponderate e prive di sostegno analitico, su futuribili denunce e arresti, e imminenti cariche. Che posizione triste, e che strafalcioni politici! Si fa i conti della repressione della lotta, mentre la lotta va avanti serena, determinata e gioiosa, scegliendo in intelligente autonomia dalla controparte quando e come variare il ritmo di iniziativa con la rabbia e la gioia di chi non ha più niente da perdere e ha solo con sé i cordoni forti stretti tra facchini, operai, studenti, precari e disoccupati! Forse qualcuno crede che i facchini siano degli incoscienti a lottare? Qualcuno pensa davvero che le centinaia di facchini migranti non abbiano messo in conto dall’inizio della lotta il rapporto tra rischi e conflitto? Noi pensiamo che si, qualcuno lo crede, e di credenza appunto si tratta, perché ci si ostina proprio a non voler seguire quella che dovrebbe essere una linea di condotta comune che fa dell’inchiesta militante il preambolo a qualsiasi discorso.
La giornata di lotta del 29 giugno ai cancelli della Granarolo con la sua rigidità antagonista e determinazione collettiva ha fatto compiere un nuovo piccolo passo in avanti alla lotta, imponendo al padrone una militarizzazione che politicamente non ha saputo gestire e decisamente inefficace a sgomberare il presidio operaio, che si è sciolto solo quando in assemblea i manifestanti lo hanno deciso. Dal punto di vista del processo di lotta l’iniziativa è quindi riuscita ad assestare ancora un colpo e a riposizione i rapporti di forza nel contesto del faccia a faccia con la controparte. Tutto ciò non è certamente sufficiente ma la direzione intrapresa è quella giusta dove le pratiche di lotta da costruire collettivamente si realizzano in autonomia e con intelligente considerazione dei ritmi che necessariamente deve avere il processo di lotta e il suo sviluppo virtuoso.
A dare ulteriore potenziamento all’iniziativa è stata la mobilitazione di più di 12 città italiane che il 29 giugno hanno risposto all’appello alla mobilitazione della campagna di boicottaggio “scarichiamo Granarolo!”, facendo uscire dai confini cittadini la lotta del movimento operaio della logistica e iniziando a socializzarla anche in altre città e paesi. Come prima giornata sperimentale di iniziativa collettiva crediamo che possa essere considerata un buon inizio di un percorso che immaginiamo lungo e articolato dove nuove date di convergenza possano essere condivise e agite a seconda dei contesti territoriali in cui si vive.
Nei prossimi giorni ancora picchetti all’orizzonte contro la Granarolo e l’inferno del sistema delle cooperative, con i facchini riprenderemo a battere il ritmo delle lotte concludendo le ore di blocco totale ai cancelli della logistica con quella promessa che è diventata musica antagonista del movimento degli operai: “torneremo! Torneremo!”.
Laboratorio Crash!
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